Le storie sono come l’acqua, e proprio come l’acqua scorrono, si dipanano, si trascinano a valle per narrare, raccontare percorsi di vita, esistenze dalle mille sfaccettature, belle o meno belle che siano. Ma a differenza dell’acqua che trova la strada naturale verso il mare, le storie trovano rifugio nella storia letteraria o in ampi spazi creati per preservarne la memoria, e tutelarle dal decorso del tempo o dall’incuria dell’uomo.
Proprio in un museo, quello di Santa Giulia, ha trovato casa la millenaria storia di Brescia, l’antica Brixia, all’interno dell’antico monastero benedettino di San Salvatore e Santa Giulia. Unico per concezione espositiva e per sede, il Museo della Città consente un viaggio attraverso la storia, l’arte e la spiritualità di Brescia, dall’età preistorica ad oggi in un’area espositiva immensa.
Monastero femminile di regola benedettina, fatto erigere dal re longobardo Desiderio nel 753, San Salvatore-Santa Giulia ha continuato a ricoprire un ruolo religioso, politico ed economico di grande rilevanza anche dopo la sconfitta dei longobardi da parte di Carlo Magno.
Proprio in una delle sale, l’oratorio di santa Maria in Solario, sotto la cupola celeste stellata affrescata da Floriano Ferramola, fa bella mostra di sé la Croce di Desiderio, stupenda testimonianza astile in legno rivestita da lamine metalliche e incastonata da 212 fra pietre preziose, gemme vitree e cammei e che sembra assurgere a simbolo dell’intera distesa espositiva. Pare che proprio in Santa Giulia si consumasse la drammatica vicenda di Ermengarda, figlia di Desiderio, ripudiata dal re dei francesi, evento ripreso dal Manzoni nell’Adelchi.
Al Museo e all’area che raccoglie le testimonianze di due millenni di vita comune, dove la collettività bresciana conserva le testimonianze della sua storia e ritrova la sua identità, vi si accede da un percorso ricco e suggestivo che partendo da via san Faustino, e lasciando sulla sinistra l’omonima chiesina, splendida testimonianza sacra, da piazza Martiri di Belfiore inizia l’avvicinamento attraverso via dei Musei, dove a sinistra e a destra s’inanellano i racconti della storia senza fine d’una comunità che non ha tralasciato il pur minimo tassello del suo lungo cammino.
A destra e a sinistra dell’elegante strada t’accompagna un silenzio che racchiude attimi d’eternità tra l’intrigante intreccio di varie epoche a mostrare chiese quale santa Maria della Carità dall’aspetto interno fastoso e barocco soprattutto nell’altare maggiore, palazzi signorili dagli imponenti portali, quali Martinengo Cesaresco, Buzzoni Maggi e palazzo Legnazzi fino alla stupenda dimora rinascimentale dei Maggi Gambara, eretta proprio sulle rovine del Teatro, a significare, forse, il gran dispetto verso la romanità dei proprietari del tempo.
Le vestigia di quella romanità, adiacenti proprio a quel palazzo dalla facciata d’un tenero verde pastello, rappresentano l’area archeologica alle pendici del colle Cidneo dove alloggiano i più importanti edifici della città di epoca romana, l’antica Brixia: il santuario di età repubblicana, il Capitolium, il teatro e il tratto del lastricato del decumano massimo, un’area che si apre sull’odierna piazza del Foro, le cui vestigia sono visibili sul lato orientale.
Mi avvio verso l’uscita a guadagnare lo scrigno di Santa Giulia con la voce narrante che racconta una lunga storia, quella di quest’area, del suo passato e della sua scoperta, mentre in un’atmosfera crepuscolare voci e figure impugnano torce dalle danzanti fiamme ad accompagnarmi e restituirmi di nuovo alla luce del giorno.
Ancora pochi metri e lo scrigno si apre, quello del Museo di Santa Giulia, allocato nel monastero femminile di regola benedettina di San Salvatore, fatto erigere proprio da re Desiderio nel 753. Dalle domus romane alle architetture rinascimentali, Santa Giulia racconta il fascino di oltre duemila anni di storia. Inappropriate ed insufficienti le parole per descrivere l’incanto di un luogo che per recepirne bellezza ed unicità occorre solo il dono della vista, perché le sole parole non bastano a descrivere e narrare l’indescrivibile.
Le mura rinascimentali raccolgono come in un fazzoletto le radici della storia della città, dalla preromanità alla romanizzazione del territorio, alla città romana dove Brixia è menzionata da Tito Livio, insieme a Verona, come uno dei principali insediamenti dei Cenomani, mentre Catullo la ricorda come madre della stessa città scaligera, fino all’età imperiale e le domus residenziali dell’Ortaglia, quella di Dioniso e quella delle Fontane con le necropoli fuori dalle mura fino a quando il culto cristiano introdusse la sepoltura nei pressi delle chiese. E il viaggio continua dalla Chiesa di Santa Maria in Solario ad abbracciare il medioevo longobardo e carolingio, la basilica di San Salvatore, cuore del monastero,
dove ad attirare la vista sono le due file di colonne sovrastate da capitelli appartenenti ad epoche diverse. Alla fine del viaggio l’impatto con l’incanto del Coro delle Monache. Ma già siamo al Rinascimento, e l’edificazione del Coro, le cui pareti sono affrescate da artisti diversi intorno alla metà del Cinquecento, offre benefici anche ai due Chiostri che vengono ricostruiti e restituiti all’antica ed originaria bellezza.
E’ tempo di andare, a ritrovare la strada del ritorno. Fuori all’aperto di fronte all’immenso spazio occupato dal bianco della pietra, recupero una bella immagine di Corrado Alvaro.
A Brescia sembra essere sotto il riflesso d’un lago o d’una cava di pietra. Alla fine si capisce che è l’uso grande delle pietre e dei marmi che dà questo colore alla città, la pietra vecchia e quella nuova, l’una patinata dal tempo e divenuta lattescente, l’altra bianchissima invernale.
Vecchia o nuova che sia, la pietra, nel ricordo dell’autore di “Gente in Aspromonte”, è quella sulla quale corrono le storie, proprio come l’acqua che va verso il mare, ma qui l’acqua risale piuttosto che venire giù, perché questi racconti millenari vanno a rintanarsi, fortunatamente a differenza di altri che si sono persi e non se ne hanno più memoria, nell’intrigante “Scrigno” voluto dall’amore dell’uomo e che porta il nome di Santa Giulia.
Raffaele Bussi
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