Su Missione Poesia: Frammenti di felicità terrena, l’ultimo libro di Giovanna Rosadini (Lietocolle 2019), un’autrice che attraverso la sua pacatezza poetica è capace di coinvolgere e commuovere il lettore, creando legami esistenziali e felicità di ricordi, in cui prevale quell’amore per la vita che possiamo solo condividere.
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Giovanna Rosadini è nata a Genova nel 1963, si è laureata in Lingue e Letterature Orientali all’Università di Ca’ Foscari, a Venezia. Vive e lavora a Milano. Ha lavorato per la casa editrice Einaudi, come redattrice ed editor di poesia, fino al 2004, anno in cui è uscito, per lo stesso editore, Clinica dell’abbandono di Alda Merini, da lei curato. Ha pubblicato la raccolta Il sistema limbico per le Edizioni Atelier nel 2008, e altri testi poetici in riviste e antologie collettive. Nel 2010 è uscito Unità di risveglio, per la Collezione di Poesia Einaudi. Per lo stesso editore ha curato Nuovi poeti italiani 6, antologia di voci poetiche femminili che ha suscitato un vivace dibattito e una larga eco, uscita nel 2012. La sua terza raccolta poetica, Il numero completo dei giorni, è stata pubblicata da Nino Aragno editore nel 2014. A maggio 2018 è uscita la sua nuova raccolta, Fioriture capovolte, ancora per Einaudi editore.
Conosco Giovanna Rosadini da sempre per i suoi testi e da qualche tempo anche personalmente. Le sono grata per questa amicizia che mi ha portato a scoprire la sua storia e in specie, per le ultime pagine del libro in esame dove, con assoluta serenità, lei stessa racconta il suo percorso di figlia, di donna, di autrice sottolineando i momenti salienti della sua formazione e quella complessità del ruolo femminile sempre in bilico tra la vita privata e quella pubblica, tra i doveri e i desideri di un ruolo dove ancora risulta difficile far conciliare tutto. Mi piace molto, perché lo condivido, anche il suo parlare dell’esigenza e del piacere della lettura, che l’ha accompagnata sin dalla fanciullezza, e che si è trasformato nel piacere e nell’esigenza della scrittura, se pure più avanti con gli anni. Una scrittura che, come vedremo nel corso dell’articolo, è capace di coinvolgere, emozionare e commuovere il lettore per la verità che porta nell’uso della parola poetica, forte di una rigenerazione esistenziale e di una profonda consapevolezza dei valori che ci appartengono.
Frammenti di felicità terrena
La nostra vita è costellata di frammenti: luoghi, incontri, esperienze, parole. Ognuno di questi contribuisce a formarci, a renderci unici, speciali in qualche modo ma, al tempo stesso, a renderci anche parte di un universo dove si intersecano le vite e le esperienze di altri e si creano momenti comuni, condivisibili. Se poi a questo aggiungiamo il talento artistico, qualunque esso sia, che riesce a raccontare i frammenti, a renderceli visibili, a farci diventare parte di essi per ritrovarci qualcosa di nostro, ecco che si compie il miracolo (io lo chiamo così) della connessione empatica tra l’autore e il fruitore dell’opera. Pensando alla poesia, se questo miracolo si compie, è un qualcosa che non si dimenticherà più, che resterà per sempre dentro di noi e, molte volte, ci troveremo a ricordare i versi di quel poeta in un’occasione particolare, in un momento in cui solo quelle parole si sembreranno giuste per definirlo.
Ebbene, in questo libro di Giovanna Rosadini – Frammenti di felicità terrena – possiamo dire che il miracolo si è compiuto perché la vita rappresentata, che pure separa i vari frammenti in quanto scritti in momenti diversi, tesse comunque una tela omogenea rimandando il senso che l’autrice dà alla poesia, intesa come un’interpretazione del mondo, e offrendo un dialogo costante con sé stessa e con l’altro da sé, perchè siamo davvero ciò che nasce dal rapporto con gli altri, un rapporto capace di allungare la mano al lettore, pur tenendolo in una tensione continua che lo accompagna e lo avvolge, senza sopraffarlo, visto che: È lo sguardo degli altri a mantenerci in vita/siamo un’impronta che rimane al cuore/di chi ci preme, a germogliare sulla ferita/il tralcio, il fiore oscuro che lega insieme. (da: “Fioriture capovolte”).
Il libro contiene una rivisitazione ordinata dell’intera opera poetica dell’autrice, con ampie scelte di testi dalle varie raccolte, pensando a: Il sistema limbico, Unità di risveglio, Il numero completo dei giorni, Fioriture capovolte – una personale riscrittura in versi della Torà ebraica, ovvero l’Antico Testamento -, oltre ad alcuni inediti in forma di breve prosa poetica il cui preludio è dato anche dalla citazione in apertura, ripresa da René Char, fautore del genere. Le tematiche si snodano attraverso percorsi che ci portano a imbatterci nei ricordi d’infanzia e nei valori che derivano dall’eredità, unita agli affetti, che si pensa di tramandare ai nostri cari; al rapporto – a cui accennavo sopra – con l’altro da sé; alla dimensione del sacro ovunque esso compaia e si riscontri, compresi i piccoli gesti del quotidiano.
Ho amato da subito il testo in corsivo che apre il libro, e quei primi versi sono tra quelli che mi porterò dentro: Non lasciare deserta la terra dei ricordi/dentro quel buio fermentato di nostalgia/si accendono bagliori di compiutezza/come quando […] Sei stata felice, e non lo sapevi e ho pensato che, in fondo, la sequenza poetica delle varie sezioni appare come una sorta di lunga e dolcissima nenia che ricorda i canti antichi e consolatori, i rituali che preludono all’accesso al liminare dell’esistenza, all’incontro con il mistero, con l’indicibile senza mai perdere la fede o la speranza in una guida, o in un bagliore di felicità che si avvera, o in una promessa che sarà mantenuta: mi riporti dentro a un tempo/imperfetto di sogni scollati/dal candore, così a lungo eluso… Conducimi, continua, non perdermi e ancora Vettore nel tuo campo di forze,/foglia germinata a una terra sopita,/incrocio sull’atlante che segna confini/saputi il tatto di una nuova sostanza… Questo, so: che ti ho riconosciuto,/e nella città dove vivo non c’è il mare (da: “Sistema limbico”); Non sappiamo/quanto lungo il tempo dell’abbandono, quale/precisamente sarà l’arrivo, se mai ad uno/ giungeremo. Conosciamo solo la necessità./Saremo noi, se ci potremo riconoscere, la terra promessa. (da: “Il numero completo dei giorni”). Anche quando, nei momenti più bui – e l’autrice ne ha vissuto uno molto drammatico, essendo rimasta in coma per tre settimane, dopo un intervento sbagliato, come lei stessa racconta – nulla sembra dirci che potremo farcela, ecco che quel canto, quella fede, quella voce poetica si fanno più forti e all’unisono costruiscono un nuovo modo di vedere le cose: Eppure non mi sono persa,/ho continuato ad esserci,/diversa, ad ascoltare il mondo/da lontano, le vostre voci/sussurrate piano e ancora: Questa stanza è l’utero/che mi partorirà,/questa clinica la madre/ che mi sta formando,/per la seconda vita che/mi sta aspettando. (da: “Unità di risveglio”).
Ma quest’opera non sarebbe completa, a mio avviso, senza la parte che la conclude, ossia i testi inediti che sono compresi nella sezione che dà il titolo al libro stesso. Dico questo perché, al di là della particolare forma che l’autrice ha voluto dargli, scrivendoli in lasse prosastiche, ritengo che stia proprio nelle parole che dicono dei ricordi delle origini, della casa di famiglia, degli affetti dell’infanzia, la modalità di compiersi del nostro cammino, parole che, a un certo punto del percorso di ricerca di sé stessi, dobbiamo incontrare per rinnovare il pensiero in quel luogo e in quel tempo dell’anima che più ci somigliano, ci donano calore, ci fanno sentire al posto giusto dove tutto trova quiete, rende valore alle cose, assume nuova linfa vitale, e si riconcilia non solo con il presente ma anche, e soprattutto, con il futuro unendosi con quello dei figli e con i loro sogni, oltre che con i nostri: Issata sulle spalle di mio padre, partecipe alla salda potenza del suo corpo adulto…; Al parco dell’Acquasola, questo nome che evoca ombre frondose e il tempo lieto e sospeso dello svago,…sotto l’occhio compiaciuto e preoccupato di nonno Giacomo; Uscire dal tempo perché totalmente assorbita in un libro, nello spazio protetto del ruolo di figlia in una famiglia… (da: “Frammenti di felicità terrena”)
Nella pacatezza poetica di Giovanna Rosadini, mantenuta in ogni fase del libro, nella commozione provata in certi passaggi, nella tensione del canto che si impone senza gridare, io mi ritrovo e ne rileggo i versi, e me li annoto, e li faccio miei come se questo legame forte con l’autrice non potesse mai spezzarsi, quale linea parallela che si muove accanto alla mia, congiungendosi a volte a discapito della geometria, dettando quell’amore per la vita che posso solo condividere.
Alcuni testi da: Frammenti di felicità terrena
dalla sezione: Il numero completo dei giorni
Cage within a Cage
Quest’inizio c’è già stato, molto tempo
fa: vuoto sospeso dentro un altro vuoto,
riecheggiata eleganza del gioco – muovendo
dall’informe scuro e roco. Un mondo
è germogliato sui rifugi, nominato foglia
a foglia, stella a stella, sostanza sillabata,
fatta piena – parole accorse a dare forma,
materia germinata, vita moltiplicata sopra
la traccia di un’altra vita, membrana sbiadita
fino al nulla e rinverdita. Quest’inizio parla
una lingua riesumata, fissata nell’eterno
istante in cui è già stata pronunciata –
eternamente prossima ad essere dimenticata.
***
dalla sezione: Unità di risveglio
da Terra di nessuno
Il mio corpo è diventato
un altro.
Non sa più
chi era.
Si perde tutte
le risposte,
mi lascia
senza scampo.
Uno scafandro ottuso
sul fondo del mare.
*
per Paolo e per i miei, cui devo l’essere rimasta
L’ultimo ricordo è la tua voce,
prima che tutto si confonda
e poi sbiadisca, in controluce;
dopo c’è stato un volo nella notte,
un tuffo dentro l’acqua più profonda,
lo scivolare netto dove l’ombra inghiotte
l’aria, e l’onda è un vortice che spiomba…
Mentre ogni cosa rimbomba per voi
che rimanete, a custodire il corpo inerme
chiuso nel silenzio e nell’assenza,
ormai slacciato da ogni appartenenza…
***
dalla sezione: Fioriture capovolte
È lo sguardo degli altri a mantenerci in vita
siamo un’impronta che rimane al cuore
di chi ci preme, a germogliare sulla ferita
il tralcio, il fiore oscuro che lega insieme.
*
Tornami il senso semplice dell’accadere
quella sostanza che innerva le cose
nel loro divenire, il tramonto estenuato
che chiude il giorno estivo, la lingua muta
degli insetti, i confini permeabili
entro cui abitiamo, l’idea di andare,
un giorno, più lontano. Era questo?
Oggi le parole se le mangia il vento
lo sguardo si perde nell’abisso
il gesto rimane incompiuto
e ce ne stiamo, scarnificati,
nel duro silenzio che ci avvolge.
***
dalla sezione: Frammenti di felicità terrena
I.
Issata sulle spalle di mio padre, partecipe della salda potenza del suo corpo adulto e maschile, percorriamo il lungo corridoio di casa in direzione della cena che ci aspetta in cucina, insieme all’altra metà di famiglia (analogamente, mio fratello ama infilarsi nei golf di mia mamma da dietro, e camminare per casa insieme a lei in una comunione ritrovata col suo corpo).
II.
Al parco dell’Acquasola, questo nome che evoca ombre frondose e il tempo lieto e sospeso dello svago, alla pista delle biciclette, aria in faccia e il piacere puro della sfrenatezza, sotto l’occhio compiaciuto e preoccupato del nonno Giacomo.
III.
Approdare al Lido in estate dopo la calura patita nel sedile dietro della Cinquecento della mamma, il sollievo della cabina fresca dove lasciare finalmente i vestiti, il costumino rosso, il brivido azzurro che mi risale all’entrare in acqua nella parte bassa della piscina – fino al piacere intenso dell’immersione completa, sentirsi mobili e a proprio agio nell’elemento liquido che asseconda e sostiene.
Bologna, dicembre 2020
Cinzia Demi