È venuto a mancare qualche giorno fa, il 13 dicembre, Aniello Montano, storico e filosofo napoletano di prestigio, che ci ha onorato di alcuni suoi interventi, sempre documentati e colti. Hanno contribuito molto ad arricchire il nostro sito. La sua modestia, la sua sincerità, l’eleganza e il suo cortese sorriso ci mancheranno davvero. Vogliamo ricordarlo ripubblicando uno dei suoi scritti che volle offrirci sempre con quella gentilezza che lo contradistingueva.
Donne in primo piano. Tra cronaca e storia. Il loro lungo cammino nella storia.
A dispetto di chi vuole emarginarle a ruoli di comparsa, le donne esprimono la loro vitalità culturale, politica e sociale. Per capire le radici di questa vitalità ci aiuta questo graditissimo contributo.
1. La donna non ha mai goduto di una grande considerazione presso giuristi, moralisti, scienziati, filosofi e uomini di chiesa. San Paolo, con il suo “mulier taceat in ecclesia”, aveva contribuito in seguito a vietare alle donne di partecipare al dibattito teologico e perfino di cantare in chiesa. Sant’Agostino consigliava loro di astenersi dalla comunione per spirito di rispetto e devozione. San Tommaso era in dubbio se avessero un’anima. Gradualmente, nel corso dei secoli, si consolida il pregiudizio antifemminile fino ad arrivare all’Ottocento quando, soprattutto ad opera del pensiero positivista, si fissa addirittura in un paradigma scientifico la loro inferiorità naturale. Vengono ritrovate e rinnovate le antiche argomentazioni alla base della subalternità femminile, prima fra tutte quella della “scarsa razionalità”. Paradigma che perdurerà anche nel Novecento. Si costruisce il modello di una parte dell’umanità costantemente identica, estranea anche ai mutamenti storici. Si attribuisce alle donne una sorta di perenne arcaicità. Quest’idea trova la sua più larga diffusione a livello di senso comune. « Egli è certo, dietro le osservazioni dei fisiologi – scrive Carmignani nel suo Elementi di diritto criminale, (1808), – che gli organi della generazione hanno molta influenza su quelli che servono all’intelletto. Nelle femmine la midolla spinale è più debole e delicata che non lo è nei maschi. Quindi han quelle più deboli le forze dello spirito e più fermi i mezzi di acquistare le idee fornite loro dalla natura. Ciò posto il sesso femminile è pure una giusta causa perchè il delitto venga all’agente meno imputato ».
Sesso debole
Il prototipo di questo modo di pensare era già nella cultura giuridica dei Romani, laddove, riferendosi alle donne, si usano espressioni come fragilità, insania, debolezza del sesso. Tale condizione le rende inferiori agli uomini e, perciò, le costringe a rimanere sotto la tutela e la costante vigilanza di costoro. E le rende anche meno responsabili e, quindi, meno imputabili davanti alla legge. Le esclude, però, dall’esercizio del ruolo di giudice e dalla possibilità di testimoniare in un processo. Il mondo greco non era stato più tenero. Con Platone, le aveva considerate inaffidabili perché sempre e soltanto soggette a eros poikílos, alla multiforme passione d’amore. E, con Eschilo, le aveva considerate completamente diverse dall’altra parte del genere umano. I maschi posseggono la sophrosyne, la saggezza, che li mette in grado di pensare e di decidere per il bene della città. Le femmine, invece, sono soggette ad aphrosyne, all’assenza di saggezza, che le rende preda dell’eccitatabilità e della labilità emotiva. Al maschio è connaturata l’inclinazione al krátos, al potere di autocontrollo. Alle femmine, invece, è connaturata l’apáte, la parola che si fa seduzione e inganno. Omero rappresentò la capacità di seduzione ingannevole delle donne nelle figure delle Sirene, che attirano i naviganti che solcano il mare della Campania per poi divorarli. Ulisse, per ascoltarne il canto melodioso e non essere attirato nella trappola, si fa legare all’albero della nave.
Prostitute sacre
Nel mondo antico, ma non solo, le donne sono escluse dall’ambito del sacro. Rappresentano l’anello debole nella linea di comunicazione degli umani con gli dèi. Quando sono ammesse, vi entrano soltanto in quanto corpo. È il caso delle “prostitute sacre”, considerate pura fisicità, solo corpi da usare. Ma è anche il caso di sacerdotesse, come la Pizia e la Sibilla Cumana, che, per essere il mezzo attraverso il quale il dio risponde alle domande degli uomini, è ridotta a mero veicolo della parola divina. Neanche la phoné, la voce intesa come parola, appartiene più a loro. La donna nel mondo antico non eredita, non stipula contratti, sposandosi rinuncia al proprio cognome, alle tradizioni domestiche e religiose della propria famiglia. È in tutto e per tutto proprietà del marito. È semireclusa in casa: l’agorà, la piazza, non è un luogo per lei. Quando Erodoto vorrà chiarire ai suoi lettori che la società egiziana, rispetto a quella greca, rappresenta un mondo alla rovescia, porterà come prova regina il fatto che in Egitto le donne vanno al mercato e gli uomini rimangono in casa.
Signore « intelligenti »
Eppure non mancarono nell’antichità greca esempi luminosi di donne che, contro la mentalità del tempo, affermarono la loro dignità di persone intelligenti e creative, con l’impegno negli studi o nella vita civile. Basterà ricordare Aspasia, la compagna di Pericle, il capo dello Stato nell’Atene democratica, citata con rispettosa serietà da Senofonte e ammirata da Socrate come sua intelligente interlocutrice; oppure Temistoclea, una sacerdotessa del tempio di Apollo a Delfi, ritenuta l’ispiratrice delle dottrine etiche di Pitagora; o ancora Ipazia di Alessandria (370-415 d. C), filosofa e grande matematica, ammirata ed esaltata per essere la prima donna scienziata della storia, scarnificata viva nel terzo secolo d. C. dai seguaci del vescovo Cirillo, perché ritenuta ispiratrice del prefetto romano Oreste, ostile ai cristiani. Neppure il mondo romano fu privo di donne intelligenti ed energiche. Negli ultimi anni della Repubblica si videro donne avvocate, come Afrania, moglie del senatore Licinio Buccone, o come Ortensia, figlia dell’oratore Quinto Ortensio Òrtalo, che, erede della fama e dell’eloquenza paterne, difese gli interessi e la dignità delle donne, calpestati dal secondo triunvirato tra Ottaviano, Lepido e Antonio. Vanno ricordate, infine, come donne forti e capaci, Cleopatra, che trionfava su un uomo come Giulio Cesare, e Livia Drusilla, moglie di Ottaviano Augusto, consigliera attiva e intelligente dell’imperatore fino a meritare di essere raffigurata, ancora in vita, come una dea onnipotente ai cui piedi si piegava ogni persona.
Ispiratrici della poesia
2. Nel mutamento dei tempi, della cultura, della religione, pur permanendo il pregiudizio della misoginia, non muta il desiderio di conoscere da parte delle donne, né il senso della loro autonomia e dignità. Nel pieno Medioevo spicca il nome di Trotula de Ruggiero, attiva all’interno della Scuola Medica Salernitana nei primi decenni dell’XI secolo. A Trotula viene attribuito un trattato, dal titolo De passionibus mulierum ante in et post partum, che segna la nascita della ginecologia e dell’ostetricia come scienze mediche. Dai tre grandi della letteratura italiana, Dante Petrarca e Boccaccio, pur con le dovute differenze dovute al passaggio dalla cultura medievale a quella umanistica, la donna è considerata l’ispiratrice della poesia alta e nobile. La Beatrice di Dante è tramite tra l’uomo e Dio. Rappresenta la filosofia e la teologia. È la guida del poeta attraverso il Purgatorio e il Paradiso. È la donna angelicata, che ispira sentimenti alti e nobili. Nella poesia di Petrarca la donna scende dal cielo alla terra. È fondamentalmente un corpo bello, che si muove nella natura e secondo le sollecitazioni proprie della natura, che ispira desiderio e passione, strutture portanti della vita umana. Nel Decamerone di Boccaccio è ormai parificata all’uomo. Anzi, sembra assumere il ruolo di vera e propria protagonista nelle vicende d’amore. Sa accendere la carne e lo spirito del compagno ed essere origine di grande felicità, ma anche fonte di delusione e sofferenza. Dei dieci giovani che raccontano le novelle che compongono l’opera sette sono ragazze e tre soltanto ragazzi, a conferma del nuovo ruolo che le donne vanno assumendo nella società.
Bisogno/vocazione di educazione
Tra le tante donne sognate, desiderate, amate, negli anni del passaggio dal Medioevo al Rinascimento, non mancano religiose impegnate a riscattare la figura femminile attraverso l’impegno nell’opera della formazione intellettuale e morale. Basti ricordare la straordinaria esperienza dell’evangelismo di Sant’Angela Merici (1474-1540), concretizzatasi nella fondazione della Compagnia di sant’Orsola che darà forma al cambiamento, per affermare una nuova dignità della donna, aprendo la via a una libera scelta di consacrazione non più solamente nei chiostri ma nel mondo, all’interno delle famiglie. La novità di questa esperienza è che si orienta verso un bisogno/vocazione di educazione: aprire alle donne la possibilità di educare e di essere educate da persone dello stesso sesso. Riunite in ordini come le Orsoline o come la congregazione delle suore d’Ivrea, delle suore propongono una vera e propria rivoluzione, progettando di educare fanciulle e contemporaneamente diventarne istitutrici. Meno conosciuta è la storia della figlia di Galileo, suor Maria Celeste, che, diventata clarissa nel monastero di Arcetri, medita, riflette, contempla in uno scambio scientifico intelligente e produttivo con il padre. È lei che ricopia e trascrive il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e che tiene l’archivio della corrispondenza, rispondendo spesso alle lettere pervenute al padre da tutto il mondo.
Autonomia di giudizio
In pieno Cinquecento le donne, da oggetto della scrittura maschile, diventano soggetto di scrittura al femminile, manifestando una loro visione del mondo e della società. Spiccano, tra altre, alcune poetesse di grande forza: Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Veronica Gambara, Isabella di Morra e la napoletana Laura Bacio Terracina. In questo stesso secolo, Elisabetta Prima d’Inghilterra s’impone all’attenzione dell’Europa e, per la sua cultura oltre che per la sua tempra di regina, è molto elogiata da Giordano Bruno, che ne aveva frequentato la corte. La Chiesa e la società dei “benpensanti” rimangono atterrite da tanta sicurezza e da tanta voglia di affermarsi in prima persona delle donne. Più queste chiedono autonomia di giudizio e di azione più vengono considerate streghe e janare, possedute dal demonio. La caccia alle streghe cominciò nel 1484, in pieno Rinascimento, con la bolla Summis desiderantes affectibus (Desiderando noi con supremo ardore) del Papa Innocenzo VIII, e continuò con l’istituzione di un tribunale speciale per le streghe, che comminò molte condanne a morte dopo terribili torture. Le streghe – per Voltaire – hanno smesso di esistere soltanto quando noi abbiamo smesso di bruciarle.
Nei salotti letterari
3. Nel Seicento e nel Settecento, la donna diventa sempre più protagonista all’interno del mondo culturale e di quello sociale. Un ruolo di primo piano nella cultura artistica seicentesca svolge la romana Artemisia Gentileschi (Roma 1593- Napoli 1653), una pittrice di scuola caravaggesca, autrice di autentici capolavori, come la tela dipinta nel 1610, Susanna e i vecchioni, o quella dipinta tra 1612 e il 1613 e conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli, Giuditta che decapita Oloferne. La vera innovazione nel ruolo sociale della donna è rappresentata, però, dall’apertura a Parigi dei salotti letterari da parte di colte e raffinate dame dell’alta società. Queste, nell’ala del palazzo in cui erano padrone incontrastate, accoglievano letterati, artisti, scienziati e filosofi. Incoraggiavano gli studi e le ricerche. Promuovevano dibattiti. Scrivevano di filosofia e letteratura e non mancano alcune interessate alle scienze. Nei salotti delle dame parigine erano di casa Voltaire, Rousseau, Diderot. L’idea centrale al centro della discussione era la fede nell’esistenza di un’unica Ragione alla quale partecipano uomini e donne. Diventò un luogo comune la frase scritta da padre Castel a Jean-Jacques Rousseau: “Non si fa niente a Parigi se non si è protetti da una donna”. Anche a Napoli sorsero diversi salotti frequentati da studiosi di ogni genere, importanti tra gli altri furono i salotti letterari e musicali, famosi quelli di Aurora Sanseverino dei principi di Bisignano e di Ippolita (donna Popa) Cantelmo Stuart, moglie del principe della Roccella.
Infiammate da nuove idee
Il Settecento napoletano si chiude con un gruppo di donne di grande tempra civile e di grande coraggio, tutte nobili e tutte infiammate dalle nuove idee di libertà, uguaglianza e fratellanza che giungono dalla Francia repubblicana. Quando, dopo la decapitazione del re di Francia Luigi XVI e della moglie Maria Antonietta, la politica del re di Napoli Ferdinando IV di Borbone e della moglie Maria Carolina comincia a perseguitare i liberali e i giacobini napoletani, Giulia Carafa della Spina dei principi di Roccella, moglie di Luigi Serra dei duchi di Cassano, e la sorella accolgono e sostengono i poeti, gli artisti e i filosofi che hanno aderito agli ideali di libertà e democrazia provenienti dalla Francia. E quando a Napoli si afferma la Repubblica, nel gennaio del 1799, entrambe, Giulia e la sorella, partecipano alle iniziative di sostegno e di propaganda per il nuovo Governo. Pietro Colletta, nella Storia del Reame di Napoli, ricordando i giorni bui della Repubblica napoletana, scrive: “Vedevasi la città piena di lutto: scarso il vivere, vuoto l’erario, e perfino mancanti d’aiuto i feriti. Ma due donne già duchesse di Cassano e di Popoli, e allora col titolo più bello di “madri della patria”, vanno di casa in casa raccogliendo vesti, cibo, danari per i soldati e i poveri che negli ospedali languivano. Potè l’opera e l’esempio: altre donne s’aggiunsero e la povertà fu soccorsa”. A dare il nome di “madri della patria” alle sorelle Carafa era stata un’altra grande donna di origine portoghese ma nata a Roma, Eleonora Pimentel Fonseca. Curatrice della biblioteca privata e amica della Regina Maria Carolina, aderì agli ideali libertari e repubblicani che si affermarono a Napoli dopo il 1794. Sull’onda delle rivendicazioni riformatrici delle associazioni repubblicane francesi, Eleonora invocava l’estensione universale dei diritti di libertà, uguaglianza e fraternità, senza preclusione di sesso. Erano gli anni in cui Mary Wollstonecraft in Inghilterra scriveva la prima opera dichiaratamente femminista, dal titolo Rivendicazione dei diritti delle donne (1792) e insegnava alle giovani l’importanza dell’istruzione e della partecipazione alla vita pubblica. Nel 1798 Eleonora fu arrestata per “giacobinismo”. Rimessa in libertà, alla vittoria della Repubblica Napoletana, partecipò attivamente alla vita politica. Fondò e diresse un giornale, il Monitore Napolitano, pubblicato dal 2 febbraio all’8 luglio del 1799, in 35 numeri bisettimanali. Poetessa e scrittrice, Eleonora, dopo la caduta della Repubblica, fu incarcerata, condannata a morte e poi impiccata il 20 agosto del 1799.
Riformare il mondo
4. Accanto a questi modelli di virtù civili continuavano il loro impegno donne consacrate, come le Orsoline. Ernest Legouvè (1807-1903), nella voce Femmes dell’Enciclopédie Nouvelle (1846), scriveva traducendo il proposito di queste religiose. “Bisogna, dicevano, rinnovare mediante le più giovani questo mondo corrotto: le fanciulle riformeranno le loro famiglie, le famiglie riformeranno le province, le province riformeranno il mondo”. Sono gli anni di Antonia Maria Verna che, dopo essersi consacrata a Dio con voto di verginità, decise che il bisogno più urgente del suo tempo sia quello “d’opporsi al rovinoso torrente, far argine al vizio imperversante, diradare le tenebre dell’ignoranza”. La donna – affermava madre Antonia Maria Verna – fa tutto con amore. “Con amore di Madre ammonisce, prega, scongiura [….]. Tutta zelo istruisce il debole, conforta l’afflitto, consola, e, con dolcezza ineffabile spezzando ai pargoli il pane dell’intelletto, li istruisce nei primi rudimenti della religione”. Imparare per poter insegnare, chiedere il diritto ad essere istruite per poter istruire altre generazioni, soprattutto delle giovani, è progetto e programma condiviso da molte altre donne. Le seguaci di Saint Simon in Francia, con figure come Flora Tristan (1803-1844) o Jeanne Deroin (1805-1894), fanno del loro essere donne la leva per la ricostruzione della società. Flora Tristan pone l’accento sulle rivendicazioni economiche a favore delle donne, chiedendo eguale salario e pari opportunità di lavoro. Janne Deroin, fondatrice di riviste come “La voix des femmes”, è laica ma si ritiene cristiana, vede in Gesù una figura storica di rivoluzionario non violento, che ha predicato l’eguaglianza tra tutti gli esseri umani e la fine delle discriminazioni sociali, in quanto contrarie alla legge divina.
Rivendicazione di diritti
I primi anni dell’Ottocento, gli anni Trenta in particolare, sono tra i decenni più esplosivi anche della storia americana. Anche lì, con le sorelle Sarah e Angelina Grimkè, troviamo lo stesso intreccio di sentimento religioso e di rivendicazione di diritti. Sarah Grimkè (1792- 1873) è la prima donna a parlare e a scrivere contro la schiavitù. Pur provenendo da una famiglia del Sud proprietaria di schiavi, si batte perché alle donne sia riconosciuto il diritto a parlare in pubblico e di muoversi liberamente fuori dalla tradizionale sfera domestica. La conquista dei diritti civili e politici, in quel momento, rappresenta per le donne un valore fondato sul rispetto di sé, sulla fiducia nel proprio valore, su una lettura aderente al messaggio della tradizione cristiana. Le sorelle Grimké, proprio per essere state leaders del movimento femminista antischiavista, nel 1837 sono accusate di eresia. Nel 1848 partecipano alla stesura della famosa Dichiarazione dei sentimenti di Seneca Falls, in cui si proclama l’uguaglianza dei diritti umani, ossia che le capacità e responsabilità della specie umana sono identiche e che il valore sproporzionato impostato sul tempo del lavoro degli uomini e delle donne è un’ingiustizia palese. Anche in impieghi analoghi, il tempo di lavoro delle donne, allora (?), era pagato almeno la metà di quello degli uomini.
Donne forti e coraggiose
All’inizio dell’Ottocento Madame de Staël aveva invitato i letterati italiani ad abbandonare l’imitazione dei classici per entrare nelle questioni civili e politiche della loro patria. Era l’inizio della letteratura patriottica, liberale e nazionale, con Foscolo e Manzoni, in primis. Cominciava l’epopea del Risorgimento italiano. Anche in questo percorso storico non mancarono donne forti e coraggiose. Tra queste certamente vanno ricordate le Poerio, madre e figlia, Carolina e Carlotta. Carolina, solo per essere la fidanzata di Giuseppe Poerio, barone di Belcastro, condannato all’impiccagione commutata poi alla pena dell’ergastolo in quanto sostenitore della Repubblica Napoletana del 1799, fu rinchiusa d’autorità nel convento del Consiglio. Liberato per un indulto Giuseppe, i due fidanzati si sposarono ed ebbero tre figli: Alessandro, Carlo e Carlotta. I Poerio, da Croce indicati come “una famiglia di patrioti” “dall’alto intelletto e dal generoso cuore”, non conobbero mai pace. Carolina soffrì molto per la sorte del marito, che dopo la galera patì l’esilio a vita, e per quella dei figli. Alessandro, insigne poeta e patriota, amico dei più grandi letterati del tempo, tra cui Goethe, Leopardi e Tommaseo, fu non solo autore di pregevoli liriche, ma prese attivamente parte alle battaglie per l’unificazione dell’Italia e nel 1848 morì a Venezia per ferite riportate nella famosa “Sortita di Mestre”. Carlo fu il maggior esponente del partito liberale moderato napoletano. A causa dei suoi ideali costituzionali fu più volte perseguitato e imprigionato dalla polizia borbonica. Nel 1849, accusato di appartenere alla setta dell’Unità Italiana, fu rinchiuso per dieci anni nelle carceri borboniche. Carlotta sposò Paolo Emilio Imbriani e da lui ebbe cinque figli. Passò 11 anni in esilio fra gli stenti, essendo stati sequestrati tutti i beni di famiglia. “Io – scriveva nel 1848 al fratello Alessandro – ho il coraggio di resistere a tutte le sventure che ci circondano pel pensiero che debbo ai miei figli e che mi corre l’obbligo di educarli virilmente, di renderli insomma uomini, merce di cui v’è difetto ne’ tempi presenti, tempi di corruttela e di viltà”. Tra i figli di Carlotta Poerio Imbriani va ricordato l’illustre letterato, allievo di Francesco De Sanctis, Vittorio Imbriani. Sempre a Napoli nasce il Comitato politico mazziniano femminile per mantenere i contatti tra i patrioti napoletani e i mazziniani di Genova.
Donne impegnate nel Risorgimento
A Milano altre donne s’impegnano sul fronte della politica risorgimentale. Bianca Milesi, che Manzoni definì “madre della patria” come le Carafa a Napoli, si avvicina alle idee di Mazzini, è tra le sostenitrici del giornale “Il Conciliatore” e tra le ammiratrici di Silvio Pellico, di Giovanni Berchet e di Federico Confalonieri. Proprio con Confalonieri organizza scuole di mutuo insegnamento, finché non viene esiliata in Francia. Nei salotti bene di Milano, Cristina Trivulzi di Belgioioso, nobile, ricca, coltissima, finanzia alcuni moti carbonari, come quello di Ciro Menotti a Modena. Organizza vari ospedali a Roma e dopo l’esilio francese, fatta l’Unità, s’impegna nella fondazione di asili. Il Risorgimento conosce tante altre donne impegnate nella lotta o nel sostegno alle azioni politiche. Alcune, come Anita Garibaldi, compagna dell’“eroe dei due mondi”, Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria e madre di Alessandro Manzoni e la Contessa di Castiglione entrano nei libri di scuola. Altre rimangono nell’ombra, pur svolgendo un ruolo importante.
Le Brigantesse
Sull’altro fronte, quello antirisorgimentale, negli anni successivi all’annessione del Regno di Napoli spiccano altre donne, forti e determinate come quelle di cui abbiamo velocemente tracciato una piccola mappa. Si tratta delle “brigantesse”. Il fenomeno del brigantaggio meridionale è ancora tutto da approfondire e da studiare. Esso non nasce dopo l’Unità d’Italia. Già nel 1630 Placido De Sangro aveva dato alle stampe a Napoli un Discorso espediente profittevole per la persecuzione et estirpazione de’ Banditi che infestano il presente Regno. Nel Settecento si registrano molte storie di briganti, costretti a darsi alla macchia dall’assoluta mancanza di garanzia di difesa per i contadini che incappavano nei tribunali baronali. Un esempio di questo tipo di brigantaggio è quello di Angiolillo Duca, di San Gregorio Magno, catturato e impiccato senza processo per ordine del re, descritto con particolari documentati da Benedetto Croce. Una novità emersa con le ultime ricerche sul brigantaggio postunitario è rappresentata dall’alto numero di donne che aderivano alle “bande” sottoponendosi anche al rito d’iniziazione. Per ogni gruppo di una ventina di uomini si contano fino a cinque donne, che operano talvolta con pari grado, funzione e responsabilità degli uomini. L’ingresso nei gruppi di “resistenza ai piemontesi” era per lo più favorito da legami parentali. Si trattava di mogli, sorelle, amanti di briganti. Tra queste gli studiosi ci ricordano i nomi di Maria Oliverio, Michelina Di Cesare, Maria Rosa Marinelli, Lucia Di Nella, Filomena Pennacchio. L’esperienza del brigantaggio femminile certamente impresse una spinta e un’accelerazione all’emancipazione femminile nel Mezzogiorno.
Il Movimento Femminista
La rivendicazione della parità tra uomini e donne si fa ancora più forte a partire dalla metà dell’800. In quegli anni nasce un vero e proprio “Movimento Femminista”. I prodromi di questo nuovo fronte di lotta si registrano negli Stati Uniti e in Inghilterra. Nel 1848 un nutrito gruppo di femministe organizza a New York un’assemblea, rivendicando per le donne diritti uguali agli uomini e, in particolare, il diritto di voto. In Inghilterra, pochi anni dopo, precisamente nel 1855, in un’assemblea fu chiesto il pari diritto alla proprietà e lo si ottenne per le donne sposate nel 1870. Negli anni successivi furono introdotte le leggi sul divorzio, sul sostegno nella cura dei figli, sul minimo salariale e sui limiti nell’orario di lavoro. Particolarmente attivo negli Stati Uniti e in Inghilterra fu anche il movimento delle “Suffragiste”, donne che rivendicavano il suffragio universale, vale a dire il diritto di voto. Furono organizzati convegni, manifestazioni pubbliche, marce di proteste. E ci furono repressioni, denunce, arresti, fino a registrare una giovane “martire”: nel 1913, una ragazza, per protestare, si gettò sotto la carrozza reale e rimase uccisa.
La “festa delle donne” : 8 marzo
5. Delle tante lotte ingaggiate dalle donne per rivendicare dignità e diritti pari a quelli degli uomini rimane testimonianza nella “festa delle donne” celebrata l’8 marzo. La data ricorda un evento tragico consumatosi a New York nel 1908. Le operaie dell’industria tessile Cotton protestarono contro le pessime condizioni in cui erano costrette a lavorare. L’8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte, sequestrando di fatto le operaie all’interno della fabbrica. Poi appiccò il fuoco allo stabilimento, lasciando bruciare vive le 129 operaie. Successivamente Rosa Luxemburg propose questa data come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne. Da allora la data dell’8 marzo ha assunto un’importanza mondiale, diventando il simbolo delle vessazioni subite dalle donne, ma anche del loro riscatto. Alla fine della seconda Guerra mondiale, in Italia, l’8 marzo 1946, nel celebrare la ricorrenza del tragico evento newyorkese, su suggerimento di Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei, si adottò la mimosa come emblema della festa.
L’affermarsi della parità tra i sessi
Il Novecento ha registrato finalmente l’affermarsi dell’assoluta parità tra i sessi e l’avanzata delle donne in ogni campo, dall’industria alla politica, dalla letteratura alle scienze. Va tenuto presente che soltanto nel 1874 alle ragazze è stato consentito l’accesso ai licei e alle università e che ancora nel 1891, un pontefice attento al mondo del lavoro, Leone XIII, nell’enciclica “Rerum Novarum” scriveva: “Certi lavori non si confidanno alle donne, fatte da natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l’onestà del debole sesso”. Era il portato dei tempi. Da allora le donne hanno mostrato tutto il loro valore.
Scienziate
Vale la pena di ricordare alcune donne impegnate nell’attività scientifica. A partire da Marie Curie Sklodowska (1867-1934), nata a Varsavia, moglie dello scienziato Pierre Curie. Marie è chimica e fisica. Insieme al marito aveva provato la radioattività come proprietà dell’atomo, scoperta per la quale furono insigniti entrambi del premio Nobel per la fisica nel 1903. Marie, dopo la morte del marito, ebbe anche il premio Nobel per la chimica nel 1911. Nonostante i due premi Nobel non fu ammessa all’Académie des Sciences. La figlia, Irène Joliot Curie (1897-1956), lavorando alla produzione di elementi radioattivi artificiali ottenne insieme al marito il premio per la chimica nel 1935. Tra le donne premio Nobel spiccano anche due italiane, Grazia Deledda (1871-1936) e Rita Levi-Montalcini (1909- vivente). Nata a Nuoro, in Sardegna, Grazia Deledda riceve il Premio Nobel per la letteratura nel 1926. I suoi romanzi la connotano come un’acuta osservatrice della natura dell’isola natia e dei costumi sardi. Rita Levi-Montalcini si laurea a Torino, ma è costretta a lasciare l’università in seguito alle leggi razziali del 1938. Si reca negli Stati Uniti, dove studia una proteina capace di favorire la crescita delle fibre nervose. Questa scoperta le valse l’attribuzione del premio Nobel per la medicina nel 1986. Ormai le donne insignite del Premio Nobel e di altri premi internazionali sono tantissime.
Maria Montessori
Nell’ambito del sapere scientifico, vanno ricordate ancora Maria Montessori (1870-1952) e una santa italiana vissuta appena quarant’anni, Santa Gianna Beretta Molla (1922-1962). Maria Montessori è la prima donna italiana a laurearsi in medicina, dopo l’Unità d’Italia. Si dedica con passione alla ricerca di laboratorio. Studia batteriologia, microscopia, pediatria, psichiatria e antropologia. Nel 1904 consegue la libera docenza in antropologia e comincia a occuparsi dell’organizzazione degli asili infantili. Nel 1907 apre in un quartiere popolare di Roma, san Lorenzo, la prima Casa dei Bambini e si applica allo studio della pedagogia scientifica. È autrice di un metodo educativo ancora oggi praticato e studiato. Gianna Beretta Molla frequenta la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano, prosegue gli studi a Pavia, ove il 30 novembre 1949 consegue la laurea. Nel luglio del 1950 apre un ambulatorio medico a Mesero (MI) e contemporaneamente segue il corso di specializzazione in Pediatria. Le lettere del fratello Alberto, medico missionario cappuccino in Brasile, alimentano sempre più in Gianna la vocazione missionaria, ma la sua fragile costituzione fisica e i consigli del suo padre spirituale la dissuadono dal mettere in atto il suo proposito. Nel 1972 l’Arcivescovo di Milano Giovanni Colombo promuove la Causa di Beatificazione. Il 6 luglio 1991 Papa Giovanni Paolo II firma il Decreto che riconosce l’eroicità delle virtù della Serva di Dio. Il 16 maggio 2004 lo stesso Giovanni Paolo II, in Piazza S. Pietro a Roma, la proclama Santa.
Resistenze
Il cammino delle donne nel riconoscimento della parità non è stato facile né lo è ancora in tanti paesi del mondo. Le resistenze sono state tantissime. Solo a titolo di esempio, va ricordato che una delle più antiche e prestigiose Accademie del mondo, la Royal Society, fondata a Londra nel 1660 per discutere le idee di Francesco Bacone, soltanto nel 1945 ha emendato il proprio statuto consentendo alle donne di farne parte. Tra i 1200 membri di questa Accademia, però, soltanto sessanta sono donne e tra queste l’italiana Rita Levi Montalcini. In Italia, mentre tra i ricercatori e i professori universitari la presenza femminile è quasi del 50%, solo il 10% dei Rettori delle Università sono donne. La partecipazione alla vita politica delle donne nel mondo occidentale è ormai pratica corrente, anche se solo pochissime arrivano veramente ai vertici dello Stato. Scontano ancora il ritardo con cui hanno ottenuto il riconoscimento del diritto di voto al pari dei maschi. Va ricordato che negli Stati Uniti solo nel 1918 è stato approvato il suffragio universale, in Inghilterra nel 1928, in Francia e in Italia nel 1946.
Pensatrici del Novecento
Vanno ricordate, anche se molto velocemente, un gruppo di pensatrici del Novecento, perché hanno fatto breccia in un settore tradizionalmente appannaggio degli uomini. Edith Stein (1891-1943), di famiglia ebraica, fu avviata da Max Scheler alla conoscenza del cattolicesimo e, attraverso la meditazione sull’autobiografia di santa Teresa d’Avila, giunse alla conversione e poi all’ingresso nel convento delle carmelitane a Colonia. Autrice di opere importanti, come La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino, Essere finito ed eterno e ancora La scienza della Croce, la Stein prese posizione contro l’esclusione delle donne dalla libera docenza, che nel primo quarto del ’900 era ancora vigente in Germania. Si batté perché fossero sciolti “i legami che ostacolano l’istruzione della donna” e fossero aperte, invece, tutte “le forme di istruzione e i campi di attività maschili”. Altra figura importante è quella di Simone Weil (1909-1943). A ventidue anni è laureata e abilitata all’insegnamento della filosofia. Mentre insegna si interessa alle condizioni degli operai e dei poveri. Si mette in aspettativa dall’insegnamento per lavorare in fabbrica. Trasferitasi negli Sati Uniti, s’interessa della condizione dei negri. Le intense letture del Vangelo e di Platone la inducono ad assumere una base mistica per la sua riflessione filosofica: misticismo e rivoluzione sociale furono gli elementi fondamentali del suo pensiero. Hannah Arendt (1906-1975), autrice di due libri fondamentali, Il concetto di amore in Agostino e Le origini del totalitarismo, opera, questa, di analisi acutissima sui totalitarismi nefastamente attivi in Europa nella prima metà del Novecento. E, infine, Maria Zambrano (1904-1990) la cui formazione culturale fu ispirata alla “mistica chiara” e Luce Irigaray (1930-vivente), autrice di opere importanti per quel filone del pensiero moderno che si richiama alla “filosofia al femminile”.
Mutamento e speranza
La veloce carrellata sulle tappe della lunga storia dei rapporti uomo-donna ha mostrato che siamo ormai in una fase di mutamento così pronunciato da prevedere prossimo l’avvento di un nuovo concetto di umanità. Non è più pensabile non riconoscere alla donna il suo essere soggetto a pieno titolo, socialmente e politicamente uguale in tutto e per tutto all’uomo. Rainer Maria Rilke, un poeta e scrittore praghese di formazione mittleuropea, nei primissimi anni del Novecento, auspicava la trasformazione del rapporto tra i due sessi in una relazione tra due individualità, non più connotate da diritti e doveri differenti ma perfettamente pari: due individualità “che si proteggono, si completano, si limitano e s’inchinano l’una davanti all’altra”. È questa la speranza da coltivare. È questo l’obiettivo da realizzare compiutamente in tutti i Paesi e in tutte le forme di cultura. Eraclito nel VI secolo a.C. già aveva invitato l’uomo ad aprirsi alla speranza, ammonendolo: “Se non speri, non troverai l’insperato”.
Aniello Montano
Pubblicato il 14 luglio 2012
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Quest’articolo è stupendooooo, complimenti al prof Aniello Montano per la chiarezza e il contenuto del suo contributo.