Per Missione Poesia presentiamo oggi una delle voci più significative del panorama poetico contemporaneo: Francesca Serragnoli. Lo facciamo attraverso l’analisi del suo ultimo libro Non è mai notte non è mai giorno, un’opera di alto valore simbolico che nasce dall’esperienza ma approda nella più profonda dimensione spirituale, ricercando la bellezza che diventa elemento centrale “nella sua immisurabile portata”, come direbbe Cristina Campo.
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Francesca Serragnoli, vive e lavora a Bologna, è laureata in Lettere Moderne e in Scienze Religiose. Ha pubblicato le raccolte Il fianco dove appoggiare un figlio (NCE, 2003; Raffaelli, 2012), Il rubino del martedì (Raffaelli, 2010), Aprile di là (LietoColle-Pordenonelegge, 2016), La quasi notte (MC, 2020). È stata tradotta in varie lingue, suoi testi sono apparsi in antologie estere e in volume in Argentina, Spagna e in Romania.
L’ultimo libro pubblicato è Non è mai notte non è mai giorno, uscito per Interno Poesia nel 2023.
Conosco Francesca Serragnoli da molti anni, ovvero da quando, giovanissima, lavorava come segretaria del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna. Ho seguito il suo percorso di autrice di poesia da subito, e da subito ho capito che in lei c’era qualcosa di più di un semplice desiderio di scrivere in versi. C’era il fuoco sacro della poesia, quello che illumina la mano e la mente e fa realizzare testi dalla profondità assoluta, innegabilmente autentici. Merita attenzione, forse anche di più che quella che le viene riservata, e che, dato il suo carattere schivo tende a evitare. Francesca è stata ospite dell’appuntamento di marzo di Un thè con la poesia, a Bologna, insieme ad altre due autrici (Isabella Bignozzi e Francesca Del Moro) di cui troverete i relativi articoli di presentazione in questa rubrica:
https://altritaliani.net/poesia-isabella-bignozzi-e-la-sua-raccolta-memorie-fluviali/
https://altritaliani.net/francesca-del-moro-e-la-sua-raccolta-di-poesie-l/
Non è mai notte non è mai giorno
Il titolo di un libro, specie di un libro di poesie, offre sempre molti spunti di riflessione avendo il compito di indicare la strada che ha seguito l’autore, il compito non sempre esplicabile di riassumere la sua poetica. Non è mai notte non è mai giorno di Francesca Serragnoli detta, indubbiamente, una linea ben precisa partendo dal buio per arrivare alla luce, se pure in una doppia negazione temporale. La domanda che ci poniamo è lecita: perché non il contrario? Perché l’autrice non ha scelto Non è mai giorno non è mai notte per titolare il suo lavoro? Da qui partono tutti i ragionamenti che, se pure possono sforare in un’analisi critica minuziosa – cosa che, come dice Bignozzi nella prefazione al libro, potrebbe non essere necessaria, in quanto in Serragnoli “c’è qualcosa d’inafferrabile che pulsa nel verso”, “al di là delle analisi critiche più minuziose” – ci sembrano doverosi, più per rendere omaggio all’autrice e alla sua opera, che per motivi didascalici o puramente accademici.
Ecco che allora, dato anche il contenuto della raccolta di cui analogamente parleremo, focalizzandoci invece sul titolo, dobbiamo immaginare di trovarci di fronte a una veglia notturna, a quella veglia che segue il passaggio di Cristo dalla terra ai cieli, a quella veglia per la sua morte nella quale, durante la notte, si celebra anche il passaggio di ogni cristiano che attende la resurrezione nel giorno di Pasqua. Una liturgia per la quale potremmo prendere a prestito la definizione di liturgia della luce e nella quale si compie l’irruzione divina nell’umano, illuminandosi il destino dell’uomo stesso. Ecco perché non si poteva scegliere una sequenza diversa: nel titolo del suo libro Francesca Seragnoli, ci presenta da subito la dimensione altamente simbolica del suo lavoro, che parte sì dall’esperienza ma approda nello spirituale più profondo. Un’esperienza che, tra l’altro, chiama a raccolta un immaginario fortemente visivo, un vissuto ritrovato nell’osservazione di dipinti di diversi autori: Quando viene sera//scavato all’osso dalle guance/il rossore dell’ultimo fuoco//in fondo a un miracoloso quadro di Hopper//lei seduta sul letto/nell’ora più calma della notte […]; evocato come scene di un film che racchiudono un quotidiano feriale: […] lasciami scendere/dalla rupe d’argento/di una teiera/il gesto di versare la sera/una miniera d’acqua.//Girati ancora/lasciami la tazza […] e ancora: […] stendo nel petto un continente/scavato da un fiume/un braccio in mare uno in cielo//l’acqua, clochard dei suoi ponti/corre sotto i tuoi occhi/e quando li chiudi nudi sui miei/dal cuore scende/il matto di Amarcord; un indubbio interesse per il valore e la verità della vita reale che si fonde con l’altrove, una cucitura perfetta quasi come un ricamo di punti invisibili che formano un disegno dove la bellezza diventa centrale “nella sua immisurabile portata”, come direbbe Cristina Campo.
Le sezioni che compongono il libro sono sei: Non è mai notte non è mai giorno; In fondo a un miracoloso quadro di Hopper; Quale allegria; L’ultima ad andar via, l’ultima a rimanere; La rana del Borneo; Ospedale dei Guardati e ognuna di queste sembra sconfinare nella successiva coinvolgendo tutti i sensi, ma in specie la vista e il tatto, che diventano strumenti per una narrazione quasi purificata proprio dagli sguardi e dai contatti, illuminata dalla levità interiore, arricchita dagli incontri con i personaggi che si affacciano agli angoli di ogni strada possibile. Il dialogo instaurato con un “tu” a volte reale, a volte immaginario, a volte figura cristologica, intensifica la partecipazione con il lettore che viene coinvolto nella conversazione, come in una relazione narrante a tre dove ognuno assurge a interlocutore dell’altro, attraverso le proprie sensibilità: Credevo fossi tu/fra i gradini i cuscini gli iPhone//fissavo una fontana/battere il capo/nello spigolo della sua trasparenza […].
Certo ci vuole sapienza nell’uso degli strumenti retorici: le rime si fanno audaci ma efficacissime, donando musicalità e ritmo ai versi; le parole azzardano accostamenti inusuali, accoppiandosi in testi dove sembra dominare la mancanza di apparentamento tra lemmi, volutamente disposti a fianco, e quasi pronti a rincorrersi per la ricerca di nessi che poi appaiono invece lampanti; il flusso dei pensieri è denso di contenuti colti e riferimenti agli autori della formazione, non ostentati ma assimilati, a dimostrazione di un lungo e costante percorso di ricerca. È pertanto innegabile che il lavoro di artigianato sulla scrittura da parte della poetessa, da sempre una delle sue doti principali, quella che determina la sua cifra stilistica, quella che fa immediatamente comprendere al lettore di trovarsi di fronte a un suo testo, è ciò che la rende unica e riconoscibile. E non è cosa da poco.
Alcuni testi da: Non è mai notte non è mai giorno
Mi piacerebbe continuare a guardarti
che sposti i bicchieri,
fai nell’aria gesti insulsi
una carezza,
che accenni un sorriso
mi piacerebbe
essere il gelsomino
sfiorato dall’acqua
essere l’acqua immensa
che tiene in bocca
la schiuma del mare
mi piacerebbe fermare
la mano sui fianchi
dove il pettirosso lava
il ciondolo del suo volo
mi piacerebbe incatenarmi
al filo d’acqua
rimanere andar via risalire
mi piacerebbe continuare a guardarti
o stare lì
la sedia
spaccata in un punto
poggiare la tempia al muro
non essere niente
e del niente
essere il tronco cavo
del tuo splendore.
*
Nel tuo sguardo
ci passa l’inverno
un passero abbattuto
incustodita oscurità
la rete scivola sulla spalla
come l’uncinetto di un’ombra
i tuoi tre passi per volare
danno un contraccolpo
che nei miei occhi
un palazzo cede
non è mai notte
non è mai giorno
Michelangelo
tiene chinata la pietà
come una fontana attende
la tua bocca rossa avvicinarsi.
*
Camera 9
Si sono accorti della mia disperazione
loro lo sguardo
cioè niente
lo sguardo di ognuno
che non sa chi è l’altro
quella bifora gelata
quel portone fermato
dal legnetto delle tue mani
l’arcata viva della tua schiena
i fiori di plastica
davanti a Sant’Antonio
loro che non sanno chi è l’altro
che accendono una candela
sfregandosi i capelli
loro l’ospedale dei guardati
gli intubati di Dio
in quel viso sgangherato
legato a una cordicella
qualcuno getta
un pugno di semi
e li chiama con un fischio.
*
Il tuo sorriso
stringe una spugna
di mare caldo sul ventre
non sai quando apri e chiudi
cosa sia
cadere in quell’acqua
che ti cade dalle mani.
*
Sono l’ultima ad andare via,
l’ultima a rimanere
quando apri e chiudi la finestra
siedo in una panca di vento
alzo gli occhi dalla terra al cielo
come chi segue il volo di una rondine
rimango come quelli che vagano
nelle stazioni, nei bar
siedono come i clochard.
Quando apri e chiudi la finestra
il mio cuore entra ed esce come l’aria
e come l’aria ferma
nella notte
è l’ultima ad andar via
l’ultima a rimanere.
Bologna, marzo 2024
Cinzia Demi
(logo credit foto Lucrezia Figatti)
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi : https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/