La passione, le ingenuità e le ipocrisie di una cosa chiamata rivoluzione. Un tempo motore del cambiamento, sogno di una violenza catartica che cambiasse l’iniquo corso delle vicende del mondo. La parola che era più usata dalle giovane generazioni. L’atto di violenza consapevole che fu di tanti protagonisti del Novecento ha ancora una sua forza attrattiva? Esiste ancora la rivoluzione e se si cos’è? Un “controcanto” partendo dalla Rivoluzione partenopea del 1799 raccontata dalla cronista Eleonora Puntillo.
Anche oggi si assiste a rivoluzioni che sono utopistiche. A potenze straniere che intervengono nelle vicende interne di altri paesi creando sfere più o meno efficaci d’influenza. La piccola Grecia che sogna di far cambiare verso ad una Europa chiusa nel suo burocratismo e tra gli egoismi incrociati dei singoli stati. Oggi più che l’estremismo ideologico, smuove i sentimenti di molti giovani , movimenti e partiti come Podemos in Spagna, Syriza in Grecia e finanche i Cinque Stelle in Italia. Ma è possibile ancora la rivoluzione, cosi come le generazioni passate le hanno immaginate?
Eleonora Puntillo, nostra collaboratrice, ma anche cronista di diversi giornali a partire dal mitico Paese Sera, scrisse per la Tullio Pironti Editore, nel 1999, per il bicentenario della rivoluzione partenopea, questo: “Diario 1799” – giorno per giorno la Rivoluzione partenopea del 1799.
Con taglio da cronista e con un meticoloso lavoro di documentazione la Puntillo ci fa vivere quei giorni di utopia rivoluzionaria che fu la breve stagione della Repubblica partenopea. Ne leggiamo il resoconto di una giornata, ma a ben vedere è sufficiente a farci riflettere su quanto oggi avviene da noi e in giro per il mondo. Insomma esiste ancora la rivoluzione e se si cos’è?
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Tratto da: Diario 1799 [[“Diario 1799” di Eleonora Puntillo. Ed. Tullio Pironti – Napoli con la collaborazione dell’Istituto italiano per gli Studi filosofici di Napoli. Prima edizione dicembre 1999.]] – Anche San Gennaro diventa giacobino.
Napoli 16 – 17 Fiorile Anno I della Repubblica Napoletana
(domenica 5, lunedi 6 Maggio 1799)
Miracolo velocissimo: appena dieci minuti e il prodigioso sangue di San Gennaro s’è liquefatto, alla presenza del comandante in capo dei francesi Jacques Macdonald (tornato da Capua in Terra di Lavoro dove l’armata s’è accampata avendo del tutto evacuato la citta), di numerosi ufficiali, di molta truppa civica e di molto popolo.
Il primo sabato di maggio è caduto in questo 4 (15 fiorile col nuovo calendario senza santi né feste); la processione con il busto del Santo che va incontro alle teche col sangue s’è fatta dalla Cattedrale fino al Gesù Nuovo della Trinità maggiore, essendo aboliti i Sedili antichi ai quali a turno toccava l’onore di ospitare il prodigio e solo ai nobili di presenziarvi.
Il generale era accanto all’arcivescovo Giuseppe Maria Capece Zurlo e, come ci ha riferito l’avvocato Carlo de Nicola, mostrò grande meraviglia e mormorò “Avete un Santo vivente e noi lo difenderemo col nostro sangue”. Ma ben diverse sono le versioni ascoltate poi negli ambienti del comando francese: Macdonald dopo le commosse parole pronunciate nella chiesa, si sarebbe vantato con i suoi dicendo
“Son stato io a fargli fare il miracolo in nostro favore”; e il suo fido aiutante, l’ufficiale Paul-Dieudonné-Adrien Thiébault, sostiene che nella grande chiesa dalla facciata bugnata c’erano due compagnie di granatieri armati disseminati fra i fedeli, perché si temeva una sommossa di lazzaroni nel caso che il sangue non si fosse sciolto, segnalando cosi il Patrono la sua disapprovazione per la Repubblica e i francesi.
E poiché il prodigio pareva tardare – ha raccontato ancora l’ufficiale – qualcuno mormorò all’orecchio del Cardinale parole che dovean essere assai eloquenti e decisive, visto che questi tremante (anche per la vecchiaia) passò la sacra ampolla ad un altro prelato e il sangue si sciolse immantinente.
Il suo primo prodigio “repubblicano” San Gennaro l’aveva fatto senza pubblico la sera stessa in cui entrò in Napoli il generale Championnet (fu l’arcivescovo a darne notizia); e s’è saputo solo ora che San Gennaro aveva negato il miracolo al re Ferdinando il 16 dicembre durante i terribili trambusti che ne indussero da li a poco la fuga verso Palermo.
Il governo napoletano è stato del tutto assente alla cerimonia di sabato scorso. La signora Eleonora Fonseca Pimentel che dirige e scrive il “Monitore Napoletano”, e con energiche parole sa farsi ascoltare da maggiorenti repubblicani, era invece presente ed è corsa via presto verso la casa-redazione di Salita Sant’Anna di Palazzo a pochi metri dalla via Chiaia (tornò infatti nel quartino di donna Maria Galliani moglie del marchese Marcello Sifola, dove venne arrestata nell’ottobre); a motivo della sua fretta donna Eleonora annunciava al gruppo di amici che l’accompagnavano, il dover stilare un articolo con non poca rampogna per questa assenza.
La dotta signora diceva anche che il culto di San Gennaro è molto importante per il popolo e che il rapido prodigio per esso popolo significa che anche San Gennaro s’è fatto giacobino. Per conferma mostrava le scene di fraternità che s’andavano vedendo fuor della chiesa, con popolani e giacobini a braccetto a gridare “evviva” e cantare insieme addirittura la “Carmagnola”, prima tanto odiata. Il fatto è che nel governo son tutti o quasi “liberi pensatori” convinti che miracoli, prodigi, santi, madonne, sian solamente orribili superstizioni; la signora Fonseca invece dice che adesso i francesi e repubblicani han fatto diventare San Gennaro ancor più popolare di quanto il miracolo era riservato ai nobili nei Sedili e che il governo avrebbe dovuto assistere a questa “approvazione del cielo per la Repubblica”, cosi come avrebbe dovuto far valere il miracolo avvenuto con l’ingresso in Napoli di Championnet, come anche quell’eruzione del Vesuvio che era quasi fuoco d’allegrezza il 23 gennaio, dopo che venne proclamata la Repubblica.
Ma in questi giorni il governo è preso da altre e terribili vicende, coma le insurrezioni (ieri pervenne notizia di rivolte borboniche a Monteforte, Avellino e paesi vicini del Principato Ulteriore; è interrotta la via delle Puglie e non giunge neanche la posta); ed è motivo di non lieve preoccupazione la assai sospetta ritirata dei francesi che lasciano la città a patrioti non bene organizzati e malamente armati.
Continua poi a suscitar sospetti e insinuazioni la scomparsa della scena politica di Carlo Lauberg, che è stato il primo presidente del primo governo repubblicano: egli venne addirittura arrestato con accuse di malversazione avanzate da persone che non gradirono la forzata riscossione della tassa per mantenere l’armata francese.
Subito scarcerato, Lauberg pare che sia di nuovo in esilio, sorte già da lui conosciuta quando scampò nel 1794 alla forca borbonica grazie all’aiuto dei suoi amici e dei suoi seguaci.
Eleonora Puntillo
Carmagnola (‘a Carmagnole)
In piena Rivoluzione, nel 1792, i Sans-coulottes francesi adottarono la giubba. il berretto frigio ed una ballata, con il testo adattato agli avvenimenti, li chiamarono “La Carmagnole”, diffondendoli nell’intera Francia e nei territori conquistati da Napoleone. “La Carmagnole” divenne “la canzone delle Rivoluzioni”, l’invito alla lotta contro i Potenti, per cui Napoleone la vietò nel 1806, ma i popolani d’Europa continuarono a cantarla.
Nel 1799 con l’arrivo dei Francesi, a sostegno della Repubblica Partenopea proclamata dai Giacobini Napoletani, “la Carmagnola” giunse a Napoli.