Per cercare di capire la poetica di Giuseppe Vetromile proponiamo in questo numero di Missione Poesia un commento al suo ultimo lavoro: “Percorsi Alternativi” edito da Marcus di Napoli nel 2013. Le domande che ci poniamo alla sua lettura sono domande universali che ci riguardano da vicino come uomini e donne, amanti della poesia e dell’arte: Come ci si congeda dal mondo senza perdersi? Quale traccia può lasciare il poeta seguendo altri percorsi che non siano le solite tracce per la mente? E soprattutto quale forza di congedo, in quanto percorso alternativo, può avere la poesia per chi la scrive e per chi la legge?
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Giuseppe Vetromile è nato a Napoli nel 1949. Svolge la sua attività letteraria nella città in cui risiede dal 1980, Sant’Anastasia, nei pressi del Santuario di Madonna dell’Arco. Ha ricevuto riconoscimenti sia per la poesia che per la narrativa in importanti concorsi letterari nazionali. Numerosi sono stati i primi premi.
Ha pubblicato 19 di libri di poesie, con gli Editori Marotta, Ripostes, Bastogi, Scuderi, Marcus, ed una raccolta di racconti con le Edizioni Kairos di Napoli.
Della sua attività letteraria si sono interessati importanti scrittori, poeti e critici, tra i quali Angelo Calabrese, Marcello Carlino, Maurizio Cucchi, Giorgio Barberi Squarotti, Francesco D’Episcopo, Mario M. Gabriele, Vittoriano Esposito, Maria Grazia Lenisa, Pasquale Maffeo, Alberto Mario Moriconi, G. B. Nazzaro, Anna Gertrude Pessina, Enzo Rega, Paolo Saggese, Gerardo Santella, Armando Saveriano, Antonio Spagnuolo, Raffaele Urraro e tanti altri.
Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in importanti Antologie ed inoltre collabora a giornali e riviste letterarie, per le quali cura recensioni e note critiche.
Partecipa a convegni letterari ed è promotore di incontri e dibattiti sulla poesia e di carattere letterario in genere.
È il fondatore e il responsabile del Circolo Letterario Anastasiano. Fa parte di giurie in importanti concorsi letterari nazionali. Ha diretto la collana « Il retroverso » per l’Editore Samperi di Castel di Judica (Ct) per alcuni anni.
È l’ideatore e il coordinatore del Premio Nazionale di Poesia “Città di Sant’Anastasia”, e del Concorso Nazionale di Scrittura “Il filo della memoria”, entrambi patrocinati dal Comune di Sant’Anastasia (Na).
È inserito in numerose antologie ed è inoltre citato in importanti pubblicazioni e saggi critici. Ha curato l’Antologia « Attraverso la città » per conto della Scuderi Edizioni di Avellino, e l’Antologia « Percezioni dell’invisibile », per l’Arca Felice Edizioni. Ospita importanti testi poetici e relativi commenti sul suo blog « Transiti Poetici« . Suoi articoli, note critiche e varie recensioni, sono apparsi su diverse riviste letterarie nazionali e sulla stampa on-line. Tantissime le pubblicazioni, tra le quali ricordiamo quelle di poesia: IL DESERTO, Ediz. Presenza, Striano (Na), 1979; PASSI SULLA RIVA, Ediz. Gabrieli, Roma, 1980; PANORAMA INTERNO, Ediz. Presenza, Striano (Na), 1984; I NAUFRAGHI, Tommaso Marotta Editore, Napoli, 1984; IO SONO ZACCHEO, Ediz. F. Pagano, Napoli, 1987; RESURREZIONE 88, Ediz. Presenza, Striano (Na), 1990; CUORDILEONE NELLA CITTA’ AUTOMATICA, Ediz. Presenza, Striano (Na), 1990; COM’E’ LONTANA GERUSALEMME, Ediz. Ripostes, Salerno, 1996; INTERNI VESUVIANI, Ediz. Bastogi, Foggia, 1998; CANTICO DELL’UOMO BASSO, Ediz. Presenza, Striano (Na), 1999 (1° premio “Città di Pompei” 1999); NOTTURNI TECNICI, Ediz. Cannarsa, Vasto, 2002 (1° premio “Histonium” 2002); ANASTASIADI, Ediz. Bastogi, Foggia, 2002; IL VASO DI PANDORA, Ediz. Corriere di Garfagnana, 2004; RISCOSSIONE DEGLI ACCENTI (Napoli core ‘ngrato) (in Cofanetto), Ediz. Scuderi, Avellino, 2003; MESINVERSI, 1° premio Città di Pomezia 2004; CANTICO DEL POSSIBILE APPRODO, Ediz. Scuderi, Avellino, 2005; INVENTARI APOCRIFI, Ediz. Bastogi, 2009; RITRATTI IN LAVORAZIONE, Edizioni del Calatino, 2011, collana di poesie « Il retroverso »; MITOgrafie (con Aldo Ferraris, Vincenzo Di Maro e Paola Casulli), Edizioni Kairos, Napoli, gennaio 2012; PERCORSI ALTERNATIVI, Marcus Edizioni, Napoli, 2013.
Conosco Giuseppe Vetromile da alcuni mesi, in particolare seguo la sua intensa attività di promozione della cultura attraverso i social network e gli incontri ai quali partecipa o che coordina nella sua splendida terra, la Campania. Personalmente, invece, lo incontrerò nel corso di questo mese di gennaio, all’appuntamento mensile per il ciclo “Un thè con la poesia” che, ormai già da diversi mesi, organizzo e curo presso la prestigiosa sede del Grand Hotel Majestic di Bologna. Doverosa, quindi, una sua presentazione al grande pubblico di Altritaliani che ormai mi segue da tempo negli incontri “virtuali” con i grandi interpreti della poesia italiana, in questa rubrica Missione poesia che sta crescendo sempre di più in qualità di ascolti.
Dunque, Vetromile mi è sembrato da subito un autore con una forte personalità e una voglia di imporsi all’attenzione del pubblico non indifferente. Un poeta dunque non “domenicale” o di passaggio ma di quelli che vogliono lasciare un segno, che intendono affrontare e proporre la poesia quasi come “regola di vita”, come ascolto del mondo che li circonda e come resa dei conti di quest’ascolto, in un coinvolgimento che si fa consapevolezza del proprio sentire e confronto col mondo. In quest’ottica cercheremo di capire la poetica di Vetromile e, diventando impossibile parlare di tutta la grande produzione che – come si evince dalla sua biografia – ha messo in campo, ci concentreremo sull’ultimo lavoro Percorsi Alternativi edito da Marcus di Napoli nel 2013.
Percorsi Alternativi
«I poeti non hanno biografia, la loro opera è la loro biografia» ha scritto Octavio Paz, poeta di lingua spagnola e di origini messicane tra i più importanti della seconda metà del ‘900. Pensiamo di poter condividere questa affermazione anche per l’autore Giuseppe Vetromile in quanto il suo percorso in poesia coincide, senz’altro, con un chiaro e complesso percorso di vita che approda, al momento, in questo ultimo lavoro dal titolo Percorsi Alternativi.
Andiamo dunque a vedere cosa c’è alla base di questo lavoro e come risolve l’autore la fitta rete di intrecci problematici esistenziali che ci propone. Come ci si congeda dal mondo senza perdersi? Quale traccia può lasciare il poeta seguendo altri percorsi che non siano le solite tracce per la mente? E soprattutto quale forza di congedo, in quanto percorso alternativo, può avere la poesia per chi la scrive e per chi la legge?
Già nella sua nota introduttiva Vetromile ci chiarisce le proprie intenzioni, ciò che intende proporre con questo suo nuovo libro, il pensiero che in versi egli tenterà di rappresentare: «La vita è tempo che si consuma guardando l’orizzonte lontano. Un orizzonte amato/odiato[…] comunque bisognerà depositare i bagagli, la valigia, la casa, i panni, la fame e l’odio, il pianto e il sorriso, l’amore, i colori, i suoni, l’universo. E non c’è strada alternativa che possa cambiare le cose. [ma] I miei percorsi alternativi sono ricerche di possibili strade d’essere, nella disperata speranza che l’ultima stazione non ci sia, o che rimanga asintoticamente lontana, da essere praticamente irraggiungibile. […] Con la poesia si costruiscono ponti per l’aldilà […] Scegliendo un percorso alternativo, a casaccio, so che mi farò del male comunque, ma è quanto desidero: diversificare la mia strada, lungo la quale potrò vedermi, interrogarmi, sentirmi. E illuminarmi.»
Ho proposto questo breve estratto dell’introduzione per arrivare a proporre un paio di riflessioni che mi sono venute in mente leggendola, insieme ai testi poetici del libro che, tra l’altro, non credo di essere in errore, definirei come un lavoro che si basa su un continuum poetico, ovvero una sorta di lavoro poematico: tesi in versi che collegano il pensiero complessivo attraverso il filo conduttore del viaggio esistenziale.
La prima riflessione riguarda proprio l’impressione ricevuta istintivamente dalla lettura dell’opera. Già dai primi testi quello che mi viene in mente è il legame indubbio con un lavoro di Giorgio Caproni: Congedo del viaggiatore cerimonioso. In questo testo Caproni si raffronta – attraverso la descrizione di un viaggio in treno e la preparazione del viaggiatore alla discesa – con la metafora del viaggio per parlare della vita e del rapporto con la morte: nel congedo, il passeggero che impartisce memorie e saluti a tutti i personaggi, e parimenti a tutti i ricordi della propria vita, vediamo come il viaggio stesso diventa un non-luogo fatto di esperienze dove il rapporto con l’altro, alla luce del rispetto e dell’educazione, intensificano il loro valore attraverso una gestualità e una parola che si fanno rito all’avvicinarsi della fine del percorso. E’ come se l’autore, certo della dimensione terrena del proprio viaggio si apprestasse a pensarlo come un qualcosa che potrebbe sconfinare in una dimensione altra, in un altrove verso il quale è meglio avviarsi con discrezione, lasciando in ordine le cose del mondo, forse mai pronti a compiere il passaggio ma certo pronti a capirlo come fine ultimo dell’uomo e, per questo, come fine ultimo del proprio operato.
Vetromile allora si raccorda con Caproni pensando di accostarsi al viaggio interiore con tutta l’umiltà data dalla propria consistenza di uomo e di poeta che cerca – appunto – percorsi altri, percorsi alternativi per affrontare il peso di una vita, il cui fine ultimo è comunque la morte. La ricerca è fatta con tutto il garbo – lo stesso del passeggero caproniano – di cui è capace il poeta: affrontando le varianti, sopportando i ritardi, confrontandosi con i confini, valicando gli inevitabili prolungamenti e i distacchi, fermandosi alle fermate obbligatorie, rallentando per le nevicate e le piogge sugli asfalti, godendo dei crepuscoli d’inverno e mai dimenticando quella linea d’orizzonte caduco che si disegna più volte/stretta tra le mani del poeta come una matita che non lascia traccia. Vetromile, invece sì, lascia una traccia, lascia una via non comune che riporta a tanti altri viaggiatori, rintracciabili come emblemi e testimoni tra gli spiragli dei suoi versi.
E la seconda riflessione è rivolta proprio a scoprire almeno un paio di viaggiatori eccellenti, presenti per assonanza nel nostro poeta: Dante in primis, che potremmo definire “Il viaggiatore” che, solo per portare un esempio ma i riferimenti sarebbero tanti, inizia il suo percorso purgatoriale pensando a come la navicella del suo ingegno, ormai lasciato dietro di sé un mare così tempestoso (inferno) e preparandosi a una materia più serena (purgatorio), viene colpito da un tenero colore di zaffiro orientale, contenuto nella limpida atmosfera, pura fino al cerchio dell’orizzonte…
E qui sta la speranza del poeta, in un percorso più tranquillo e meno problematico, e qui sta la speranza dell’uomo in una possibilità di salvezza (siamo all’inizio del primo canto del Purgatorio). Ebbene Vetromile, nel testo dal titolo Il sogno non è mai completo, è colpito all’inizio da un pensiero rivolto ai moti verso l’oriente che naufragano velocemente ma, che alimentano comunque la speranza di riuscire a completare il sogno della notte, vincendo l’indeterminatezza, per dare la forza all’uomo e al poeta di sorridere alla morte stessa … certo, è forse una speranza vana in quanto il sogno non si completerà mai ma, – cercando di stare al gioco – il poeta comunque non si arrende e prova a varcare quel confine che lo porterà alla salvezza.
Dopo Dante, e nel testo seguente a quello sopra menzionato dal titolo Le nuove colonne d’Ercole, inevitabile, sale alla mente la comparazione con un altrettanto famoso navigante: Ulisse. Ulisse, vuoi nella versione omerica che in quella dantesca, sconfina l’impossibile per umana sete di conoscenza, rischiando con la vita stessa per le proprie azioni. Vetromile – in questo testo e un po’ in tutto il percorso del libro – ci fa capire di come sia difficile stare fermi, lasciare che il mondo prenda comunque la sua piega senza provare a varcare le nuove colonne d’Ercole se pure dice anche: Noi siamo il confine di noi stessi… ma questo confine – lo ha detto chiaramente l’autore nella sua introduzione all’opera – è passibile di superamento se l’uomo si propone e percorre la dimensione dei percorsi alternativi, se non si arrende aderendo alle nullità televisive, se non si limita a sopravvivere a sé stesso.
Un occhio allo stile con il quale l’autore presenta i suoi versi. Uno stile certo non improvvisato, ma costruito e pensato per la particolarità tematica e formale – abbiamo parlato di forma poematica del lavoro – in versi liberi con assonanze interne o a fine verso, il tutto con un fluire scorrevole di poesia narrativa, che racconta, che spiega limpidamente la tematica affrontata, e che ha – tra l’altro – un suo interlocutore, o meglio una sua interlocutrice alla quale, in alcuni testi, il poeta si rivolge quale probabile compagna del viaggio.
Presentiamo adesso alcuni testi del libro:
Andata e ritorno
Andata
Verso
– l’ora che sorge nebbiosa da un futuro fantasmagorico
– lo spazio di un dito che mi convince a ribadire il qui
con tutta la forza dell’osso primordiale
– la luce d’un lampo fugace raccolta con la coda dell’occhio
– il cosìssia spergiurato in un amen di spasmodica attesa
– con l’ombra addossata alla mia anima
che non smette di sgualcire l’orlo del quaderno
– con il sorriso d’un amore prosciugato dal tempo
ora lieve e delicato come un petalo avvizzito
– portando comunque la casa negli anfratti segreti del cuore
– recitando avemarie lungo il bilico
perché non frani l’umanità dei miei miseri passi
Io andando
– più nulla al cielo e nessuna pace tra le mie carte
con solo una poesia digitata da oscuri fantasmi sul video
– più nulla al pianeta che si dissolve in atomi mortali
– più nulla alla strada che incanala il mio di-sperato orizzonte
Io sospeso
– tra il dove e il quando
– fermo nello stato ricreativo
– rigenero pedissequamente la mia vita e la mia
morte
Ritorno
Verso
– l’ora che tramonta repentina in un baccano di sproloqui
– il circoscritto da un indice che decreta la mia tana
(qui e non oltre la soglia del sogno)
– con l’ombra che mi precede a casa
Io ritornando
– le stesse cose nell’armadio e gli scricchiolii delle tarme
antiche nelle buche del mondo
– tutto mi dice l’uguale origine
– lo spiattellato racconto del punto d’inizio
(c’era una volta…)
– e frana la notte su un lembo di sole giù nel prato
– scaturisco da un abisso incolmabile di penitenze
Io eccomi di nuovo
qui sulla punta della lingua
nella coda dell’occhio
attaccato alla pennabiro
scrivendo quello che sono
un girovago con infiniti spiegazzati biglietti
di andata e ritorno
*****
Annuncio ritardo
Il treno già non entra più sotto la pensilina ed io aspettando
un prossimo traguardo oltre l’alba schizzinosa
mi diverto a contare il becchime caduto
da mani ceree di un vecchio barbone
nell’erba incolta tra i binari
La stazione appare pronta ad uno sbarco da mille e una notte
I pendolari sono attenti a non lasciarsi millimetri
tra una borsa e l’altra
penzoloni dalle braccia ancora addormentate
nonostante la sveglia dell’ennesimo altoparlante
che annuncia ritardi a non finire
cumuli di ritardi
code e reiterazioni di ritardi
e noi disperati non si può più vivere
senza prendere quel treno che ti porti
all’altro capo della buona speranza
Qui in stazione
tutti hanno l’aria afflitta di chi
prima o poi
bisogna che si decida a lasciare la piattaforma
salire sul primo vagone casalingo
lasciarsi trasportare nel regno delle favole
le nubi diradate sotto il celeste ialino
***
Lacera il cuore il fischio di partenza
so che ora inizia il viaggio e
non c’è più niente che mi trattenga su questi binari
a goccia a goccia evapora la memoria fuori il finestrino
e già non è più nemmeno l’ombra
della casa vecchia fra le sterpaglie
Lontano chilometri dalla mia vista e dal mio sentire
dissolta oltre il tunnel fatto e rifatto cento volte
per la sicurezza dei convogli
Un lento abbrivare per il dovunque lasciando le campagne macilente
a destra e a sinistra come fendendo un mare indifferente
la ruota cigola e sobbalza ad ogni mala giuntura
ed è questa la carrozza della mia età sgangherata
senza più comparti né compagni
libera e solitaria
ma prigioniera dei binari
libera di andare lungo i solchi predisposti ma
prigioniera del tempo che le scorre a fianco e dentro
ineluttabilmente
E poi chissà
all’ultima fermata chi ci sarà ad aspettarmi
se il messo angelico saprà del forte ritardo
andrà forse via a consolare altri passeggeri
che la fortuna o il caso
avrà intanto destinato a certe mete sussiegose
Ed io
rimasto solo qui a terra
ascolterò attonito l’annuncio
dell’ennesimo ritardo
verso il rapido smorire
***
Approdo ad un silenzio ritardato
Ciò che mi affollava i sensi ora è svanito
oltre le basse collinette dei detriti
di sabbia di cianfrusaglie e di rifiuti
mentre il treno scivola lento accanto
alla vecchia statale del lungomare
Chiuso nello scomparto mi raggomitolo al posto
prenotato
mi spetta un diritto di isolamento
lontano dai riti quotidiani
Assaggio l’acqua dei ricordi nelle vene
come sangue fluisce nel mio corpo e lo
vivifica
Alle mie spalle c’è tutta una materia dequalificata
ai fianchi il viaggio verso l’unica stazione
Vi giungerò derelitto e impreparato
ma guardingo come chi
sa che è in ritardo
e accampa mille scuse
Ma definitivamente non avrà più scampo
né treno di ritorno
al capolinea
*****
(Da: Sequenze del contrario andare)
Giunti all’apice della foglia non resta che tornare indietro
ma sull’altra faccia
quella più rugosa e capovolta
perchè quando il mondo finisce comincia
la via sghimbescia e non ha pace
la formica
riprende l’infinito giro
così noi
a passetti di tempo e di stagioni amare
cerchiamo l’orlo della vita
senza sapere che in realtà stiamo traslocando
verso un’altra tiritera
Cinzia Demi
Bologna, gennaio 2015
(Nel testo, un quadro del maestro romano Gianni Testa. Galleria Altritaliani)