Per Missione poesia Graziella Sidoli e la sua poesia della vita, fondata su radici ricche di rimandi colti, su insegnamenti di padri antichi, su solide basi filosofiche, che ci propone i sentimenti che vogliamo sentirci dire, primo fra tutti l’amore.
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Graziella Sidoli è traduttrice, editrice, critica e autrice. Nata in Italia, cresce in Argentina, e nella prima adolescenza approda a New York, città che diventerà la sua terza patria. Docente di lingue e lettere prima negli atenei e New York e Connecticut, e studiosa di letteratura comparata e traduttologia, crea e dirige una rivista per 15 anni, PolyText, in cui presenta poeti italiani contemporanei in traduzione inglese. Si trasferisce a Bologna nel 2014 dove si dedica alla scrittura giornalistica, la saggistica, la traduzione e la poesia. Il Servo Rosso/The Red Servant (puntoacapo, 2016), una antologia poetica di Paolo Valesio (1979-2002), ideata, curata e co-tradotta in inglese con Michael Palma, ottiene il Premio Speciale Camaiore 2017. Nel 2018 pubblica Saggiminimi (Fara Editore), opera in prosa che si classifica al concorso Faraexcelsior 2017. Fa parte delle redazioni di Italian Poetry Review (rivista letteraria che si pubblica tra New York e Firenze, a cui collabora anche come traduttrice trilingue), e di Le Voci della Luna, rivista trimestrale a Bologna. Per Il Sussidiario scrive articoli che interessano la cultura e politica di USA e Italia. È membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Sara Valesio, a Bologna. Nel 2018 cura e co-traduce in inglese con Todd Portnowitz Ero Maddalena/I Was Magdalene (Gradiva Publications), poesie di Cinzia Demi, Menzione Speciale al Premio Camaiore 2019. È stata finalista nella sezione di poesie inedite per il Premio di Bologna in Lettere, 2020. Con puntoacapo editrice, a febbraio del 2021, pubblica una sua raccolta poetica trilingue, Il male nei tigli.
Conosco Graziella Sidoli da diversi anni, praticamente da quando si è trasferita a Bologna, dopo il suo rientro dagli Stati Uniti. Tra di noi è nata da subito una sincera amicizia basata su scambi e visioni culturali, su condivisioni di poetiche e partecipazione a incontri che ci hanno arricchito reciprocamente. Mi ha sempre affascinato questa sua miscellanea di radici, questo suo naturale plurilinguismo, e questa dimensione altamente connessa ai luoghi che l’hanno formata, che sono stati capaci di plasmarla unendo le diversità pur presenti nei propri universi, che l’hanno resa la donna e l’autrice che è: forte indagatrice dell’animo umano e del mondo che la circonda ma anche in continua e appassionata ricerca di un’identità che, proprio perché complessa è la sua formazione, lei stessa risente dell’ossimorica forza fragile dei suoi tratti. Sono grata a Graziella per essersi occupata della mia poesia, traducendo il mio Ero Maddalena, mettendoci tanto del suo sentire ma, soprattutto, le sono grata per il suo essermi vicina, così come io la sento, nella realtà che ci accomuna anche nel nostro presente. Parleremo qui del suo nuovo libro di poesia, Il male nei tigli, edito nel 2021 da puntoacapo Editrice.
Il male nei tigli
Siamo continuamente alla ricerca di noi stessi, siamo appassionati amanti della nostra essenza, del nostro sentire, del nostro volerci capire. Non è frutto di una vacuità dell’animo, di un narcisismo imperante, di un’assenza di empatia verso gli altri ma, piuttosto, si tratta di una necessità impellente che ci porta a guardarci dentro: senza capire chi siamo non possiamo accettare la finitezza del compromesso che è la vita stessa, non possiamo alzare lo sguardo al cielo e provare a vedere oltre, né accettare la solitudine che ci portiamo dentro come una ferita, anche quando siamo in compagnia.
Quando la ferita si fa voragine per arginarla serve la parola. Una parola che è benda, sutura, che cura. Una parola che si fa poesia. Ogni poeta sa che giunge il momento in cui la parola che accudisce l’esperienza diventa necessaria, va messa sulla carta, va aperta all’altro da sé, perché solo con la condivisione potrà placarsi l’arsura che serra la gola, che toglie il respiro.
Ecco, leggendo i testi de Il male nei tigli di Graziella Sidoli, la prima sensazione che si prova è proprio quella di trovarsi di fronte all’urgenza dell’autrice, che decide di aprirsi e condividere con noi quello che sente. Non è una fretta dettata da un pensiero compulsivo, o da una fregola irrazionale: la sequenza della raccolta ce lo dimostra, i testi misurati che alternano sapientemente brevi componimenti a forme più poematiche, quasi prosastiche, che sempre intonano una musicalità in grado di legare e reggere le fila dei versi, innalzano lo stile che gestisce un contenuto fortemente permeato di quel senso di umanità che, questo sì, ha desiderio di tornare a farsi sentire tra di noi. Ed è proprio in nome di ciò che resta dell’umano, di ciò che deve assolutamente essere salvaguardato, di ciò che vorremmo facesse ancora parte della nostra vita che cominciamo a leggere queste poesie, immerse in un’atmosfera dolente e consapevole, che a tratti si fa sentenza e a tratti preghiera, che non ha paura di parlare della morte, del male, dell’amarezza con le similitudini forgiate dai sentimenti e dalle visioni immerse in una costante etica di speranza ecologica.
Eppure è poesia della vita, ne siamo certi, quella di Graziella Sidoli che si fonda su radici ricche di rimandi colti, su insegnamenti di padri antichi, su solide basi filosofiche e che ci propone i sentimenti che vogliamo sentirci dire, primo fra tutti l’amore. E se l’amore per la madre è mimetizzato dal riconoscimento della figura nel momento della perdita e nel vuoto dell’assenza, l’amore per i compagni è permeato di solitudine per non aver saputo essere eterno, l’amore per la figlia è addolcito dai semplici gesti che salvano piccole creature viventi, ecco che la dolcezza del canto si fa più intensa, quando la voce si raccoglie intorno al pensiero della fragilità del corpo che, nell’avanzare dell’età, si fa metafora di foglie ingiallite e cadenti, si fa preghiera chiedendo di considerare volutamente questa fragilità, di tenerla cara come fase imprescindibile della vita, che non media ma cede alla forza della natura: Consideratemi una fragile,/come quella pallida là che si stacca dai rami stanchi,/e cariche di foglie affaccendate d’autunno.// […] Consideratemi una fragile,/voi che non mi avete giudicata degna di tenere attenzioni/e di compagnia lungo una vita.//Consideratemi una fragile,/vi prego, prima che io mi arrenda all’angelo scuro/che mi fa cenno.
Un libro, questo di Sidoli, che non prescinde ovviamente dalla sua triplice interiorità, linguistica e culturale, che non si appoggia al rimpianto di aver forse perduto le parti di sé che più non frequenta come in passato, che insegna l’accettazione delle nuove priorità che si presentano valutandole come opportunità e non come rinuncia.
Alcuni testi da: Il male nei tigli
Il Male
Il Male non è cosciente
come il mare quando si abbatte indifferente
in tempesta sulla scogliera e sulle creature
il cui fuggire è inutile, prede ora solo
dello svuotamento del Bene, ombra assente
che scompare senza preavviso
e non si capisce perché sia andata
o se mai ritornerà.
Possente e impavido si scuote veloce da ogni carezza
come fosse la lama a impedirgli la corsa
che non conosce freni o frontiere. Va avanti
fino a esaurirsi delle sue involontarie voglie
per spegnersi poi così, senza spiegare mai,
perché la sua disconoscenza è assoluta, così –
perché non ci sono specchi una volta smarrito il Bene.
E quando riappare neppure pensa di aver sognato,
tutto è stato cancellato per l’assenza.
Ci si chiederà allora a cosa serve il Bene.
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La perfidia
Si annida nel cuore e rode
e corrode ogni istante ogni vena
avvelena il respiro e si spira
spirale buia nell’anima che annega
ogni raggio di speranza
ogni possibile via.
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Il male dei padri
Quando entra nel cuore
il male dei padri come
il serpente dell’albero sacro
come si può pensare ad essere
liberi dal male come
si fa a resistere senza il bene
dei padri malati di disamore
come si può amare quando
l’amore è stato estinto
senza sapere come o quando?
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Al di là
Al di là del desiderio c’è il desiderio nudo
un nulla che scintilla
un lampo di ciò che è stato
e sarà, questo l’applauso che apre
il sipario a tutto ciò che è stato
e può essere una volta ancora, oppure no.
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Il peso del pomeriggio è denso
come il fogliame del tiglio stanco
del sole che non si ritira
e tiranneggia la stagione
spietatamente indifferente
al dolore delle creature
chiuse nei condomini
e nei cortili avidi,
mentre c’è chi in montagna
respira aria ricca e nobile.
(scritto nel tempo del coronavirus)
Cinzia Demi
Bologna, 7 novembre 2021