Con un magnifico catalogo, curato dalla ricercatrice Maria Teresa Caracciolo, realizzato e curato per la mostra su Napoleone ancora in svolgimento al Palazzo Fesch di Ajaccio, si ripercorrono la vita e le opere dell’imperatore in occasione del bicentenario della sua morte. Celebrazioni controverse e non prive di polemiche che tuttavia non offuscano l’importanza e il valore storico del personaggio.
Se il 5 maggio scorso a Parigi le commemorazioni del bicentenario della morte di Napoleone sono state limitate a causa del covid-19, o se lo sono state per contenere le polemiche politiche sulle sue varie figure storiche, le mostre e manifestazioni storiche che ne sono seguite lo hanno comunque ben fatto “risorgere”.
Il catalogo scientifico della mostra su Napoleone in corso di svolgimento al palazzo Fesch di Ajaccio a cura di Maria Teresa Caracciolo (che ne è commissaria) ripercorre la vita e le gesta dell’imperatore con una precisione sul materiale esposto pari al successo della sua passione (come ricercatrice del Centre National de la Recherche Scientifique e dell’Université de Lille dove ha insegnato) per il periodo napoleonico in Francia e in Italia precedentemente avuto con le pubblicazioni, tra l’altro, di: “Le royaume de Naples à l’heure française: Revisiter l’histoire du decennio francese (1806-1815)” di cui è coautrice; “La seconde vie de Pompéi: Renouveau de l’Antique, des Lumières au Romantisme 1738-1860”; “1775-1840: Lucien Bonaparte: Un homme libre” (il fratello di Napoleone, morto esiliato a Viterbo – scritto per la precedente mostra del 2010 al Palais Fesch); “Les sœurs de Napoléon: trois destins italiens” per la mostra omonima al Musée Marmottant–Monet da lei curata nel 2013; e con il suo intervento ai “Rendez-vous de l’Histoire” a Blois nel 2019 dal titolo “1806-1815: une tranche napoléonienne à Naples” (sui mecenatismi di Carolina Bonaparte lì e negli scavi di Pompei).
E allora, se Macron s’è limitato a commemorarlo con un discorso all’Institut de France e a deporre poi la corona di fiori agli Invalides, sono state limitate anche le polemiche su Napoleone che non aveva abolito nelle colonie la schiavitù (tra l’altro in coincidenza con il ventennale della “Loi Taubira” che l’aveva classificata come crimine contro l’umanità), o su di lui per aver sacrificato (come anche Châteaubriand aveva scritto con i sentimenti ambigui nei suoi riguardi) 5 milioni di francesi nei campi di battaglia.
Evitate, così, anche altre polemiche sul colonialismo successivo e altre distruzioni di statue o monumenti, ed evitati da Macron gli imbarazzi simili a quelli con cui Chirac nel 2005 aveva inviato la portaerei “Charles de Gaulle” a Portsmouth per le celebrazioni del bicentenario di Trafalgar e aveva evitato di partecipare a quelle di Austerlitz, è senza qualsiasi “ria parola” che Napoleone ha dunque potuto essere commemorato tanto in TV (in particolare con lo stile di Stéphane Bern) quanto nei libri aggiuntisi in occasione delle mostre su di lui.
Di non minor rilievo di quella dal 28 maggio al 19 dicembre alla “Grande Halle de la Villette” a Parigi è la mostra dal 2 luglio al 4 ottobre al Palazzo Fesch ad Ajaccio, non solo per il prestigio del luogo (dal nome del Cardinale, fratellastro della madre di Napoleone, che rimasto a Roma in esilio dopo il 1815, ha continuato fino alla morte nel 1839 a collezionare le opere d’arte che sono in buona parte lì), ma soprattutto per i beni artistici fatti arrivare lì dai musei del Louvre, del Carnavalet, del Petit Palais, de l’Armée, del Marmottan, del Balzac, della Légion d’Honneur, da quelli di Versailles, Lille, Dreux, Orléans, dal Château de la Malmaison, dalla Bibliothèque Nationale e quella dell’Institut de France, dal Museo Napoleonico di Roma, da altri all’estero (Amsterdam Museum, Arenenberg: Napoleonmuseum) e dalle cinemateche, al fine di dividere l’esposizione nei seguenti temi:
“La légende ou le retour de l’’Empereur” (sia quello dall’Elba nel 1815 perché il ritorno si sostituisse alla leggenda, sia quello da S. Elena nel 1840 perché con le spoglie la leggenda seguisse eternamente il ritorno);
“Napoléon forge sa légende” (con la campagna d’Italia e la vittoria sul “Sacro Impero Germanico”, finché dai faux-pas in Spagna e dalla campagna di Russia fino all’abdicazione di Fontainebleau inizia il suo declino fino alla morte a S. Elena);
“La littérature, les arts romantiques et la légende napoléonienne” (poiché, come ha scritto Maria Teresa Caracciolo ne “La chute de l’Aigle et la naissance de la Légende”, “en retrouvant le sens de l’épopée et en se fixant pour programme la glorification du héros, le romantisme répondait à l’idéal que Napoléon avait cherché à imposer aux écrivains et aux artistes de son temps. Là où la manière autoritaire avait échoué, la légende triomphe. Il y a un siècle de Napoléon comme il y eut un siècle de Louis XIV”);
“le culte de Napoléon de l’ombre à la lumière” (ossia dall’ombra fatta dai Borboni durante la restaurazione, nella quale erano in ombra anche i soldati veterani e un sentimento popolare antimonarchico che ne conservavano il culto, che è tornato alla luce con la riconciliazione con la Storia voluta da Louis-Philippe d’Orléans e attuata: riponendo nel 1833 sulla colonna di Place Vendôme la statuetta di Napoleone; finendo nel 1836 la costruzione dell’Arc de Triomphe; e nel 1840 con il trasferimento della salma da S. Elena agli Invalides);
“la fondation du second Empire et l’apothéose de Napoléon” (ricominciata da Napoleone III facendo coincidere l’inaugurazione del secondo Impero del 2 dicembre 1852 con le celebrazioni della vittoria d’Austerlitz del 2 dicembre 1805, e da Ingres nel 1853 con il suo quadro così intitolato);
“la légende au XXe siècle: Napoléon au cinéma” (dal “septième art” muto e dalla versione di Abeel Gange del 1927 e quella di Sacha Guitry del 1954 al “Waterloo” de Sergueï Bondartchouk del 1970, e fino al film nelle intenzioni di Ridley Scott per il 2022).
E così Caracciolo, tra polemiche e apoteosi, fa rinascere la leggenda e il mito del condottiero, in particolare con il 5 maggio di Manzoni poiché è quello il “tweet” che la riaccende anche laddove era stato censurato, e con il Mémorial de Sainte-Hélène d’Emmanuel de Las Cases, la cui pubblicazione nel 1823 ha un successo che va oltre l’oscurantismo della restaurazione.
Perché se Napoleone a S. Elena è raffigurato prevalentemente di profilo sugli scogli da cui contempla il mare (Oscar Rex: “C’est fini”, Napoléon Ier à Sainte-Hélène), è frontalmente che egli ripercorre lì la Storia con Las Cases (e che detta le proprie memorie ai generali Gourgaud e Montholon: quadro di Jean-Baptiste Mauzaisse, “Napoléon dictant ses Mémoires”, da cui trae origine la mostra “Sous la dictée de l’Empereur” dal 30 giugno all’8 novembre al Museo napoleonico dell’Isola d’Aix dove egli s’era consegnato agli Inglesi); e che la ripercorre nel Mémorial di Las Cases facendolo divenire il “breviario” del bonapartismo (secondo la definizione di Jean Tulard), nel quale si fondono la legittimità dinastica e quella popolare, propri rispettivamente di quei “due secoli l’un contro l’altro armato” in cui egli “arbitro s’assise in mezzo a lor” (“5 maggio” che ispira pure Châteaubriand laddove, a giustificazione del proprio trasformismo “De Buonaparte et des Bourbons” –titolo del suo pamphlet del 1814- ha infine scritto nelle “Mémoires d’outre tombe”: “Je me suis rencontré entre deux siècles, comme au confluent de deux fleuves ; j’ai plongé dans leurs eaux troublées, m’éloignant à regret du vieux rivage où je suis né, nageant avec espérance vers une rive inconnue “).
Fin dalla prima campagna d’Italia Napoleone aveva “esportato” il principio della legittimità popolare dichiarando nel 1796 al popolo milanese che anch’esso doveva ogni giorno acquisire sempre di più la libertà e l’energia come auspicato dal popolo francese. Ecco allora l’era nuova che nasce anche da lì, e anche se le raffigurazioni di Gros, Appiani o David, o gli scritti di Stendhal o le altre opere nel Secondo Impero avessero occultato l’interesse politico contingente di quel periodo, il Risorgimento sarebbe inimmaginabile senza la precedente ambizione visionaria di Napoleone, ben rappresentata dall’autoincoronazione nel 1804 nei Sacre di David, al Louvre e a Versailles, con Pio VII che si limita alla benedizione. Parallelamente, i nazionalismi altrove in Europa d’opposizione all’espansione napoleonica, “dal Manzanarre” (dove Goya raffigurerà “I disastri della guerra”) fin’oltre “al Reno” (dove Goethe auspica tuttavia che siano da questa contenuti, e dove Hegel alla vigilia della battaglia del 1806 a Iéna si dichiara ammiratore di Napoleone), e fino alla sconfitta di Lipsia nel 1813 e all’abdicazione a Fontainebleau nel 1814 sono quelli che, dopo la lettura del Mémorial, contrastano con il mito della fusione dei popoli, per cui Napoleone ammette l’inizio dei fallimenti con la campagna di Russia.
Ma se invece le loro fusioni o assimilazioni poi sono in parte avvenute in seguito ai nazionalismi, non è meglio credere ai miti piuttosto che alla Storia come ha scritto “sans craindre le paradoxe”, Jean Cocteau (“parce que l’histoire est une vérité qui se déforme de bouche en bouche et devient mensonge, alors que le mythe de bouche en bouche prend des forces et en arrive à devenir vrai”)? A Louis-Philippe, comunque, il mito di Napoleone faceva comodo per la popolarità e perciò aveva anche favorito le ripubblicazioni del Mémorial.
Mito che aveva cominciato a essere tale “dall’Alpe alle Piramidi” non solo militarmente per la facilità con cui Napoleone era arrivato in Italia, ma anche quando egli aveva considerato questa come il “berceau de la civilisation occidentale qui va désormais partager avec la République française les trésors artistiques du passé”, “héritage inestimable (que) les armées citoyennes…ont soustrait à des propriétaires indignes afin de le confier à une nation libre”…; e quando la successiva campagna d’Egitto (1798-1801) aveva dato luogo, oltre ai massacri umani sul posto, alle prime raccolte di beni artistici d’ogni provenienza in quello che Dominique Vivant-Denon (già autore di libri d’arte, incisioni e acqueforti nel Regno delle Due Sicilie e, dopo Napoli, a Roma, Firenze, Venezia e Bologna dove aveva vissuto) farà diventare, dopo essere stato al seguito di Napoleone in Egitto, il Louvre.
Antoine-Jean Gros , che lo commemorerà alla sepoltura nel 1825 al Père Lachaise, e che aveva preso l’atelier di David quando questi nel 1815 era partito in esilio a Bruxelles, aveva già cominciato ad aggiungere (dopo i precedenti ritratti tra cui il “Bonaparte au pont d’Arcole”) le raffigurazioni egiziane nei suoi quadri (tra cui: “La bataille d’Aboukir”, “Napoléon aux pyramides”), e il successo di queste raffigurazioni orientali sue e di altri pittori sopravvivrà anche dopo la restaurazione dei Borboni.
La campagna d’Egitto sembra quasi annunciata quando Napoleone, eletto membro dell’Institut nel 1797, vi dichiara: “Les vraies conquêtes, les seules qui ne donnent aucun regret, sont celles que l’on fait sur l’ignorance. L’occupation la plus honorable, comme la plus utile pour les nations, c’est de contribuer à l’extension des idées humaines”. Lo raffigurano lì in una seduta del 1798 sia il quadro di Édouard Detaille (su una poltrona con una testa di sfinge sul bracciolo che sembra fatta frettolosamente per il suo ritorno dall’Egitto), sia le descrizioni di Wilhelm von Humboldt (allora a Parigi): il suo viso è “più francese che italiano”; la melanconia nella voce lo distingue tantopiù quantopiù “si brilla con l’umore e lo spirito”! Ambedue lo descrivono vestito in civile (Humboldt: “abito e paletot blu”), e allora è lecito ritenere che come Atatürk o de Gaulle e contrariamente ai dittatori ignoranti egli ben sapesse distinguere le occasioni civili da quelle militari! Allo stesso modo per cui la Légion d’Honneur era stata da lui creata nel 1802 per riconoscere i meriti civili oltre a quelli militari, e allo stesso modo in cui anche in Egitto la conquista civile doveva poi distinguersi da quella militare: “Bonaparte en Égypte fit plus que se battre, résister et conquérir. Il établit promptement les bases d’une administration moderne, privilégia des enjeux culturels d’envergure et jeta ainsi, pour la première fois, un pont entre deux civilisations”, (e) “le lancement du projet de percement de l’isthme de Suez que le Second Empire se chargera de réaliser”.
Se il progetto del Canale di Suez aveva come “arrière-pensée” anche quella di contrastare successivamente il dominio inglese in India o Estremo Oriente (ammesso che il mondo fosse abbastanza grande per Napoleone, come gli aveva detto Kléber nel 1799!), o l’espansionismo turco in Medio Oriente, poteva anche ricordare quello che avevano avuto i veneziani per il loro commercio in Europa delle spezie dall’Oriente, che transitavano per quel territorio. Ma questo ricordo era allora insignificante rispetto a quello di Venezia per Napoleone che, prima del trattato di Campoformio del 1797 con cui l’aveva ceduta all’Austria, l’aveva saccheggiata a partire dall’Arsenale e portando a Parigi (tra l’altro) le Nozze di Cana di Veronese e i Cavalli di San Marco. Ancora dopo la sua visita nel 1807 quando la città era stata riconquistata; ancora dopo che nel 1815 i cavalli erano stati restituiti (e sostituiti con le copie di François Joseph Bosio sull’Arc du Carrousel); e ancora dopo il loro restauro effettuato nel 2013 su iniziativa del Comité Français pour la Sauvegarde de Venise (e le altre iniziative di questo nell’ala napoleonica di Piazza San Marco, al Museo Correr), Napoleone è talvolta lì ricordato come la sua statua del 1811 di Domenico Banti che i veneziani non hanno mai più voluto vedere a Piazza San Marco ed è all’interno del museo Correr. Questa lo raffigura da imperatore romano con il globo della terra nella mano sinistra, e perciò (come quella pure da imperatore romano con il globo con la vittoria nella mano destra del 1806 di Canova, all’Apsley House di Londra, o come la palla in mano al figlio Re di Roma nel quadro del 1812 di François Gérard consegnatogli durante la campagna di Russia e lì smarrito) ha ispirato Chaplin ne “Il grande dittatore”?
Ma l’era napoleonica diventa leggendaria in tutta l’Europa nel corso del XIX secolo non solo, letterariamente, per esempio: con “Guerra e Pace” scritto da Tolstoi tra il 1863 e il 1867 (ove fin dal 1° capitolo si sente dire nel salotto di Anna Pavlovna Scherer: “Gênes et Lucques ne sont plus que des apanages, des propriétés de la famille Buonaparte”; e ove le battaglie descritte con maggior rilievo sono quella di Austerlitz del 1805 con la ritirata di Alessandro I, e quella di Borodino del 1812 nella quale “Le choc des deux immenses armées russe et française ne dépendit certes pas, selon Tolstoï, de la volonté d’un homme, voire de deux ou même de plusieurs hommes ; elle ne fut que le résultat du déchaînement de forces aveugles et brutales, mues par les circonstances, la nécessité, le hasard”. “Le coup subi par l’armée française à la bataille de la Moskova fut réellement mortel, et fit entrer l’empereur des Français dans la spirale des malheurs qui le conduisirent jusqu’à Sainte-Hélène”); o con “La chartreuse de Parme” del 1839 di Stendhal per l’elogio che egli fa di Napoleone al suo ingresso nel 1796 a Milano (nonostante i suoi sentimenti contradittori, tali da non fargli finire il libro -anche di reazione alle “Considérations” di Madame de Staël postume del 1818- su di lui, come hanno ai rispettivi tempi confermato Prosper Mérimée e Giuseppe Tomasi di Lampedusa); e non solo artisticamente con i nomi di pittori anche meno noti: ad esempio Louis-Léopold Boilly, Anne-Louis Girodet, Jean-Baptiste Greuze, Paul Delaroche, François Bouchot; o degli scultori: Lorenzo Bartolini, Antoine-Denis Chaudet, Louis Corbet;ma pure con altri generi di manifestazioni tra cui: il collezionismo di figure napoleoniche di Byron (autore nel 1814 dell’”Unforgiven”, di reazione all’abdicazione a Fontainebleau: “Or, like the thief of fire from heaven, Wilt thou withstand the shock? And share with him, the unforgiven, His vulture and his rock!”), il quale fin dal 1801 aveva un suo busto e nel 1816 era andato a percorrere il campo di battaglia di Waterloo dedicando anche in quel periodo altre odi all’Imperatore, es. “Napoleon farewell”); o l’ispirazione di Beethoven per la “Sinfonia eroica” (o “Terza Sinfonia”) composta per Napoleone quando ne è stato ammiratore fino all’autoincoronazione del 1804, in alternanza ai suoi sentimenti precedenti già sfavorevoli verso di lui, per cui le oscillazioni di questi si sono poi riflesse nelle intensità dei toni.
Sono questi solo alcuni dei numerosissimi esempi documentati da Maria Teresa Caracciolo, i cui meriti sono allora opposti a quelli (descritti da Victor Hugo dopo aver visitato la tomba provvisoria di Napoleone agli Invalides) di contrasto tra la banalità del presente e la gloria del passato. Perché se questa gloria nel bicentenario della morte è stata poco celebrata anche in Italia, Caracciolo ha rimesso nel presente molti degli insegnamenti validi in Francia, in Italia e altrove nella Storia dell’Europa.
Lodovico Luciolli