Una famiglia ebraica anconetana nei fatti del Novecento. Memorie da un baule carico di carte e di istantanee. Un libro pubblicato da Affinità Elettive (2021), recensito da Noemi Ghetti.
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Di tutte le città portuali d’Italia dove fiorirono vivaci comunità ebraiche, Ancona è probabilmente la meno studiata, sebbene sia carica di memorie. Questo libro di Marco Cavallarin, finalista del premio FiuggiStoria 2021, colma la lacuna ricostruendo la storia di una famiglia ebraica anconetana alla dura prova del Novecento: quattro fratelli, con quattro diverse prospettive, ma un comune intrecciarsi di vite, sogni e speranze. Come i precedenti lavori di questo autore, fatti e documenti si intrecciano con ricordi di famiglia e immagini. La saga dei Sacerdoti è il fulcro intorno al quale ruota la grande Storia: il fascismo, le leggi antisemite del 1938, l’occupazione tedesca, la fuga, la Resistenza e il sionismo.
Studioso di ebraismo e documentarista, Cavallarin ‘cede’ la parola ai protagonisti, ciascuno dei quali racconta la propria memoria; intreccia tra loro eventi e biografie personali, senza rispettare la cronologia dei fatti ma spiegandone il contesto. E restituisce con precisione quattro storie di vita: lo fa con mano leggera, stile asciutto, un filo di sana ironia per contrastare i paradossi e talvolta anche le contraddizioni della memoria. Le lettere, le cartoline, i biglietti che negli anni hanno tenuto unita la famiglia Sacerdoti arricchiscono, pagina dopo pagina, la narrazione che si avvale comunque di un magistrale coordinamento dell’autore con frequenti flashback e non poche anticipazioni narrative, senza alcuna retorica celebrativa e con un lavoro minuto di ricucitura della memoria. Un esempio riuscito di come si possa fare un uso virtuoso di un baule carico di carte e di istantanee commoventi, salvandole dall’oblio.
Nelle prime pagine i protagonisti già sembrano usciti da un romanzo: storia di una famiglia irrequieta dove i quattro figli nascono nel giro di otto anni in città diverse, fino al definitivo consolidamento in Ancona. Lì le storie di Sara, Enzo, Vittorio e Cesarina Sacerdoti prendono avvio nei primi anni del 1900, nel palazzo di Piazza Stamira. Dei genitori, Rodolfo e Celeste, è soprattutto la madre, donna sportiva e appassionata di arte e musica, a occuparsi della formazione culturale dei figli.
Sara, la primogenita, radiosa e accogliente, si trasferisce in Palestina, nella primavera del 1939, per seguire l’amato Nello di cui condivide, seppur in modo contradditorio, l’ideale sionista. La nuova vita non è facile: il clima troppo torrido per chi giunge dall’Italia, la scelta difficile di andare a vivere in Kibbutz, l’ostilità araba, il terrorismo della destra ebraica avrebbero potuto fiaccare uno spirito meno determinato, ma Nello è convinto: “Siamo venuti alla terra d’Israele per costruire ed essere costruiti, Eretz Israel deve essere qualcosa di più di una semplice sede nazionale”.
Enzo, ‘scavezzacollo’ pieno di energia e vitalità, appassionato di montagna, è la guida e il riferimento della famiglia nei momenti più complessi, quando il pericolo della persecuzione antiebraica è al massimo, oppure quando da partigiano cercava rifugi sicuri per i genitori. Nel capitolo dedicato alla Resistenza, Enzo testimonia le azioni di disturbo messe in campo dal gruppo di partigiani di cui fa parte per contrastare le violenze di fascisti e nazisti, come aver fatto saltare il ponte sul Nera in Valnerina e aver partecipato alla liberazione di Camerino. Il suo racconto è scarno, lo sguardo si volge al passato con brevi cenni e qualche aneddoto.
Vittorio, principale voce narrante di questo percorso di memorie, colto, esploratore di vie alpinistiche, si laurea in medicina in tempi difficili, e per il carattere generoso è amato dai suoi pazienti. Con l’inizio delle persecuzioni razziali si rifugia sotto falso nome all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, dove svolge la professione con dedizione e, benché risulti barelliere, si prenda cura dei malati come medico. Intense sono le pagine in cui racconta il rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, e di come si sia prodigato per nascondere gli ebrei che cercavano protezione nell’ospedale, con l’aiuto del professor Borromeo, cui verrà conferito il titolo di Giusto fra le Nazioni. Per evitare i sospetti delle autorità tedesche, Borromeo ebbe l’idea di inventare un’epidemia estremamente contagiosa (ndr. il morbo di K), che costringeva i malati alla quarantena in un recesso dell’ospedale.
L’ultima della famiglia Sacerdoti è Cesarina nata a Modena nel 1917: suocera e “quasi madre” dell’autore, “forse la più fragile e introversa dei quattro fratelli“. In grado tuttavia come gli altri di trovare, anche nei momenti più drammatici, la capacità di sorridere e di guardare alla vita con un pizzico di umorismo. Non lamentarsi, cercare la soluzione migliore, adattarsi, ricominciare, andare avanti: sono sempre stati i punti di forza che hanno permesso a tanti ebrei di sopravvivere anche al nazi-fascismo. La voce di Cesarina si inserisce nel racconto fra quelle di Vittorio, di Enzo o di Sara e apprendiamo della sua ribellione alle regole assurde imposte dalle leggi razziali all’Università dove si era iscritta a lettere, del suo matrimonio con Elio Ottolenghi nel settembre 1942, celebrato in fretta in un clima di paura perché davanti alla sinagoga erano apparse scritte antisemite, dei bombardamenti su Milano e della conseguente decisione di sfollare sul lago Maggiore. Dopo i rastrellamenti a Baveno e ad Arona, e gli eccidi di metà settembre 1943 a Stresa e Meina, Cesarina e Elio si organizzano per passare in Svizzera. Ma poi decidono di rinunciare: “Noi siamo rimasti lì. Come abbiamo fatto a salvarci? Come mai nessuno ha fatto la spia?”
Invece gli zii Evelina e Edoardo Bigiavi, nascosti nel pisano a Montevaso, traditi da un delatore e deportati a Fossoli, partirono con il trasporto del 16 maggio 1944 da Carpi per Auschwitz.
La gioia per la Liberazione non può nascondere il dolore per chi è rimasto vittima delle persecuzioni nazi-fasciste, per le umiliazioni e le vessazioni subite. Il desiderio di ricostruire le proprie vite accende gli animi di una forza e di una determinazione nuove, ma Vittorio ci ricorda: “Noi usciamo da un’esperienza molto amara, molto triste, nera. L’abbiamo sopportata, l’abbiamo superata. Quindi vuol dire che abbiamo dovuto esercitare una forte volontà di conservazione della nostra identità. Vorrei dire che non bisogna mai perdere la volontà di reagire, bisogna sempre perseguire in quella che è la propria identità”.
La famiglia di Piazza Stamira, un libro avvincente, scritto con una mano lieve seppure intriso di un forte senso di pietas. Memoria viva lungo i sentieri del ‘secolo breve’. Qui sono le cicatrici di una famiglia perbene, un racconto fatto di fili spezzati e riannodati in un mondo diventato impossibile. C’è questo e molto altro, frutto di anni di ricerche, di indagini, di conversazioni, in un lavoro volto a rinnovare – e sollecitare – la memoria. Il libro di Marco Cavallarin vuol essere un omaggio a persone che, anche nelle situazioni più avverse, hanno agito con rettitudine, dignità e forza morale divenendo un esempio prezioso per figli e nipoti, cui il libro è dedicato. Ci sono storie il cui racconto non dovrebbe mai esaurirsi, “per il potere che hanno di scavare nella memoria, e fissare punti cardinali capaci di resistere al tempo”. Storie che tutti dovrebbero leggere.
Noemi Ghetti
P.S. : Il libro sarà presentato il 17 febbraio 2022 ore 20 al Pitigliani, Via Arco de’ Tolomei 1 a Roma e il 21 febbraio ore 18.30 a Milano, Memoriale della Shoah – Binario 21 (Facebook @Memoriale della Shoah – @figli della Shoah).
IL LIBRO:
Marco Cavallarin
La famiglia di piazza Stamira.
Una famiglia ebraica anconetana nei fatti del Novecento,
Affinità Elettive, 2021
pp. 239, prezzo 17€
Scheda del libro
L’AUTORE:
Marco Cavallarin (1948), studioso di ebraismo e colonialismo italiano, documentarista. Collabora con il Museo Mem. di Sciesopoli Ebraica, il CDEC e la Casa della Memoria di Milano. È consigliere dell’Ass. Figli della Shoah. Ha scritto di ebraismo, di arte e società in Eritrea, di storia del sionismo, di Resistenza e di ebrei partigiani. Tra le pubblicazioni più recenti: Ebrei in Cina. Il Caso di «Tien Tsin» (Belforte), Per la riabilitazione dei soldati italiani fucilati nella Grande Guerra, in «Annali» 24/2016 (Museo St. It. della Guerra), Aliyah Beth. Il ritorno alla vita dei Bambini di Selvino (Unicopli), Enrico Levi, capitano di lungo corso, in Navi della speranza, Aliya Bet dall’Italia 1945-1948 (Proedi).
Filmografia recente: Shalom Asmara (2004) (menzione spec. «Pitigliani Kolno’a Film Festival»), Chalutzim (2006), Jews of Tien Tsin (2011), Dolce usignolo dall’ala ferita: Leone Sinigaglia (2015), Le parole di Ventotene. Ernesto Rossi: il progetto di Europa unita (Ethnos 2019; miglior film «Asti Film Festival»). Produzione e ricerca per HaBricha (La Fuga) (Meni Elias, 2013) e Terra promessa (Daniele Tommaso, Ist. Luce 2020).
Un libro avvincente, carico di memoria, di una famiglia anconetana, la mia città, che acquisterò al più presto.
Grazie, Noemi Ghetti, per la buona presentazione de « La famiglia di piazza Stamira » Di Marco Cavallarin.
Un cordiale saluto
Rosella Centanni
Grazie, e buona lettura
Salve Noemi Ghetti,
ho acquistato e finito di leggere da poco « La famiglia di Piazza Stamira ». Un libro singolare per la sua struttura:un mosaico, di fatti, documenti, ricordi di famiglia e immagini, dai primi del ‘900 alla Liberazione. Quattro fratelli tra cui emerge Vittorio. Leggendo ho incontrato cognomi a me familiari come i Sacerdoti, gli Almagià, i Fuà, i Russi, ed altri. La stessa Piazza Stamira, un luogo centrale della mia città, vicino a Corso Mazzini dove sono nata e vissuta fino all’adolescenza. E’ stato un rivivere i fatti che hanno caratterizzato la nostra storia e di quanto sia importante la memoria di ciascuno.
Cordiali saluti
Rosella
Grazie, sì proprio un libro prezioso.