In questi giorni si parla molto di fascismo. Come di una malattia da cui non riusciamo a guarire. Una mia amica di nome Federica (nome di fantasia. Che tipo di fantasie, è un altro discorso), mi dice, sexy di scintillante intelligenza: politica sull’immigrazione, ostilità per i diversi, insofferenza per i giornalisti, nazionalismo, disprezzo delle istituzioni, idiosincrasia per la separazione dei poteri, culto del capo. Vista la foto di Salvini a cavallo ? Spunta il verde canta il giallo, Matteo Salvini monta a cavallo. Non è fascismo questo ? Ma in che mondo vivi ? (Dice Federica). Questo è quel mondo di cui cotanto ragionammo assieme ?
Io le rispondo che c’è tutto questo, eccome se c’è ; ma che non vedo alle porte il fascismo in senso storico. Non ci sono le squadracce con il manganello, né la sospensione delle libertà politiche. Non c’è l’olio di ricino. Non c’è neppure (dietro questo governo) la cultura di destra, quella delle « idee senza parole ». Dietro lo sguardo di un ministro Toninelli (absit iniuria verbis) io non ce li trovo, Mishima, Evola e Pound. Nemmeno in controluce. Nemmeno come una voce lontana. Ma cosa c’entrano Mishima, Evola e Pound, risponde lei. Sei proprio un ingenuo ! Il fascismo appare (mi spiega con pazienza) in forme solo apparentemente nuove, che replicano, in una specie di eterno ritorno, stereotipi profondi della società italiana.
In Federica (che, l’avete capito, mi piace moltissimo) c’è un po’ di me. E gli scrittori molto letti (tra altri, Roberto Saviano, Michela Murgia) sono d’accordo con lei. Il fascismo sta tornando (dice Saviano, abbastanza uso ai ragionamenti schematici, apodittici). « Ogni volta che in nome della meta non si può discutere la direzione, in nome della direzione non si può discutere la forza e in nome della forza non si può discutere la volontà, lì c’è un fascismo in azione » (dice, con maggiore capacità di elaborazione, Michela Murgia). Alla fine può darsi che abbiano ragione loro. Anzi, senz’altro. Tracce di fascismo ci sono eccome, nella società italiana, lo so anche io. Però ho l’impressione che tutti noi (io, Federica, Saviano, Michela Murgia), più di ogni altra cosa, abbiamo bisogno di un nemico. Trovare il nemico è la cosa più preziosa. E non un nemico sfumato, mezzo e mezzo ; a noi serve un nemico da film di Walt Disney, con la faccia da cattivo, che sia cattivo tutto. Abbiamo bisogno di odiare, ci alziamo al mattino canticchiando everybody / needs somedbody / to hate. Noi e gli altri. Per gli « altri », il nemico è l’immigrato. Lo zingaro. L’omosessuale. Il tecnocrate e banchiere europeo (e dietro, lo si vede da sé che c’è l’eterna sagoma dell’ebreo). Molti degli « altri » sono contenti se un ladro muore, se si arresta una puttana – se la parrocchia del sacro cuore ha acquistato una nuova campana, cantava il vecchio Claudio (Lolli). Per quelli della razza mia, per noi, il nemico invece è il « fascista ». Questa fissa ce l’abbiamo sempre avuta. Ci si dava del fascista anche tra di noi.
Sergio Staino una volta aveva fatto delle vignette un po’ critiche sull’Unità e a Emanuele Macaluso, che era il direttore, arrivarono le lettere delle sezioni : “com’è che ora si fa scrivere i fascisti sull’Unità?”. Nel 1993 Berlusconi non ancora « sceso in campo » fece una dichiarazione di sostegno al voto per Gianfranco Fini alle amministrative di Roma. Fini era ancora in piena antropologia fascistissima, con trench e occhiali Ray-ban e sguardo truce da sostenitore della pena di morte per chi sgarra, « tu cosa faresti a chi uccide tuo figlio ? Noi lo sappiamo », « io non ho niente contro gli omosessuali ma non vorrei un omosessuale come maestro di scuola di mio figlio », roba così. E tutti allora a dare del fascista a Berlusconi che appoggiava questo Fini qui: « il cavaliere nero », sulla copertina dell’Espresso. Qualche anno più tardi, Fini senza più i Ray-ban, vestito da gaullista e da uomo di « destra perbene », di « destra che non c’è », diventò per un certo periodo il nostro idolo, l’idolo della sinistra, invitato e portato in trionfo alle feste dell’Unità. Per lui si uccisero tutti i vitelli grassi che avevamo. Identico percorso per Indro Montanelli, che si presentava alle feste dell’Unità dicendo : io sono un uomo di destra, quella vera però, e nel pronunciare queste parole veniva sommerso di applausi di compagni entusiasti. Ma come ? Era un altro Montanelli, ma identico a quello appena pochi anni prima considerato un porco fascista (senza offesa né per i porci né per i fascisti). D’improvviso, a Fini e Montanelli tutto veniva perdonato, poiché dissociatisi dal nuovo nemico assoluto, Berlusconi. Quel Berlusconi poi anch’egli col tempo progressivamente guardato non dico con simpatia, ma comunque con una certa crescente indulgenza, come si guarda il vecchio zio sporcaccione che ronfa sulla poltrona davanti alla TV e si risveglia solo per fare qualche battuta sulle ballerine (l’unica differenza con lo zio è che nel caso di Berlusconi sia le TV sia le ballerine sono di sua proprietà).
Insomma : per noi progressisti, democratici, c’è sempre un fascista che incarna il male assoluto. Il ruolo, da settant’anni e più, è sempre occupato. Nel ruolo, però, gli intepreti si alternano e il fascista di ieri può diventare, per improvvisa epifania, il compagno di strada di domani. E i criteri di assegnazione del ruolo cambiano anch’essi. Un tempo per molti era fascista chiunque non fosse convintamente e acriticamente comunista ; ora che la destra ci ha scavalcati a sinistra (per così dire) da tanti è considerato fascista chiunque non sia convintamente e acriticamente liberale. Sono cambiati i tempi, le donne e le stagioni, mi sa però che il tic è sempre lo stesso. E mi sa anche che la vera ragione non sta nelle tracce di fascismo che persistono nella nostra società, e che rinascono ogni tanto, come rinasce il ramarro della canzone di Dalla. La ragione profonda è che il fascismo (inteso come categoria metastorica, da portare in ogni stagione) è utilissimo. Per noi democratici e progressisti. È la nostra assicurazione sulla vita. Ci fa sentire buoni. Fa sentire buoni anche coloro che buoni non sono mica tanto. E soprattutto ci permette di marciare tutti assieme gridando all’unisono (nulla di più fascista, peraltro) slogan contro il « fascismo sempre presente ». Contro il « fascismo in noi » come sembra dire Michela Murgia (io ho fatto il suo test e sono risultato fascista al 10%, più o meno. Temevo peggio). In assenza del fascista, ci scanneremmo e odieremmo tra di noi, moderati, liberali, centristi che non sanno manco loro, progressisti, sinistrorsi che più de sinistra non se può (ma mai abbastanza per chi è un millimetro più a sinistra di loro). In assenza del fascista il nemico sarebbe il nostro vicino di sedia – quell’odioso essere che sta un millimetro più a sinistra o più a destra di te , quel verme da rottamare, da espellere, di cui liberarsi per poter finalmente agire in santa pace. Poi d’improvviso però appare il fascista e il nostro mondo torna a tingersi di rosa : finalmente ritroviamo un nemico indubitabilmente cattivissimo, rispetto al quale noi e il nostro vicino di sedia possiamo allearci in quanto accomunati dal fatto di essere altrettanto indubitabilmente buoni.
Insomma, il « fascista » per noi democratici progressisti baciati dal lume della tolleranza è un po’ come l’ebreo per i suddetti fascisti. Satana per certi credenti. Il capitalismo per certi comunisti. L’origine del male. Il nemico che ogni male spiega e incarna. Il serpente da schiacciare. L’anatema a cui si ricorre quando non si sa cosa dire d’altro. Quando ci ritroviamo senza un’idea di società, di futuro. Senza una ragione né un motivo. Come adesso. Invece di fare i test sul fascismo, di pensare notte e giorno a quanto sono cattivi i fascisti vecchi e nuovi, di disegnare il nemico, di disprezzare le masse di presunti ebeti che votano male (malissimo), io e Federica potremmo ricominciare a fare una cosa diversa. (Anche in stretta collaborazione, io non sono contrario) : parlare un po’ agli oppressi del nostro tempo (senza dimenticare, come diceva Gudo Ceronetti, che sono impastati dello stesso fango dei loro oppressori) di giustizia e libertà. E giustizia e libertà, al fascismo, con rispetto parlando, gli fanno un mazzo così.
Maurizio Puppo
Un’ottima analisi, che sottolinea un difetto cronico, e gravissimo, paralizzante, della sinistra. Perfino Trotsky fu chiamato fascista, e poi assassinato. Come tanti partigiani di diverso orientamento furono assassinati nelle guerre civili di Spagna e d’Italia, con responsabilità di Togliatti e di Longo.
Ad integrare l’articolo, credo sia utile anche questo editoriale di Paolo Mieli: https://www.corriere.it/opinioni/18_ottobre_28/cosa-c-entra-fascismo-342efbce-daea-11e8-aca4-abf222acb144.shtml?fbclid=IwAR1AegQG6ySfj7f7rquObOnlJzEhivjGxlDGAmh-yGz7snfYgVCgshpDwSA
grazie. Ognuno di noi (anche Trotsky) è il fascista di qualcun altro. Un cordiale saluto, Maurizio Puppo