Come si fa a non essere d’accordo con lo storico ed intellettuale Galli della Loggia quando segnala, dalla RAI e dal Corriere, che la scuola dovrebbe riappropriarsi del suo ruolo di luogo dell’istruzione e della cultura. Il tema cade a fagiolo ora che l’ultimo governo, quello della Meloni, ha aggiunto al titolo Ministero per la Pubblica Istruzione la dicitura… “e del Merito”.
Un sostantivo che immediatamente ha messo in subbuglio gli ambienti scolastici e finanche universitari. Merito a chi? Di chi? Si parla degli studenti? Degli insegnanti?
Sdoganare il merito non era semplice. Dal 1968 in poi il merito ha suscitato furiosi anatemi specie della sinistra, la quale sosteneva qualcosa che era ed è in parte ancora vero, ossia che spesso il merito sia più favorevole ai figli della borghesia, di coloro che avendo più mezzi e condizioni economiche e sociali migliori, sarebbero inevitabilmente destinati a primeggiare nelle scuole, nelle università come nella vita.
Tanto, che negli anni del liceo, ricordo ancora che la stessa sinistra (specie quella più estrema) combatteva per il sei minimo garantito a tutti, a prescindere. Il cosiddetto sei politico. Così che nella scuola non vi fossero più selezioni. Tutti avanti sempre fino alla laurea, anche senza merito se necessario.
In generale da noi il merito, come l’attigua parola “responsabilità”, sono parole che suscitano l’orticaria a molte categorie di lavoro, specie del settore pubblico. Si fa carriera non per merito ma per scatti di anzianità. I magistrati, ad esempio, bravi o meno che siano, sono comunque premiati, basta invecchiare. Sia per i giudici soubrette, che impallinano il potente di turno e godono della stampa favorevole, che per quelli più seriosi, che lavorano alacremente nel silenzio, senza sognare di essere vedette, il destino è lo stesso. È già scritto.
Anche gli insegnanti non vedono riconoscere il loro merito, sia il bravo che si aggiorna e si impegna ad istruire che quello che invece passa l’ora leggendo il giornale. Hanno tutti lo stesso stipendio e la stessa carriera.
Il povero Renzi, quando fu al governo rischiò il linciaggio per aver detto che il merito va riconosciuto e che la categoria degli insegnanti, maltrattata e mal pagata, aveva ormai perso l’autorevolezza di un tempo, quando essere professori non dava certo ricchezza ma riconoscimento sociale e sicuramente il rispetto degli alunni e dei loro familiari.
Quell’autorevolezza agli insegnanti e professori la dava proprio il compito di selezionare gli studenti, il compito di riconoscere e portare avanti i più meritevoli, sulla base delle loro capacità di apprendimento, sull’impegno ad istruirsi. I meritevoli erano anche coloro che dallo studio traevano esempi che portavano alla responsabilità e all’amore verso le materie di studio.
Oggi la scuola ricorda sempre più l’Istituto Mary Poppins del film Bianca di Nanni Moretti che circa quaranta anni fa fu profeta delle nostre attuali sventure didattiche.
E allora, torno proprio a Galli della Loggia. La scuola deve tornare al suo vero compito che è di istruire gli studenti, deve cessare di fare da agenzia sociale dove si parla di solidarietà agli immigrati, del codice della strada, di come ci si comporta a tavola, del valore del volontariato, del rispetto della natura e dell’ambiente, di altro ancora. Queste cose, pur importantissime, devono essere valorizzate ed insegnate ai giovani dalle famiglie, dalla società, attraverso le figure dell’assistenza sociale, dalle associazioni cattoliche o meno che devono coinvolgere i cittadini e i giovani in particolare nelle giuste pratiche del comportamento sociale e civico, dalla politica, che deve aprire le coscienze ai valori importanti della solidarietà e della partecipazione a cui offrirsi e che deve educare e formare i cittadini (del resto politica viene proprio da polis).
La scuola deve spiegarci cos’è il romanticismo, farci capire Dante, spiegarci l’attualità di Ulisse e dell’Odissea, introdurci alla storia dell’arte, alla geografia moderna, farci riflettere sulla storia anche del secolo scorso. Darci gli strumenti matematici e scientifici e deve fare selezione secondo il merito di ciascuno. Naturalmente rispettando quell’impegno previsto dalla Costituzione di rimuovere quelle diseguaglianze che non consentono di partire da condizioni paritarie, ma una volta che ciò fosse garantito, dando più strumenti alla scuola, occorre che chi studia tragga profitto e vada avanti e chi proprio non ha voglia e non è abbastanza capace si fermi. Questo anche perché oggi il confronto è globale e i nostri giovani occidentali, europei e italiani si devono confrontare con realtà formative e scolastiche ben più severe e selettive, vedasi la Cina, gli Stati Uniti e non solo.
Insomma, il merito non è una bestemmia, è un valore sancito finanche dalla nostra Costituzione all’art. 34.
Del resto, se si studia bene e con profitto il perché occorre soccorrere gli immigrati, il perché del rispetto delle norme civiche di una società, il perché delle diseguaglianze sociali nel mondo, il perché dell’attuale quadro geopolitico del pianeta e delle emergenze ecologiche odierne, sono proprio dalla storia, nella conoscenza della geografia e dell’economia, nelle spiegazioni della chimica e della biologia, le ragioni della nostra umanità e disumanità sono tutte nelle pagine della letteratura, nei volumi di storia dell’arte che faticosamente insegnanti, privati del merito e sottopagati, cercano di far apprendere a giovani insofferenti, disabituati all’impegno e che sanno che tanto facilmente il ‘pezzo di carta » sarà preso comunque, troppo distratti da un mondo deresponsabilizzato e spesso nell’indifferenza se non il disprezzo di familiari ed istituzioni.
E allora ben venga questo scatto di fierezza del ministero della Pubblica Istruzione e del merito che vuole recuperare regole di rigore e serietà ridando autorevolezza e prestigio al corpo insegnante, studiando modi e forme comportamentali utili anche per il riconoscimento di chi si impegna di più e con più profitto tra e per gli allievi. E a proposito di recupero di responsabilità e di condotte consone al rispetto dell’istituzione scolastica, ben venga l’obbligo di riporre i telefonini in un apposito spazio della classe prima di iniziare l’ora di lezione, perché oggi viviamo una realtà che arriva al punto che mentre l’insegnante prova a fare lezione gli studenti “chattano” pensando a tutt’altre cose, irritati dal professore che vuole spiegare la letteratura o magari la storia e che non li lascia in pace a galleggiare nel vuoto.
Veleno
LINK: L’articolo di Galli della Loggia sul Corriere
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