Vince Musumeci della destra. M5S primo partito in Sicilia, ma non sfonda. Flessione PD e flop della sinistra di Fava. 53% i non votanti nell’isola, un dato che fa riflettere. Si riapre il dibattito politico in una democrazia che, per molti versi, appare in crisi e con la politica che sembra lontana e poca attrattiva per molte persone, specie per i giovani. L’eterna domanda resta: che fare?
Il PD perde; Su questo non ci piove. Vince la destra (appena due mesi fa il borsino delle elezioni dava sicuro il successo dei 5 Stelle) e senza neanche l’aiutino dell’estrema sinistra che con il suo 6% non avrebbe alleggerito più di tanto la debacle del candidato Micari.
Il voto siciliano è un voto regionale, di una regione a statuto speciale. L’isola da sempre si è sentita una cosa diversa dal « continente ». Sarebbe un errore grave e tipicamente italico, quello di confondere e mescolare le cose. Noi di Altritaliani siamo convinti che le politiche sono politiche, le comunali sono comunali e cosi le regionali ed abbiamo contestato l’uso politico che fu fatto del referendum costituzionale fino al punto di snaturane il senso del quesito.
In Sicilia doveva vincere Grillo e cosi non è stato. Resta che l’exploit dei pentastellati è comunque ragguardevole arrivando al 27% dei voti, ma sfogliando i dati emerge un fatto che sembra ormai un trend costante di ogni consultazione elettorale, il numero enorme di astenuti. In Sicilia al voto meno del 47% degli aventi diritto, il che vuol dire che per molte persone la politica è uscita dalla propria agenda delle priorità.
Sarebbe follia pura credere che più del 50% dei siciliani abbia voluto esprimere una protesta, si tratterebbe dell’ennesima banalizzazione e strumentalizzazione dell’informazione. La realtà è che molta gente ha perso interesse verso la politica tutta, anche verso quelle forze politiche che, ha torto o ragione, si propongono come forze anti-sistema. Questo non per una sfiducia generalizzata nelle istituzioni, ma semplicemente perché sono diventati prevalenti interessi più minimalisti ed intimi, oppure di diversa partecipazione sociale e culturale.
Neanche i 5 Stelle, malgrado Grillo e i suoi colonelli abbiano messo tenda nell’isola per quattro mesi, dilapidando il proprio finanziamento pubblico, catturano più i voti dal muro compatto dei non votanti e questo la dice lunga sull’interesse degli italiani verso il voto.
Un ulteriore segnale del male che nuoce alla nostra democrazia, che forse avrebbe avuto bisogno di una legge elettorale che fosse più chiara e che con un « sano » maggioritario avesse sfoltito il numero di partitelli a favore di una governabilità e di opposizioni più chiare e visibili.
Purtroppo l’esito del referendum costituzionale e la successiva sentenza della Suprema Corte hanno aperto le porte ad una rievocazione del proporzionale, seppure addolcito, con la legge Rosato. Una legge che decisamente non favorirà il PD, ma la destra. Del resto questo è quanto dopo che il principale partito di governo dovendo, suo malgrado, rinunciare al maggioritario, le ha provate tutte per dare una legge che favorisse una migliore e meno « compromessa » governabilità. Come si sa i diktat reciproci nel parlamento hanno portato inevitabilmente a questa controversa legge.
Ma torniamo in Sicilia dove la cosa più evidente è che il PD renziano, ne esce sconfitto anche se appare evidente non in termini di voti. La vittoriosa elezione di Crocetta nel 2012 registro’ un PD al 13,7% (erano i tempi di Bersani) mentre domenica il PD si è fermato ad un 13,3% con uno 0,4% in meno (circa 7000 voti in meno). Visto la controversa gestione regionale di Crocetta che non è stato mai amato dal nuovo corso PD, si puo’ dire che al di là di una certa informazione spettacolo e da Gazzetta dello Sport, i numeri raccontano di una storia meno drammatica.
Per la verità, a volerla dire tutta l’estrema sinistra o, se preferite, la vecchia sinistra dei Bersani, D’Alema e Speranza, hanno contribuito ben poco alla sconfitta dei democratici, attestandosi poco sopra il 6% pur avendo un candidato ben radicato in regione come Fava che aveva un accattivante lista che evocava, un po’ retoricamente, i Cento Passi di Peppino Impastato. Un dato che fa riflettere e che fa dire che questo variegato rassemblement a sinistra del PD non ha intercettato i voti di eventuali delusi del suo nuovo corso, se è vero, come è vero, che incredibilmente nel 2012, la misconosciuta Giovanna Marano che in extremis fu candidata invece di Fava (che non aveva residenza in Sicilia) arrivo’ addirittura al 6,2% contro gli attuali 5,3% divenuto poi 6,1% col voto disgiunto, della « sinistra sinistra » che quindi registra rispetto alle precedenti elezioni siciliane un meno 0,9%, quasi un punto.
Certo la divisione a sinistra, specie in chiave nazionale andrebbe ricomposta. Gianni Cuperlo ha giustamente rilevato che la sinistra divisa perde e perde tutta. Una giusta osservazione ma ci sarebbe da chiedersi se una ricomposizione di quello schieramento tra innovatori e conservatori non richieda un processo di sintesi che sia anche frutto di una seria e severa autocritica. L’autocritica è un processo ricorrente nel PD (dopo le scorse amministrative, dopo la sconfitta referendaria, dopo la Sicilia non sono mancate certo le analisi e le critiche), un processo che ha portato anche a riconsiderare il ruolo che deve giocare Renzi ed in queste ore si pensa ad un’ipotesi di non presentare un leader per le politiche affidando il tutto, nello spirito della nuova legge proporzionale, al dopo voto. Ma viene da chiedersi se la vecchia sinistra sia pronta ad elaborare un’autocritica che fin qui non si è mai vista e se sia per essa necessario mantenere in pole position personaggi ormai decotti come D’Alema e lo stesso Bersani e non provare a propria volta un rinnovamento anche negli uomini.
Esiste, tuttavia, un grosso problema nel PD che certamente va al di là dello specifico siciliano. Già c’è chi monta l’onda mediatica del « liberiamoci di Renzi! Dagli all’untore e cosi via ». In realtà, il problema, purtroppo, non è Renzi. Cosi fosse basterebbe effettivamente allontanarlo e voilà i giochi sarebbero fatti. Il punto è un altro ed è che al centro non c’è nulla, tanto che il PD dovrebbe chiedersi se non sia l’ora di occupare quell’area politica, il che non vuol dire che si deve essere moderati e conservatori. E’ possibile anche costruire un centro che lavori per riammodernare il paese, per fare avanzare i diritti civili (a cominciare dallo Ius Soli), per riprendere quell’onda di speranza che segno’ la rapida ascesa del renzismo, forse troppo presto sacrificata, nel nome della ragion di Stato, con un governo che di cose buone ne ha fatto e che sono registrate da tutti dall’OCSE, all’ISTAT, dalla UE alla Banca di Draghi fino alle agenzie di rating internazionali, ma che nel percepito di molti non ha lasciato il segno.
Del resto a « sinistra » del PD non si raccolgono messi di voti ed anzi appare sempre più evidente che quella frastagliata area, unita oggi da rancori personali, appare priva non solo di idee ma anche di progetto politico, riducendo sempre più la sua presenza ad una testimonianza peraltro sempre più afona.
Il punto non è liberarsi di Renzi, che peraltro gode di una netta maggioranza di consensi tra simpatizzanti ed iscritti come le ultime primarie hanno dimostrato, il punto è che oltre a Renzi ci si dovrebbe rinunciare anche a quegli elementi di novità a sinistra che proprio il sindaco fiorentino ha portato a partire dalla « sua Leopolda ».
La questione è quindi molto più complessa ed il vero tema in Sicilia come in Italia diventa riconquistare gli italiani alla politica e se la destra confusa di Salvini e Berlusconi e il populismo grillino non scaldano più il cuore oltre questa soglia che sembra confermarsi nelle varie turnazioni elettorali, occorrerà ritrovare quello slancio e quelle speranze verso una politica nuova, moderna, che premi l’impresa e il merito che ridia un ruolo centrale alla politica rispetto all’economia, che nel mondo globale appare oggi preminente, mentre proprio la politica fatica ad uscire da una sua visione ridotta e nazionalista. Occorre poi ritornare alle proposte concrete, forse sarà un caso ma fa riflettere che per la scelta del nuovo governo siciliano abbiano votato meno del 47% degli elettori, mentre nel Veneto, per un referendum consultivo sul federalismo fiscale abbiano votato il 53% degli aventi diritto. Qualcosa vorrà dire.
La Sicilia ha da sempre una vocazione conservatrice e quindi il successo di una destra (anche con un 40% di voti) ancora divisa tra europeismo e lepenismo, non puo’ sorprendere specie considerando che i 5 Stelle sembrano avere difficoltà ad andare oltre questi numeri (che costituiscono la soglia protestataria del paese), forse anche per la preoccupazione, di parte dei votanti, di consegnare ad un gruppo con poche idee e non chiarissime la regione, specie in considerazione delle pessime performance amministrative avute fin qui nei comuni grandi e piccoli da loro gestiti.
E’ la politica tutta che deve fare i conti con una realtà irrimediabilmente cambiata dopo il 2007 e la più spaventosa crisi economica degli ultimi secoli.
Il problema più che le persone sono le idee e i programmi e cosi il PD di Renzi e Gentiloni, chiusi nel governo, non sono una risposta sufficiente, pur con i loro meriti, occorre ridare speranza ed entusiasmo ad una massa di cittadini che è sempre più lontana dai palazzi della politica. Occorre un PD che guardi alla società italiana ed abbia il coraggio di fare proposte forti ed in grado di risvegliare le speranze e le coscienze degli italiani.
Egualmente a destra non basta vincere come in Sicilia occorre anche convincere e questo è più difficile se le differenze politiche sono cosi nette. Lo stesso movimento grillino deve porsi un’aspirazione di governo, aspirazione che resta tale se non si rinuncia ad un preteso purismo che è smentito dai fatti, se si continua a credere che la cosa pubblica possa essere gestita da dilettanti e se non si comprende che la politica è arte della mediazione e che il governo di coalizione nel Belpaese è oggi più che mai di moda.
Nicola Guarino