I frequenti episodi di rivolte nelle periferie delle grandi città, ripropone il tema dell’organizzazione stessa delle metropoli. Ripensare le città, che sono troppo spesso delle gabbie in cui si cova la violenza, sembra un tema non più rinviabile.
Lanci di pietre e incendi di macchine hanno dato il via ai disordini di Husby, periferia a nord di Stoccolma, quartiere a forte popolazione di origine immigrata. Gli scontri hanno offuscato l’immagine di una nazione pacifica ed egualitaria che pareva aver risolto positivamente il problema dell’integrazione.
Ma stando alle cifre prodotte dall’agenzia per l’occupazione svedese, il venti per cento dei giovani di Husby non ha svolto alcuna attività nel 2010, mentre un ragazzo tra i 16 e i 19 anni su cinque è stato senza lavoro e non è andato a scuola, con molti di essi sorpresi sui ponti a tirar sassi alle macchine della polizia o ad incendiare macchine lungo le strade.
Salta il mito della Svezia capace di coniugare il multiculturalismo e il multietnismo, segnale pesante per tempi di per sé già tristi e che danno l’esatta dimensione della difficoltà dei Governi di far fronte a fenomeni che sembrano sfuggire di mano e che sono sempre più difficile da controllare.
Dopo il feroce assassinio del soldato a Londra, ecco l’ennesimo episodio di violenza ed invivibilità in un paese come la Svezia che è stato fino ad ieri un riferimento chiaro per il mondo intero di giustizia e ordine sociale con un alto livello di ricchezza.
L’episodio dimostra come la crisi dell’eurozona stia facendo sentire i suoi effetti drammatici. L’economia scandinava presenta oggi un tasso di disoccupazione del 6%, ma del 16% tra gli immigrati, mentre tra i giovani raggiunge il 25% circa.
Il dato che preoccupa è che esiste integrazione solo quando il territorio ospitante offre lavoro, ricchezza, ogni genere di confort ed assistenza, mentre quando lo stato sociale diventa vittima della crisi e non è più in grado di offrire lavoro e benessere lo stesso diventa terreno dove scaricare tutta la rabbia e le frustrazioni possibili.
La crisi del modello svedese che oggi è in crisi, pur restando il primo paese industrializzato per percentuale di immigrati e il quarto nel mondo industrializzato per presenze straniere, la dice lunga sulla gravità del momento che l’umanità sta attraversando.
Ma le periferie non producono solo storie di violenza.
Ad ogni piè sospinto in questi frangenti mi confortano storie di persone che nate e vissute in quartieri a rischio, da essi sono stati capaci di uscirne proponendosi in svariati campi come esempi da imitare.
Il personaggio che più di tutti mi sollecita è Irvine Welsh, l’autore di Trainspotting, la storia dei ragazzi cocainomani del ventre molle di Edimburgo.
Figlio di un commerciante di tappeti e di una cameriera, cresciuto a Leith, sobborgo portuale di Edimburgo, abbandonata la scuola, assuntore di sostanze stupefacenti, proprio in affidamento ai servizi sociali mette in vita il suo momento salvifico, diventando scrittore di vasto consenso, descrivendo atmosfere, situazioni, luoghi e spaccati di quel mondo dell’infanzia e della giovinezza dal quale era uscito vittorioso.
Il professore Corrado Beguinot, urbanista di fama internazionale, presidente della Fondazione della Rocca, che interagisce con l’ONU sul progetto della Città moderna quale contenitore multietnico e multiculturale, in un recente manifesto dal tema “Per il futuro della Città”, ci ricorda come la città contemporanea sia diventata una gabbia angusta, all’interno della quale si consumano i più atroci delitti e quando l’uomo è in cattività perde la sua natura e diffonde la sua recondita violenza. La concentrazione di disparate funzioni in ambito urbano induce a pensare che la città sia il contenitore ideale per ottenere lavoro, per divertirsi, per confrontarsi, per sviluppare conoscenza e per vivere agiatamente.
Quando tutto questo viene a mancare, quando il sogno svanisce, ecco che i sobborghi, le periferie, le banlieu di ogni paese esplodono come è esplosa ultimamente Stoccolma.
Ed ecco che come per qualsiasi essere in gabbia, la città sia essa Napoli, Parigi, Londra o Stoccola per citare gli ultimi casi, rappresentano il terreno ideale per produrre disperazione, alienazione, sofferenza e, in ultima analisi, morte.
Pare che le Istituzioni non vogliano rendersi conto del grido di allarme e disperazione che proviene dalle “coltri fumose” di talune aree urbane.
La soluzione?
Rompere le sbarre di queste città che sono diventate gabbie, ci suggerisce Corrado Beguinot, questo è il primo dei doveri di chi, con capacità e potere, può agire e dare risposte a livello planetario.
(Nelle foto dall’alto in basso: Gli incidenti nella periferia di Stoccolma, un’immagine del film Trainspotting).
Raffaele Bussi