Si è spento ieri a Roma Bernardo Bertolucci, uno dei più grandi registi italiani. Originario di Parma, era malato da tempo. Autore fra i più rappresentativi e conosciuti a livello internazionale, ha attraversato la storia del cinema con capolavori come “Il Conformista”, “Novecento” e “Ultimo tango a Parigi”. Nel 1988 vinse l’Oscar con “L’ultimo imperatore”. Ce ne parla Maria Cristina Nascosi Sandri.
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(…)
se il cielo offuscandosi, e poi
schiarendo per un sole più forte,
ci saremo trovati
là dove vita e morte hanno una sosta,
(…)
Da Portami con te,
tratto dal poemetto Viaggio d’inverno,
di Attilio Bertolucci, 1971
Al padre Attilio non l’univa solo la parentela, ma, soprattutto il DNA: avevano entrambi nel sangue – e nelle loro radici terragne, tutte emiliane, la Poesia, l’Arte, il Cinema ed anche il fratello Giuseppe, ottimo regista di film intimi, profondi e, da ultimo, presidente della Cineteca di Bologna e mancato, lui, il più ‘piccolo’, nel 2012.
Anche Bernardo aveva esordito come poeta ed apprezzato subito, meritando importanti riconoscimenti, come il Premio Viareggio ottenuto a vent’anni.
Ma la frequentazione del padre con Giorgio Bassani, di cui era stato sodale e compagno di università a Bologna, alla scuola dell’immenso Roberto Longhi e poi con Pier Paolo Pasolini – lui pure poeta di ‘nascita’, non a caso – fece sì che si dedicasse al cinema a tutto tondo, iniziando come aiuto-regista di PPP per Accattone, nel 1961 e poi lavorando ad un soggetto sempre di PPP, La commare secca, la sua opera prima, del 1962, presentata alla 23ª edizione della Mostra di Venezia.
« La lezione di Pier Paolo è stata fondamentale per me – aveva dichiarato qualche anno fa in intervista, alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, ospite amatissimo, arrivato in sala sulla sua carrozzina a rotelle che ormai faceva parte della sua vita – i ragazzi di vita son divenuti parte della mia, di vita (cfr. proprio le performances de La commare secca, n.d.r.) ».
Con Marco Bellocchio aveva vissuto, lavorato e condiviso gli anni Prima della Rivoluzione (suo film del 1964) – quel Sessantotto, dopo il quale il mondo non fu mai più lo stesso.
Ma non dimenticò mai la ‘lezione letteraria’, conditio sine qua non e cifra stilistica, umorale e contenutistica dei nostri più grandi registi del secol breve.
L’aveva ‘trattenuta’ ne Strategia del ragno, un film del 1970, prodotto dalla Rai.
Presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, fu trasmesso in televisione nell’ottobre 1970, con un ridottissimo seguito, perché venne distribuito sporadicamente nei circuiti d’essai e nei cineforum dei primi anni Settanta. Il film si ispira per l’appunto letterariamente e liberamente a un racconto di Jorge Luis Borges, Tema del traditore e dell’eroe.
E dire che si era avvalso di grandi ed allora giovani professionisti, come l’eccellente Giulio Brogi, oltre ad una matura ed iconica Alida Valli e poi Vittorio Storaro, Maestro della Luce-Fotografo di scena e Roberto Perpignani, montatore ‘cresciuto’ alla dura scuola di Orson Welles.
Poi Bernardo passò all’internazionalità, divenendo veramente uno dei più grandi con le sue grandi pellicole: il colossal Novecento, Ultimo tango a Parigi – il suo film-scandalo, manifesto dell’incomunicabilità in amore, riscattato non ‘troppo’ tempo fa, con tematica-madre anche de Il tè nel deserto dove turista e viaggiatore divengono due tipi di esistenza tutte da imparare e da vivere e per cui, enfin, morire, glossato musicalmente da Riuychi Sakamoto e poi Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore, il film da nove Oscar, tra cui miglior regia e sceneggiatura.
Nel 2007 gli viene conferito il Leone d’oro alla carriera alla 64esima Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2011 riceve la Palma d’oro onoraria al 64° festival di Cannes. Dirige l’ultimo film nel 2012, Io e te, tratto dall’omonimo romanzo di Nicolò Ammaniti che ha meritato il Nastro d’argento dell’anno 2013 del S.N.G.C.I., il Sindacato Giornalisti Cinematografici Italiani di cui fa parte anche chi scrive.
Nel 2011, ancora alla Mostra del Cinema di Venezia, la 68a, era stato chiamato a consegnare a Marco Bellocchio il Leone d’oro alla carriera – un ideale ricongiungimento con l’antico sodale.
»Mi onora e mi commuove che sia Bernardo Bertolucci a consegnarmi il Leone – aveva dichiarato Bellocchio – Pur percorrendo strade diverse, c’è sempre stata tra noi due reciproca attenzione, stima ed affetto. Due prestigiosi premi alla carriera (la Palma alla carriera a Bernardo e il Leone a me) nello stesso anno sono, oltre che un riconoscimento artistico importante, l’immagine di una ripartenza per altre avventure umane e artistiche che spero possano durare ancora a lungo ».
Nel 2013 era stato chiamato a presiedere la 70a Mostra del Cinema di Venezia.
Con molta ironia disse:
« Ho accettato con allegria di presiedere la giuria della Settantesima Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia. In una manciata di giorni mi si regala la possibilità di vedere quanto di più interessante sta accadendo nelle cinematografie di tutto il mondo. (…). Ed è la mia seconda volta! Nel 1983 la Mostra celebrava la sua 40a edizione. La mia giuria, composta quasi tutta di registi non poteva che premiare Jean-Luc Godard, per il suo splendido « Prénom Carmen », lui il principe della Nouvelle Vague a cui tutti noi dovevamo tanto e che non aveva mai avuto un premio importante nella sua vita. Allora ai film chiedevo sorpresa e piacere. Non sono molto cambiato ».
Tre le donne (e mogli) della sua vita: l’attrice e sua musa Adriana Asti, poi Maria Paola Maino che sposò nel 1967, scenografa e costumista e pure sua collaboratrice, e dal 1978 fino alla morte, la più importante, Claire Peploe, sceneggiatrice e regista, naturalmente sua collaboratrice e, prima, autrice insieme con il fratello Mark di Professione: reporter di Michelangelo Antonioni, con cui aveva avuto una relazione ai tempi di Blow up e che era stata pure sua, collaboratrice, per il soggetto e la sceneggiatura di Zabriskie Point.
L’ultima intervista, Bernardo l’aveva rilasciata nella primavera del 2018, all’indomani dell’uscita di una versione restaurata di Ultimo tango a Parigi.
“Rivedere Ultimo tango a Parigi mi ha fatto venire voglia di lavorare ancora – aveva ammesso – Il tema dell’amore, della comunicazione e, forse, dell’incomunicabilità – un ‘male’ sempre attuale – saranno la mia ispirazione… ».
Maria Cristina Nascosi Sandri