Axel Munthe rappresentante dell’evoluzione scientifica del suo tempo che legava la medicina alla nascente psicanalisi, fu un europeo a tutto tondo. Amato dai circoli e salotti del tempo, ma attento ai poveri, alla loro cura, come alla natura e a tutti gli esseri viventi. Un poliglotta viaggiatore che con i suoi libri e le sue opere lascia una testimonianza di sempre grande attualità. La sua famosa Villa San Michele di Anacapri oggi è un museo aperto al pubblico e da visitare.
Munthe (1857-1949) è l’autore di “La storia di San Michele” [[La storia di San Michele fu scritta da Axel Munthe su consiglio di Henry James in un momento particolarmente doloroso per l’autore anziano, malato agli occhi, tormentato da un’angosciosa insonnia. Raccontando l’impegnativa e gioiosa realizzazione di un sogno, Munthe racconta di sé e dei suoi tempi, rievoca un’Europa cancellata dal primo conflitto mondiale, testimonia il drammatico nascere del secondo, ma soprattutto coglie il legame profondo che intreccia ogni esistenza alle altre in un fluire di vita tra uomini, animali e luoghi.]], uno dei libri più letti del 1900. Narra la vicenda personale del medico artista che possiamo immaginare seduto al suo scrittoio nella sua splendida Villa San Michele di Anacapri, in compagnia dei suoi gatti e dei suoi cani, con la visione davanti a lui dello scenario naturale più prezioso e suggestivo del pianeta, mentre mette sulla carta la sua vita ricca di vicende e di esperienze, in un linguaggio accattivante e scorrevole. Vicende che seppure ignote raccomandiamo a tutti di conoscere, in quanto sono fonte di godimento e di ammirazione nonché di elevamento culturale.
Axel Munthe fu (non a caso nel periodo in cui nasce con Freud la psicanalisi) un brillante medico esperto in ginecologia e ostetricia pur avendo la predilezione per la neurologia e in particolare le malattie nervose e mentali. Esercitò a Parigi essendo amico del celebre neurologo Jean-Martin Charcot che ebbe una profondissima influenza su di lui. In Svezia suo paese di nascita, a Capri, a Roma, a Napoli, a Londra: la sua clientela era la nobiltà; personaggi celebri e facoltosi che occupavano il jet set dell’epoca, nonché le cronache mondane dei giornali del tempo. Dovunque con il suo charme e la sua competenza riscuoteva la fiducia e calamitava l’attenzione di tutti, senza mai dimenticare i poveri. Poliglotta parlava abilmente lo svedese (la sua lingua madre), nonché l’inglese, il francese, l’italiano e, anche se con minore capacità, il tedesco. Fu, insomma, un autentico cittadino dell’Europa.
Alcune pagine del suo capolavoro « La storia di San Michele » e qualche novella dell’altra sua opera « Memorie e Peregrinazioni » più di una volta parlano e descrivono i suoi contatti e relazioni coi ciociari (vedi Ciociaria), sia a Parigi sia soprattutto a Roma. Sembrerebbe incredibile che una persona così « importante » (basti pensare che gli ultimi anni della sua esistenza li trascorse nel Palazzo Reale di Stoccolma, ospite del re di Svezia) trovasse piacere e gratificazione a coltivare anche contatti con persone umili e povere come i ciociari emigrati a Parigi, e finanche con maggior frequenza quelli che abitavano la vicina Roma.
Questa sua versatilità e questa sua semplicità rendono il personaggio veramente straordinario e la lettura delle sue opere un esercizio ancora oggi di grande utilità e piacere. Axel Munthe fa parte degli uomini che si caratterizzano per la ricca sensibilità e il sincero rispetto nonché amore sia per la natura sia per l’umanità. Un misto di carica filantropica e di mecenatismo.
Fresco di laurea a Montpellier in Francia, appena scoppiò a Napoli nel 1884 la pestilente epidemia di colera, fece i bagagli e vi si recò per prestare la sua opera a favore dei colpiti.
Particolare attenzione riservava ai poveri e agli umili e, un grande amore nutriva per la natura e tutte le creature viventi cosa che lo indusse a circondarsi di animali: cani, gatti, e finanche un babuino e un gufo. A Capri, dove costruì la sua villa chiamata appunto “San Michele” acquistò, con l’aiuto finanziario di altri appassionati, tutto un promontorio, il Monte Barbarossa, dove si riposavano gli uccelli migratori che, arrivati stanchi dal lungo viaggio, divenivano facile preda di bracconieri e di cacciatori, e quindi cosi poté preservarli e custodirli e salvarli. Acquistò, come detto, tutta una montagna diventata poi riserva naturale, ancora oggi a salvaguardia di tante specie. Il suo rispetto per gli animali lo portò ad intraprendere numerose iniziative lungo tutta la sua vita, coi suoi amici, nell’impegno contro gli esperimenti in laboratorio con gli animali, le trappole, la crudeltà. Si potrebbe dire un antesignano nella lotta alla vivisezione.
Come ricordato, nel suo libro si parla dei ciociari, originari dalle montagne “al di sopra di San Germano/Montecassino”. Ne conservava un buon ricordo. Ricambiato con amore dai tanti che all’epoca affollavano la scalinata di Trinità dei Monti: modelle, modelli, venditrici di fiori, venditori di fiammiferi….Ne curava le infermità e ne seguiva le sorti regolarmente, senza farsi pagare, immaginandone la indigenza. Racconta che ogni mattina quando prendeva la carrozza per recarsi al suo studio a Trastevere c’era sempre qualche ciociarella che, grata, si avvicinava e gli porgeva un mazzolino di viole o di fiori o qualche altro regalo. E lui racconta con amore e simpatia e gratificazione questi segni di rispetto di cui era partecipe nel contatto coi poveri ciociari romani. Nella capitale soggiornava a Piazza di Spagna nella palazzina dove oggi è albergato il memoriale ai poeti Keats e Shelley, vale a dire direttamente sulla Scalinata, al numero 26. Non c’è luogo più pittoresco di questo: sembra di vederlo quando la mattina, alla fine del 1800, apriva le finestre e godeva di quello spettacolo variopinto e smagliante di colori, rappresentato dai ciociari sulla scalinata o ai piedi di essa o attorno alla Barcaccia. E con quanta sensibilità ed attenzione nel suo libro descrive questi momenti del suo passaggio con la carrozza e tutte le effusioni e salutazioni di cui veniva fatto segno da queste persone. E di una di queste ciociarelle, dal nome di Raffaella, ne fa perfino la protagonista di un racconto del suo altro romanzo citato, anche esso sempre letto e ricercato, « Peregrinazioni e Memorie« .
È imperdonabile, non scusabile che fino ad oggi qui, nella Ciociaria frusinate, nessuno dei reggitori delle pubbliche istituzioni e nessuno dei cosiddetti rappresentanti politici siano stati in grado di onorare in qualche modo, e di tenerne desta la memoria, questo grande cittadino europeo che ha contribuito a serbare memoria e ad avere cura di tanti ciociari.
Michele Santulli
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SORPRENDENTE VEDERE UN SITO INTERESSANTE E BEN FATTO COME IL VOSTRO CHE CITA UN FALSO STORICO CLAMOROSO COME QUELLO DELLA CIOCIARIA COME SPIEGA BENE IL PIU GROSSO STUDIOSO DELL’ALTA TERRA DI LAVORO CHE DI SEGUITO INVITO A VEDERE
https://www.youtube.com/watch?v=SGFS_qoR8jc
LE CIOCIARE E I CIOCIARI SONO SEMPRE ESISTITI DA BOLOGNA FINO A REGGIO CALABRIA MA IL TERRITORIO CIOCIARIA E UN INVENZIONE DEL FASCISMO USATO ORA PER FINI PUBBLICITARI E DI MARKETING