Batignolles: quartiere altro, quartiere d’altri

Riflessione-racconto a partire dal vécu quotidiano di un’italiana a Parigi. Passeggiando per la nuova Batignolles tra vecchie strade, negozietti e nuovi edifici avveniristici si percepisce come Parigi stia cambiando e lentamente, ma progressivamente, forse sordamente, perda il suo volto antico ed amico.

C’est son quartier

In una épicerie italienne di Batignolles (Parigi), il proprietario che l’ha aperta 40 anni fa mi racconta con nostalgia e amarezza come il suo quartiere non sia più il suo.

Mi racconta anzitutto degli epigoni ottuagenari, che col loro immancabile chariot continuano a fare il pellegrinaggio delle sette chiese del bien vivre (prima l’épicerie italienne, poi la cave à vin, un po’ più in là la fromagerie, di seguito la boucherie, e via dicendo…), tutte ancora nella stessa strada, insegne-baluardo di una resistenza silenziosa. Le tappe del petit tour, per quanto faticoso sia raggiungerle, sono un pit stop che permette di recuperare le energie, scandite come sono da lunghe e piacevoli chiacchierate, e quindi occasione di convivialità e di incontri. Per molti questo forum ambulante, questo percorso ciclico che richiede uno sforzo fisico non indifferente ma appagante, questa volontà tenace di conservare un’abitudine cara, è anche l’unico modo di avere compagnia.

Batignolles – Cité Lemercier

Ma ecco, mi dice il proprietario, che oggi tutto il pubblico affezionato sta sparendo (non è il primo che se ne lamenta: persino l’apprendimento della lingua e cultura italiana starebbe risentendo della perdita di queste generazioni illuminate e abbienti), e i nuovi arrivati preferiscono vendere le case dei genitori vivendo poi di rendita in campagna, circondati dai prodotti bio della loro terra. Sai – continua –, non tanto tempo fa le case qui costavano 4.000 euro al metro quadro, mica ci volevano venire in tanti; e ora? ora 10.000 – 10.000! –, 7 volte di più di quanto costavano in franchi. Pian piano, mi dice, il costo della vita è aumentato, sono spariti i negozietti, inglobati dal potere onnicomprensivo di Monoprix: così anche l’épicerie ha dovuto aumentare i prezzi, senza però riuscire ad attirare i giovani, inevitabilmente sedotti dai prezzi contenuti e dalla varietà dei prodotti (di dubbia qualità) di un ipermercato che promette davvero magnifiche sorti e progressive. I giovani, quando ci sono, conclude l’animoso proprietario, sono avventori saltuari o turisti mordi-e-fuggi guidati da Tripadvisor.

E passeggiando per la nuova Batignolles (il nucleo di edifici avveniristici che gravitano intorno al parco “Martin Luther King” tra Batignolles e Clichy – fedele trasposizione del progetto architettonico pubblicizzato per anni sui manifesti immobiliari), si percepisce chiaramente questo cambiamento di prospettiva. Nel documentario Un eremita a Parigi (di Nereo Rapetti, 1974 – Vedilo QUI) Calvino parlava della possibilità di «sentirsi in mezzo alla folla, osservare tutti scomparendo nella folla, quasi sentendosi invisibili»; lo scrittore si riferiva all’esperienza della metropolitana – un mezzo che, come l’aereo, garantisce lo «spostamento da un punto all’altro con un vuoto in mezzo» –, ma le sue parole, d’altronde sempre profetiche, possono benissimo adattarsi allo scenario tatiano (da Playtime di Jacques Tati, 1967) che mi si staglia di fronte, dominato dalla mastodontica opera architettonica di Renzo Piano, oggi sede del tribunale di Parigi.

Parc Martin Luther King (Clichy Batignolles)

Il proprietario dell’épicerie non intendeva dire solamente che il suo quartiere non è più il suo, ma, soprattutto, che non può più esserlo per alcuno. Che ha cessato di appartenere. Che la non-appartenenza è precisamente la sua nuova veste. E mi convinco ancora una volta di come persino Parigi, metropoli dal multiforme ingegno, mosaico complesso di tessere differenti, abbia un volto antico che sta perdendo. Una perdita che, se mi richiama alla mente quella del quartiere newyorkese in The Last customer (regia di Nanni Moretti, 2003), è l’ennesima dimostrazione della perenne capacità di rinnovamento e metamorfosi, dell’acuta sensibilità al nuovo, della capitale francese: quella che Calvino, nel citato documentario, chiamò, in riferimento alla costruzione della Défense, «volontà di modernità, di una modernità volontaristica».

Monica Battisti

Link della canzone di Lucienne Boyer « C’est mon quartier ».

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Monica Battisti
Monica Battisti (Roma, 1992) è dottoranda in Italianistica presso l’Université Paris Nanterre e Roma Tre; nella prima università insegna anche lingua italiana. Dopo svariati anni di schizofrenia tra Roma e Parigi – città in cui ha svolto l’Erasmus e alcuni stage (Società Dante Alighieri, Istituto Italiano di Cultura) –, ha varcato la soglia rassicurante del ‘périphérique’ di Parigi per risiedere felicemente nel famigerato “93” (Saint-Denis), scoprendo che si può persino uscire di casa senza rischiare un accoltellamento. Nelle giornate di brutto tempo (ovvero la maggior parte) la si può facilmente trovare alla Fondation Vuitton, al Jeu de Paume o alla Cinémathèque; in quelle di sole, invece, rigorosamente nel giardino dell’Istituto Italiano di Cultura, ‘locus amoenus’ d’elezione.

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