E’ un piccolo libro impietoso –appena 66 pagine- che con stile vivace e persino ironico mette sotto esame le scelte del nostro sistema cine-televisivo e la sua validità etico-sociale nel “comunicare”.
Armando Lostaglio, tra ottobre 2009 e luglio 2010, si è piazzato taccuino in mano di fronte a schermi grandi e piccoli per intercettare l’anima dell’impianto cine-televisivo italiano e cogliere nei fatti gli standard qualitativi del nostro sistema di comunicazione globale. Diffidente curiosità. Così è nato questo insolito e raro monitoraggio del mezzo mediatico e di quanto le nostre reti cine-radio-televisive unilateralmente propinano ai cittadini italiani.
Nelle 47 schede-riflessioni che compongono il libro, Lostaglio coglie le macro e le micro falle di programmi, personaggi, situazioni apparentemente trascurabili di comunicatori protagonisti, comparse e comprimari. Osservatore acuto, caustico, ironico, lucido e incalzante, la sua ricerca metodica va oltre la materialità degli schermi per cogliere i segreti riflessi di quell’organismo mediatico in cui si muovono dispensatori di verità e di menzogne, di cose ottime, buone e lodevoli e di altrettante brutte, pessime e biasimevoli. Ogni pagina è un campione di trivialità, sciatteria, ignoranza, cattivo gusto e, spesso, anche di inganni e mala fede.
In quest’ottica, nel libro di Lostaglio si intravvedono orizzonti molto critici circa la nostra cultura mediatica afflitta da sintomi di evidente asfissia: scarsità di idee, abnorme spazio all’intrattenimento di basso profilo sconfinante nella superficialità, che ha smarrito i propri ideali e rinunciato ai propri obiettivi, sempre più bisognosa di risorse, soggiogata dal potere spesso corrotto e corruttore, non sempre vicina ai valori del servizio, sempre più spinta a compromessi e cedimenti alla ricerca del successo facile in nome di quel parametro assai poco attendibile che si chiama share.
Ne scaturisce la diffusa convinzione circa la crescente distonia, ormai strutturale, tra produzione e cultura, tra comunicazione e cittadini. In fondo si intravvede la crisi di contenuti e, spesso, la assenza di un vero e doveroso progetto culturale. Elementi questi intimamente legati ed ontologicamente dipendenti da meccanismi sociali primari che affondano le proprie radici in fattori indiscussi e consolidati come sono la nostra storia, le tradizioni, l’ambiente, la politica, l’economia, la religione ecc.
Il crisma, “la cifra” lostagliana che permea questo libro è quindi farci capire che il sistema è a rischio e che ha bisogno di aggiustamenti, aggiornamenti e correzioni. Vediamo troppe cose spurie, che disturbano, che urtano il buon gusto, che mortificano e irridono il senso comune della comune gente, che si investono ingenti risorse in banalità senza una accettabile proporzione tra costi e ricavi in termini culturali e crescita del Paese e infine, che purtroppo i mezzi di comunicazione, per la loro forza ed efficacia, vengono manipolate con sistemi non idonei e per fini che non sono quelli propri del sistema.
Lostaglio, da raffinato introspettore sociale quale è, attraverso un variegato campionario di trasmissioni (rigorosamente identificate) individua tanta trivialità, cattivo gusto, ignoranza, mancanza di educazione e di semplice buona fede; ci fa vedere dove siamo arrivati e quale sia oggi la “soglia di sensibilità e di percezione” di cui parla nella Prefazione don Ermis Segatti. Soglia che all’occorrenza sottilmente si sposta secondo interessi e convenienze del tutto aliene al ruolo fondamentale che cinema e televisione hanno per intrinseca natura, vocazione e per finalità istituzionale. Riflessioni oggettive come quelle delle pagine di Lostaglio, non sono campate in aria ma desunte dalla realtà quotidiana che gli schermi riflettono e che sono avvisaglie di uno stato di rischio salute che avrebbe bisogno di specifica attenzione.
L’Autore rafforza queste sue convinzioni con autorevoli citazioni (Bertolucci, (5) Pasolini, Morante pag 14-15) e ricorre anche a paragoni e situazioni grottesche quali quello tra il maestro Alberto Manzi e Bruno Vespa (15) ironizzando su situazioni discutibili, se non negative, sullo schermo, quali quelle di Dell’Utri, di Corona, di Emanuele Filiberto (18), e la divertente richiesta del produttore di cine-panettone per accedere ai fondi pubblici in quanto cinema di interesse culturale (20). Sottolinea l’asservimento e la diseducazione che certi programmi propinano al pubblico più debole ed incauto come sono giovani e bambini (12-13).
Ma non tutto è negativo nella TV di Lostaglio. A pag. 21 ci lascia un commosso ricordo di Beniamino Placido e a p.23, un plauso per un servizio di Geo&Geo “tecnicamente perfetto nei tempi e nel montaggio” (23). Ma non mancano le invettive anche violente come in “Risorse umane” che la dice lunga sull’opinione di Lostaglio circa la cultura sociale italiana e circa l’ enturage che la produce, la gestisce, la svuota, la dileggia e la distrugge, (a spese del Paese) (25).
In una riflessione circa “La poetica di Blob”, pacata serena, sostanziosa, verso la fine sbotta la sua indignazione verso un programma vuoto, (“Il più grande”) fuorviante, idiota. Che apostrofa come esecrabile!
Non c’è dubbio. E’ evidente che per Lostaglio il problema c’è. Siamo in declino. Esiste e non da ora. E ciò che è allarmante, si auto riproduce, si autopromuove, si anestetizza, si banalizza, si ridicolizza. Forse si dirà (provinciale autopromozione) che il nostro sistema di comunicare cultura in senso è tra i migliori del mondo. Forse. Ma credo che Lostaglio nel suo libro non vuole fare graduatorie, ne puerili paragoni. Vuole solo dirci che il problema c’è ed è serio. Ed è un problema di fondo anche se è più che ovvio che non tutto il comparto cine-televisivo italiano sia passibile di tale severo giudizio.
Armando Lostaglio insieme al critico e scrittore Tatti Sanguineti alla presentazione del libro alla Mostra di Venezia 2010
Infine, “Schermi Riflessi” ci riflette le qualità di un professionista libero ed esperto che, agli strumenti del mestiere, associa molta esperienza, sapienza, misura e coscienza. E’ per questo che Lostaglio non straripa, non porta, forse volutamente, la sua ricerca dietro gli schermi. Solo sui riflessi. Non entra nei “massimi sistemi” delle mega produzioni, altissime direzioni e, tanto meno, nella filosofia che ci sta dietro. Lostaglio non è un moralista e non si misura con le frontiere teleologiche, sociologiche, antropologiche e comportamentali su cui poggiano. Ha evitato con cura gli insidiosi scogli filosofici, sociologici, etici e morali insiti in ogni sistema sociale complesso. Si è mantenuto sulla dritta del professionista: i fatti, e solo “questi” fatti.
Qualcuno potrebbe addebitargli questa posizione di neutralità. Sarebbe ingeneroso. Ma non è escluso che l’Autore di “Schermi Riflessi” abbia in serbo lo scandagliare ancora questo comparto con altra o altre pubblicazioni. Ce lo auguriamo! Per il momento ci appare evidente che, di fronte alla veloce evoluzione della comunicazione globale, il libro di Lostaglio è un severo richiamo al realismo costruttivo e chiara chiamata di correo a coloro che in Italia hanno responsabilità direttive ed operative.
Juan Carlos Gallici
(Univ. Cattolica Rosario, Argentina)
Roma 28 gennaio 2011
Armando Lostaglio, Schermi riflessi, Editrice Ermes 2010,
pp. 68, euro 10,00
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