Per Missione Poesia, rubrica di poesia italiana contemporanea a cura di Cinzia Demi, presentiamo Spolia, poemetto di Dario Barbera, che al suo esordio in poesia ci propone un’opera compiuta che stupisce per la maturità della concezione e la complessità dell’insieme, un’opera consolatoria per il dolore e per le contraddizioni che affliggono l’uomo contemporaneo.
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Dario Barbera è nato nel 1984 a Taormina. Storico dell’arte antica, si è perfezionato alla Scuola Normale di Pisa ed è stato borsista dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici. Nel 2018 ha curato l’edizione di un piccolo carteggio di Federico De Roberto (La Sicilia di De Roberto. Lettere inedite a Corrado Ricci, Pungitopo). Ha pubblicato svariati saggi di storia, archeologia e storia dell’arte in riviste scientifiche. Vive a Treviglio con la protagonista di questo libro e lavora come collaboratore della casa editrice Mondadori Electa e come insegnante precario. Spolia è il suo primo libro di poesie, pubblicato da Edizioni Minerva nel settembre 2020.
Conosco Dario Barbera solo attraverso la sua poesia e non personalmente. La raccolta che presentiamo in questo articolo a lui dedicato, e che è appena uscita nella collana Cleide della Minerva Edizioni, me lo racconta in anteprima, anche attraverso le risposte alle domande inserite in apertura del libro (caratteristica adottata dai curatori della collana, in luogo della prefazione) oltre ad alcune mail che ci siamo scambiati. Di lui quindi so quel che ho letto e che mi ha scritto.
Non ama i social, e non si affanna a farsi largo nel mondo, diventato anch’esso un po’ ciarliero, della poesia. Nelle sue corde emergono le intersezioni dei luoghi del suo vissuto dalla Sicilia alla Lombardia passando per la Toscana, principalmente, in un contrasto percettibile quasi fisicamente, ed emergono i suoi studi, i suoi autori di riferimento, oltre alla sua poetica e alle sue intenzioni dichiarate su come ritiene che debba essere e che sia per lui la poesia. È una voce potente, che non lascia niente di inesplorato, affrontando anche molte tematiche sociali, e che alla sua prima uscita sembra già compiuta: eppure egli stesso si considera inattuale, la sua poesia – dice – è inattuale, non alla moda, non in linea con i canoni contemporanei (ammesso che ve ne siano). Ma Spolia avrà, ne siamo convinti, lunga vita e il suo autore tornerà a far sentire la sua voce con nuovi percorsi che ci sembrano tutt’altro che inattuali.
Spolia
Siamo d’accordo con Giancarlo Pontiggia, curatore di Spolia di Dario Barbera, che definisce un’opera compiuta il lavoro dell’autore, un’opera “che stupisce per la maturità della concezione e la complessità dell’insieme” e spiegheremo il perché.
Cinque sono le partiture del libro composte da dodici poesie ciascuna con un andamento teso alla ricerca di un equilibrio interiore, e di una verità che possa attraversare le tante e sfaccettate dimensioni che contengono le tematiche della vita come l’amore, la libertà, la bellezza e la possibilità di capire cos’è la poesia e come si rapporta col mondo. Abbiamo già accennato al fatto della considerazione che Barbera attribuisce alla propria poesia, avallata dallo stesso Pontiggia, utilizzando l’aggettivo inattuale, ovviamente con un’accezione che assume odor di positività, come può esserlo oggi – dice lo stesso Pontiggia – “ogni parola fondata sull’energia di un pensiero rigoroso e che insieme ambisca alla purezza del canto”. Ma, il volume ha, in realtà una tale profondità di pensiero e di confronto, uno stile che dire lirico può sembrare quasi riduttivo, una motivazione anche filologica oltre che filosofica che lo porta ad assumere già dalle prime pagine, quasi il ruolo di consolatore del dolore dell’uomo, e di supporto per una rinascita legata al cuore, al sentimento, alla luce che può intravedersi per la contemporaneità troppo spesso appiattita dal quotidiano e dalla velocità/falsità dei social e della comunicazione tutta.
La Tecnica sembra essere un po’ il nemico in questi versi, una Tecnica che assume un dominio su tutto e che il poeta, novello Davide, combatte con le armi della dissociazione da tanta parte della poesia contemporanea, cercando di ridare valore alla parola e al linguaggio pur non rinnegando le potenzialità della disciplina scientifica. Una nota particolare è da riservare ai titoli delle sezioni che sono in latino (O sola beatitudo, Sine sole sileo, Mare nostrum, Ubi bene, ibu domus, Spolia), tanto per ribadire il discorso sull’inattualità di questa poesia, titoli che in realtà sono anche, probabilmente, il frutto derivante dagli studi classici e della storia antica effettuati nel proprio percorso da Barbera, mente non sfugge – come del resto fa notare lo stesso autore – come sia la sezione Spolia, quella finale, a rapportarsi con tutte le altre residuando parte di se in loro, ampliando e compiendo a pieno il significato di oggetti di riutilizzo, che assume come valore semantico la parola spolia in archeologia.
Dunque poesia inattuale, titoli in latino e addirittura stilistica da manuale con endecasillabi e settenari sapientemente usati, quasi a imitazione di tanti grandi della nostra poesia, di cui compaiono qua e là frammenti riconoscibili nella versificazione: da Sereni a Caproni, da Montale a Pasolini e poi tanto, tantissimo Dante con riprese incredibilmente presenti della Commedia nonché trasparenze del Leopardi dello Zibaldone fanno di Spolia un testo ad altissimo contenuto e forma che ribadiamo affondare le radici nella liricità del canto a conferma, ancora una volta, di quanto la tradizione compaia e ritorni anche dopo essere stata sfrattata e bistrattata da certa poesia contemporanea. Su tutti primeggia però anche un altro confronto, quello con certa metafisica che avrebbe dato più attenzione e valore alla poesia, e che l’autore stesso riconosce al pensiero di Nietzsche, Heidegger e Severino.
Dovendo fare un piccolo excursus su alcuni testi del libro mi sento di affermare che i più riusciti, a parere di chi scrive, sono quelli dove emerge nei versi la dimensione del passato e del rapporto con gli affetti più cari, come i testi, dal vago sapore carducciano che l’autore dedicò a nonna Lucia, dove predomina lo stesso tema con il valore aggiunto delle citazioni in lingua siciliana: Mia nonna mi diceva/”amaru a cu non havi nuddu”/e la frase scorreva/sul mio sterile orgoglio./Ma un naturale accento di pietà/per chi è solo ha frusciato in me… oppure: Sei morta in un periodo/quando ti vestivi di nero, piccola/da stare in una palma,/e io ti aggiustavo la candela rossa/di carta come un papavero, prima/di correre in chiesa… e ancora: Amata nonna, io non credo più a nulla/e non saprei dire se credevi, ma quando ho u cori chinu di chiantu/guardo in cielo come se tu ci fossi.
Memorabili anche le metafore dell’albero che si rapporta con il corpo umano, a vari livelli, toccando davvero corde profonde dell’io poetico e del suo lettore, che ricordano per certi versi alcuni passaggi dei testi di Piersanti, laddove la natura predomina anche nella nomenclatura di piante e fiori: Io, ad esempio, che a causa dei miei vizi/alle volte mi sento/rotto e cavo come un tronco bruciato… oppure: Ho gettato un pollone inaspettato/quest’anno e ha subito preso qualcosa;/adesso attendo di goderne il frutto,/se ci sarà, e la curiosa speranza/screma le notti parzialmente insonni… e ancora: Comincio a vedermi come un ulivo/su questi colli di pace toscana… Ma anche il rapporto con la madre, tema caro ai maggiori poeti, resta impresso alla lettura, come già lo furono, ad esempio, i versi di quel Caproni del Seme del Piangere per Annina: Ho cominciato a baciarti a trent’anni,/e ancora sento il bisogno di dirti: /sei forse mia tu, madre? Certo madre, la memoria vissuta/per le vie del tuo paese natale,/provando a immaginare la tua infanzia/i sogni e le incertezze di fanciulla?/Ma di chi sei tu, madre?… oppure: E non vogliamo segni di famiglia/da rivivere in noi/per giocare alla guerra della specie,/ma solo un nome e un corpo/dateci, madri nostre,… e ancora: Che è nostro il tempo, madri,/e lentamente muore/la vostra memoria, isolata e muta/nella tenebra, come quando hai visto/nell’occhio di tua madre/scavato dall’Alzheimer/l’indicibile strazio della vita/dove ti spoglia dentro.
Per concludere e senza dimenticare che molti sono i testi da esplorare per un contatto profondo con l’autore, anche nelle sue dimensioni più adiacenti alla realtà sociale e urbana, economica e professionale della vita, avendo esaminato in questo articolo più l’aspetto davvero lirico dei testi, ci sentiamo di confermare la valenza del lavoro poetico di Barbera sta in questa inattualità di cui si condanna egli stesso e che tanto invece ci piace e ci porta a sostenerlo e incoraggiarlo per il suo futuro di poeta.
Alcuni testi tratti da: Spolia
Dal nulla è un big bang di primavera.
Il silenzio si discioglie, ruscella,
e con le ali delle prime impressioni
torna la vita nuova.
E sempre una meraviglia ti coglie
di sentirti gemmare
nonostante i parassiti del cuore,
di avere ancora un tenero
che smuova cura e paura, protezione
dagli acciacchi dell’animo.
Io, ad esempio, che a causa dei miei vizi
alle volte mi sento
rotto e cavo come un tronco bruciato,
ho potato da poco
quelle mie debolezze solitarie
– misto di sesso a pagamento e porno –
e questa grazia che vedo e che sento
per adesso mi basta.
L’inizio della fine sarà quando
per effetto del surriscaldamento
la primavera resterà nel mezzo.
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Mia nonna mi diceva
«amaru a cu non havi a nuddu»
e la frase scorreva come acqua
sul mio sterile orgoglio.
Ma un naturale accento di pietà,
per chi è solo, ha frusciato in me
e come il frumento dentro il cotone
è cresciuto nel buio
di questi ultimi anni.
E allora come il poeta
mi verrebbe da dire
ma che madri di padri
avete voi mai avuto,
vili cortigiani che deridete
M.E. e la sua solitudine.
Mio padre dice ridendo davanti
al televisore: «i giornalisti
sono la rovina di questo paese».
Ma io di questo no, non riesco a ridere.
***
Ho sempre paventato di finire
come il povero poeta di Spitzweg,
vecchio misero e solo
a contare e ricontare le sillabe
quando fuori assola.
Sarei forse capace di un nido,
far volare mio figlio,
mentre i bambini contano i centesimi
coi pollici agli smartphone?
Oh, gli darei la gioia dell’attesa
di te in questo idillio all’aeroporto,
gli uccellini fra i tavoli
del McDonald’s, la torre di controllo
intenta a dialogare con la luna.
***
Questo cuore ha già deciso di vivere
da te, sacrificare
le mie ragioni e il buon senso dei tempi,
accelerare ma senza rodaggio.
Io, indulgente come fosse un bimbo,
lo lascio progettare
nella stagione incerta,
chiuso dentro casa a fantasticare
da solo, mentre alcuni compagni
di gioco sono costretti ad andarsene
per il cattivo tempo
della disoccupazione paterna.
Altri si sono persi
dentro il vicolo cieco
dell’intrattenimento casalingo
e ormai non verranno.
Lui vorrebbe, ma idiota non sa
illudersi alla lotta partigiana.
***
Ecco la notte per dimenticare
il duemilaquattordici,
per prendere coscienza che si muore
nel ricordo, il ripiegato gelare
della stella che goccia
nell’incerta penombra
della nostra memoria.
Affrettati, a ogni battito di questo
conto alla rovescia, all’eco, al passeggio
di famiglia, che in questa notte cade
la neve che cancella
le orme da via delle Rimembranze.
Al risveglio sarà tutto il passato
come un cattivo sogno,
l’attimo un dubbio se gettare il vecchio
te stesso o se riciclarti nel bozzolo
di una metamorfosi autocritica.
Questa è la notte emersa dal buio
come un ricordo tra due sogni obliati.
Tra due ali di falena.
Cinzia Demi
Bologna, 11 ottobre 2020
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