Di Michele Paoletti la raccolta poetica ‘Foglie altrove’ dedicata al figlio Dario

Su Missione Poesia un nuovo articolo per Michele Paoletti e il suo Foglie altrove, un libro dedicato al figlio Dario, con una prospettiva che si evolve tra il gioco nuovo e il vecchio, in una sequenza di partiture dove si sviluppano temporalmente e metaforicamente le quattro stagioni del tempo e della vita.

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Foglie Altrove recensione AltritalianiMichele Paoletti (17 Luglio 1982) è nato e vive a Piombino (LI). Si è laureato in Statistica per l’economia presso l’Università degli Studi di Pisa. Ha pubblicato le raccolte Foglie altrove (Arcipelago Itaca 2020), Breve inventario di un’assenza (Samuele Editore 2017) e Come fosse giovedì (puntoacapo Editrice 2015). Una selezione di testi tratti dal volume Foglie altrove è apparsa nel n. 56 – Autunno 2019 della rivista “Gradiva” (in Semina lumina – La giovane poesia italiana a cura di Giancarlo Pontiggia, Leo S. Olschki Editore). Collabora con siti e blog letterari e coordina l’associazione culturale “Assaggialibri” che organizza eventi e presentazioni di libri. Recentemente è uscito anche con un libro per bambini Agostino. Storie in rima (Pietre vive, 2022).
Per altre info sull’autore segnalo un mio precedente articolo su Altritaliani QUI

Foglie altrove

Dopo le raccolte Come fosse giovedì (puntoacapo, 2015) e Breve inventario di un’assenza (Samuele Editore, 2017) Michele Paoletti esce nel 2020 con Foglie Altrove (Arcipelago Itaca Edizioni). Per parlare di questo libro è imprescindibile rivolgere un pensiero almeno al precedente, al quale si aggancia, si lega inevitabilmente, e del quale questo secondo è in un certo senso la sua continuazione.

recensione AltritalianiCosì, se Breve inventario di un’assenza celebrava in realtà una presenza forte – quella del padre dell’autore che, se pure scomparso era, ed è, vivissima dentro di lui – e la celebrava con l’enumerazione non solo dei ricordi e delle emozioni vissute in particolari momenti della vita con lui, ma anche attraverso il racconto di quella presenza, di quei ricordi da parte degli oggetti, delle cose, anche delle più minute, andando a dimostrare che ciò che resta è ciò che ci appartiene ormai definitivamente come un’appendice da cui, forse, non ci allontaneremo mai, è ciò che avrà un posto per sempre dentro di noi, fondendosi oggetti con ricordi ed emozioni che, attraverso l’espediente stilistico del correlativo oggettivo, si fanno tutt’uno nella mente dell’autore, che ce ne restituisce l’integrità e la profondità d’insieme.

Così, dicevo, tra metafore afferenti alle radici, invenzioni sul passaggio della dimensione della vita, metamorfosi che portano alla necessità di testimoniare, si sviluppa il libro precedente di Paoletti, ecco che il nuovo Foglie altrove ci appare, come anticipato prima, la naturale continuazione di quel discorso, di quel filo indiscusso che lega figli e padri e padri e figli, in un continuo ritorno al passato e sguardo al futuro. E proprio tra questi rimandi si apre Foglie altrove che, non a caso, è dedicato al figlio Dario, in una prospettiva che si evolve tra il gioco nuovo e vecchio, e in una sequenza di partiture dove si sviluppano temporalmente e metaforicamente le quattro stagioni del tempo e della vita.

Per iniziare questa nuova raccolta Paoletti usa un verso di Bonnefoy: Même au-delà du temps le jour se lève (anche al di là del tempo il giorno nasce) ed è proprio in questa nascita, che è anche rinascita, che si fonda la sua poetica dove la natura si interseca inevitabilmente con la vita e con lo “stare al mondo”…, la conduzione dello “stare” intesa sia come presenza che come resistenza è essenziale, specie nella prima parte del libro e si aggancia all’atto stesso di vivere i giorni, di respirare, a ciò che tiene attaccati alla terra, al rimanere, allo stare nell’aria e con gli oggetti che ci stanno addosso (ecco che tornano gli oggetti) ed apre alla dimensione della luce, grande e incredibile protagonista della seconda parte del libro, dedicato alla stagione invernale. Si perché uno potrebbe pensare che la luce riguardi più la stagione estiva mentre invece qui è nell’inverno che si scopre, si chiama, si prega, si coltiva quella luce che poi sfocerà nella terza parte del libro La luce nei cortili.

Dunque la luce: perché la luce, cosa rappresenta, specie quella invernale? Penso che si possa pensare alla luce dell’attesa,  quella che si spande dalla coltre di neve, dove sotto avviene la gestazione dei semi (e quindi ancora della nascita), è la luce del fuoco che riscalda, di una luna che in una notte di gelo illumina a giorno la vita, di quel poco sole che fa comunque brillare (e anticipa in questo senso la terza sezione) i cortili dove ci si rivede bambini a guardare gli anziani giocare a bocce e non ci si immagina mai con le loro rughe (pensiero condivisibile, ovviamente, se pure sembra gettato lì a caso, ma che trattiene la punta di amarezza di chi si accorge che il tempo intanto passa, il giorno si leva e in un attimo ci si ritrova in quella condizione di vita, in quell’età che non si riesce a immaginare da bambini). E ancora la luce è quella di un’inaspettata primavera precoce, che si arriccia sul mare e aggroviglia i voli degli uccelli. In questa luce, naturalmente, si intravede anche un senso del divino che tutto ricopre, che tutto osserva e conserva arrivando al memoriale dei cortili, quello di un’infanzia che non ha molte parole ma una sola voce che chiede di crescere, quello che porta con sé un’adolescenza fatta di aspettative spesso deluse, una possibilità di crescita che fallisce, la promessa nell’estate che incalza e brucia.
C’è tutta la misura dello sfondo della città di Paoletti, Piombino (che è anche la mia, quella dove sono nata), in questi versi della terza sezione, commoventi a tratti – specie per chi questo sfondo lo conosce bene, con le ombre della fabbrica a segnare il cammino – e delle presenze pronte a immaginare il proprio futuro.

Ma è nella quarta sezione del libro, in Seme che sorge – che per me si lega incredibilmente a quel Seme del piangere che fu di Dante, e successivamente di Caproni -… qualcuno si chiederà il perché di questa mia visione, ma è presto detto: quei versi “udendo le sirene sie più forte/pon giù il seme del piangere ed ascolta” (Purgatorio, XXXI, vv. 45-46) con i quali Beatrice esorta Dante a chiudere con il passato e a resistere al canto delle sirene (per Dante il passato è percepito come un errore, mentre Caproni rievoca e riconquista un passato che gli ha bagnato la mente), questi versi, dicevo, si insinuano tra quelli di Paoletti che apre alla nascita del figlio, alla nascita di Dario, quasi incitando sé stesso a non rivolgersi più al passato, ad andare avanti e a guardare al futuro anche se questa parte di sé già da quel sé si separa. Eppure il rimanere vicino al figlio, dimenticandosi del resto, il cadere in un abbraccio cieco, il sentire in una sola voce tutte le voci del mondo, il conoscersi senza sapersi… tutto questo sta davvero in quel seme che sorge, che ricorda il mondo dell’estate, l’incitazione al non piangere, al conservare i ricordi e le emozioni ma anche a guardare avanti, al futuro, a questa nuova vita alla quale consacrare una nuova promessa che porta con sé tutto il sapore di un luogo, tutta la carne e il sangue e lo spirito dei propri padri e delle proprie madri… una nuova vita, un figlio a cui affidare il nome del proprio padre, un figlio che porta luce e senso dello stare, che porta amore e voce di un nuovo tempo.

Alcuni testi da: Foglie altrove

Da qui le montagne sembrano sagome dure,
cartone tagliato da mani piccine
usando la scatola del panettone.
La bici è ghiacciata in giardino,
la camera d’aria abbozza un sorriso
al bimbo che si avvicina a guardare
con un filo di vento impigliato
nei polsini di un maglione già stretto.
Oggi è il trentuno, si strappa una pagina:
gennaio, domenica, qualcosa da cui
ripartire. Appendere al chiodo dei giorni
un fascio di fogli più chiari.

I.
Quattro stecche da saltare
non fanno un cortile
né un’infanzia felice
             eppure era tutto qui
inciso nelle cose prima che le toccassi.
Bastava abbandonarsi al vento
lasciarlo suonare nelle ossa
come in quel canneto sul bordo
della scogliera, a precipizio.

II.
Quattro stecche prima di cantare
la solita canzone
             era un appiglio la musica
             le stesse note, lo stesso motivetto,
un salvagente di parole
intorno al capo.
Mi lasciava ancorato sul fondo delle cose
in quel cortile, in un lieto fine certo
             eppure ogni volta immaginato.

PROMESSA

I.

Ti ho portato al mare
per ricucire una promessa
         la spola delle onde contro
         la scogliera chiara, l’estate
         che scottava la mia pelle bambina.
Qui si torna all’origine
nel buio rivoltato della terra,
i nomi sono suoni tra la schiuma
         l’infanzia scivola tra l’intreccio delle mani
precipita nell’acqua, senza traccia.

II.

Tu sei la traccia, il contorno
di una gioia ripetuta,
l’onda incessante sulla stessa pietra.
           Quell’onda smemorata, buia onda
           che raccoglie la luce e la sparpaglia.

III.

Pochi bambini sulla spiaggia,
gabbiani randagi che rivoltano le alghe
come se cercassero un ricordo.
Tutto è cambiato,
non c’è neppure il palo per le biciclette.
             Anche le pietre non sono più le stesse
spaccate da un taglio verticale
mostrano la polpa polverosa,
il fallimento del tempo e delle cose.

IV.

Falliremo anche noi ma per adesso
tieni stretta questa promessa d’acqua.
Il mare sa dove tornano le cose,
conosce il linguaggio delle rocce.
              Tutte le voci sott’acqua si assomigliano
non serve un esercizio di fiducia
basta tendere l’orecchio
e sentirai un’eco orizzontale.
Tutti i nomi. Promesse mantenute.

Bologna, 13 febbraio 2023
Cinzia Demi

Foto del logo: Giulia Norcini FB


P.S.: _cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIA” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. Biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinziademi@gmail.com

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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