Napoleone (Imperatore dal 1804 e incoronato Re d’Italia a Milano nel 1805) arrivò a Venezia tra la fine di Novembre e la prima decade di Dicembre del 1807. In occasione del bicentenario della morte dell’Imperatore abbiamo pensato di riproporvi questo articolo pubblicato nel 2017.
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L’amore che i francesi hanno avuto ed hanno per Venezia non è certo un mistero. Ancora oggi la percentuale di visitatori transalpini che arriva in città è considerevole perchè il fascino che continua ad avere non li lascia indifferenti. Nei secoli passati questo affetto, nato inizialmente come una rivalità, doveva stabilire chi tra Parigi e Venezia fosse la più virtuosa e potesse ambire al ruolo di regina nel campo delle arti più eccelse quali la musica, la pittura, l’architettura, dove entrambe eccellevano. Ma per un breve periodo questa rivalità/amore terminò.
A decretare la fine dell’indipendenza della Serenissima nel 1797 fu un francese, che, maldisposto verso la città lagunare, troncò, senza esitazione, la contesa: Napoleone Bonaparte.
Il Corso non amò mai Venezia. Di questa sua disaffezione ce ne parlano in modo chiaro ed esauriente Alvise Zorzi in “Napoleone a Venezia” (Mondadori) e John Julius Norwich nel suo libro “Venezia – Nascita di un mito romantico” (Ed. Il Saggiatore, 2006).
Napoleone (Imperatore dei francesi dal 1804 e incoronato Re d’Italia a Milano nel 1805) arrivò a Venezia tra la fine di Novembre e la prima decade di Dicembre del 1807. Sicuramente il periodo peggiore per essere visitata quando nebbie ed alte maree le tolgono tutto il fascino. Mai prima di questa circostanza Napoleone Bonaparte aveva messo piede a Venezia. Il suo andare in giro per l’Europa era programmato secondo le esigenze della sua politica espansionistica. Venezia non rappresentava che una di queste tappe, messa già nel suo ricco programma, ma non era una priorità. La sera prima di quel 29 Novembre aveva dormito nella splendida Villa Pisani a Strà (che la famiglia Pisani stessa aveva venduto, proprio al Bonaparte, nel gennaio di quell’anno per la considerevole cifra di 1.900.000 lire). Proseguì poi per Fusina all’approdo previsto per Venezia. Qui salì su una delle cinque “peotte”, imbarcazioni tipiche della laguna veneziana, a cui si accodarono un numero superiore di altre barche. Attraversarono tutta la laguna arrivando infine al Monastero di S. Chiara (dove oggi c’è il terminal di P.le Roma). Da qui iniziarono il percorso attraverso il Canal grande. Ma era già quasi sera e poco vide Napoleone degli splendidi palazzi che si affacciavano sul canal. Inutile ogni invito del podestà Daniele Renier a gettare uno sguardo sugli arredi, contornati dalle luci delle fiaccole che le maestranze cittadine avevano allestito per quel passaggio. Napoleone si dimostrò del tutto indifferente.
Può apparire fuori luogo tanta curiosità per Napoleone considerato quanto, negli anni precedenti, avevano fatto i suoi eserciti distruggendo e annettendo tutti i possedimenti che Venezia aveva nel suo entroterra e che arrivavano fino a Bergamo. C’era chi temeva l’arrivo di un nuovo Attila. Un barbaro a Palazzo Ducale »? Giunto al molo di S.Marco ad attenderlo c’era il figliastro di Eugenio di Beauharnais che lo portò alle Procuratorie Nuove, sede del Palazzo Reale. Stanco per quel viaggio Napoleone si ritirò nelle sue stanze. Il giorno seguente tutto si adeguò al suo umore che, già scuro, si fuse su una città già grigia e smarrita.
Lo scopo del viaggio doveva consistere in un’ampia e dettagliata panoramica per prendere una maggiore famigliarità e portare a conclusione i provvedimenti che gli stavano più a cuore. Proprio lì sulla Piazza S.Marco si dovevano accelerare i lavori di demolizione della chiesa di S. Geminiano, dove, solo sei mesi prima, si era celebrato l’ultimo servizio liturgico.
Si operò poi perchè si definisse il progetto di chiusura della piazza. Approvò poi un altro importante provvedimento: la realizzazione di un grande cimitero, ma fuori città. Diede ordine all’architetto Giannantonio Selva (l’unico di cui Napoleone si fidasse) finanziandogli interamente il progetto. Durarono solo due anni i lavori per trasformare l’Isola di S.Michele nel cimitero dei veneziani, a tutt’oggi ancora l’unico. Alla sua agenda mancavano ancora alcune cose: il trasferimento della quadriga di cavalli prelevata dalla balaustra della chiesa di S.Marco su cui era posta da trasferire alle Tuileries, un regalo per i parigini.
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Poi una necessaria visita al Lido per stabilire che tipo di rafforzi avevano bisogno le fortificazioni delle dighe, qui chiamate “murazzi” che da S.Nicolò proseguivano per tutto il litorale fino alla zona detta degli Alberoni. Dette ordine di iniziare subito i lavori. Temeva che la debolezza di Venezia sul Mediterraneo potesse essere un pretesto per un attacco della marina inglese. Furono dragati alcuni importanti canali, quelli utilizzati già in passato e che dovevano continuare ad essere le corsie preferenziali per le imbarcazioni più importanti, soprattutto quelle preposte al combattimento. La visita a Venezia incluse anche altri itinerari più mondani e che dovevano costituire l’acme della sua permanenza. Uno di questi fu lo spettacolo allestito, per lui e la sua corte, alla Fenice. Fu rappresentata un’opera “La giustizia di Giove” composta da Lauro Corniano degli Algarotti di cui, secondo Norwich, non ci sono pervenute altre note e che rimane , a tutt’oggi, un punto oscuro della vita musicale veneziana di quel tempo. L’interno del teatro, dicono le cronache , era illuminato da centinaia di fiaccole, la sala tappezzata dal pavimento fino al soffitto da prezioso raso celeste orlato d’argento.Il palco reale era di velluto verde su cui facevano bella mostra alcune aquile napoleoniche.
Il giorno che seguì (il 2 Dicembre) coincise con il III anniversario dell’incoronazione imperiale di Napoleone e tutta la sua corte, autorità veneziane comprese, vollero celebrarlo come si conveniva. Durante la mattinata si recò poi nella nuova Via Eugenia (che poi si chiamerà Via Garibaldi) per dar corso al nuovo progetto, grande ed ambizioso, di dare a Venezia il suo primo parco pubblico. Ma doveva attivare la prima serie di provvedimenti che consistevano nell’abbattimento di ben quattro edifici religiosi: il rinascimentale S.Niccolò di Castello, col seminario e la casa dei marittimi in pensione, poi la chiesa gotica di S.Antonio Abate con i dipinti del Carpaccio, un convento di suore cappuccine ed infine la chiesa trecentesca e il monastero di S.Domenico. Poi assistette al varo di due corvette la “Fama” e la “Speranza” entrambe destinate alla marineria francese.
Il programma del giorno prevedeva inoltre lo spettacolo delle Forze d’Ercole, gigantesca piramide umana, fatta dagli uomini più forti che lavoravano all’Arsenale, poi l’inaugurazione di un bronzo che lo raffigurava. Nel pomeriggio una regata sul Canal Grande doveva ricordare a Napoleone la grande vivacità che regnava in città, che si concluse con un’immensa fiaccolata sulla piazza che, dicono le cronache, era stata fatta con 4094 fiaccole, mentre i candelabri, posti verosimilmente tra le colonne e le finestre dei palazzi che la delimitavano, sostennero ben 1116 candele. Uno spettacolo che forse mai si era visto a Venezia, che però durò poco a causa di un violento rovescio dicembrino che spense tutti i fuochi.
Alla visita di Napoleone non mancò neppure lo spettacolo dell’alta marea, fenomeno tipico della stagione invernale veneziana. La vide dalle finestre del suo palazzo il giorno dopo, mentre la gente, allora come oggi, camminava con l’acqua fino alle ginocchia. Quanto fece poi Bonaparte rispecchia l’itinerario previsto anche oggi per tutti quei visitatori che non vogliono rinunciare ad un appuntamenti imperdibile: la visita ad una vetreria di Murano. Napoleone vi giunse su di una imbarcazione. Si sa che acquistò alcune splendide coppe smaltate con scene arcadiche e mitologiche da donare alle sue donne.
I restanti giorni l’imperatore li passò a vedere più cose possibili. Gli interessava avere un’idea più allargata della città, così diversa da tutte le altre che aveva visto. Doveva ancora passare all’esame altri progetti tra cui uno molto importante: l’istituzione di un’accademia di belle arti. Individuato il luogo (la chiesa e il convento della Carità che diventerà in seguito la sede attuale dell’Accademia). Passò poi alla visione di altri progetti che prevedevano la trasformazione di alcune aree della città. Precisamente riguardavano l’allestimento di un’area commerciale sulla Riva degli Schiavoni, un’ampia via all’isola della Giudecca che doveva terminare in un giardino pubblico da usarsi anche per le parate militari. Infine la costruzione di un porticciolo nell’isola di S.Giorgio Maggiore tutt’oggi esistente (si trova a fianco della chiesa di S.Giorgio e lo si può vedere dal molo di S.Marco). Volle visitare la chiesa stessa, l’annesso convento con la sala storica dove ci fu la nomina del Cardinale Barnaba Chiaromonti a Papa (Pio VII) che Napoleone aveva “obbligato” ad assistere alla sua incoronazione qualche anno prima (1804) nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi.
Arrivata la sera, stanco per quel continuo girare tra la laguna, fu costretto a ritirarsi nelle sue stanze, rinunciando all’ “Ifigenia” di Racine allestita dalla Comédie Française, giunta apposta da Parigi. Il giorno dopo, domenica, assistette alla messa nella Palladiana Chiesa del Redentore alla Giudecca, più ampia e consona alla sua personalità che non quella dorata e forse troppo moresca di S.Marco. Poi passato il canale, si recò nella magnifica Biblioteca Marciana a cui devolse la considerevole cifra di ventitremila lire per “nuove acquisizioni”.
Non mancarono altri onori e glorie cittadine che gli tributarono i loro ringraziamenti: Ugo Foscolo poeta amato dagli italiani che di Napoleone era grande estimatore e Antonio Canova che il Bonaparte conosceva già per averlo invitato a Parigi cinque anni prima (1802): Canova, a quel tempo, stava lavorando a due importanti sculture, la prima dedicata all’imperatore (che ora abbellisce il vano delle scale di Apsley House a Londra) e l’altra dedicata a Paolina Bonaparte.
Quello che mancava a Napoleone in questa ricca e nient’affatto scontata visita a Venezia, fu la visita a Palazzo Ducale, dove presiedette ad una riunione nella Sala del Maggior Consiglio (si trattò di alcuni provvedimenti tra cui la costruzione di nuovi ponti, dare alla città una maggiore illuminazione , troppo buia alla sera. Ma su tutto ciò ebbe grande effetto l’azzeramento dei gravi debiti contratti dalla Repubblica Serenissima negli ultimi disastrosi anni prima della sua caduta, provvedimento che fece esplodere l’assemblea in un sonoro ed entusiastico applauso.
Il giorno prima di partire sbrigò alcune formalità relative ad incontri con altre realtà della venezianità quali la Municipalità, i rappresentanti degli Arsenalotti e dei gondolieri e, fatto curioso, pure quelli della comunità ebraica che vollero ringraziare l’imperatore per aver fatto rimuovere le barriere e le porte che isolavano il ghetto dal resto della città. Non potè evitare, infine un altro ricevimento previsto alla Fenice dove ad accoglierlo, c’era tutta la nobiltà veneziana desiderosa di esprimere tutta la loro gratitudine all’ospite così illustre. Il giorno dopo, per evitare un eccessivo affollamento al molo di S.Marco , fece intendere di voler partire. Così quella mattina passeggiò per l’ultima volta nella Piazza S.Marco per vedere l’avanzamento dei lavori per quella parte che chiudeva definitivamente la piazza nel suo perimetro attuale e che poi si chiamerà “Ala Napoleonica”. Poi allungò i suoi passi per salire su un’imbarcazione, percorrendo l’intero Canal Grande con la luce che gli offrì quel pomeriggio e che gli permise di vedere lo spettacolo, questo si davvero unico, dei tanti meravigliosi palazzi che si affacciavano sulle sue rive.
Chissà cosa avrà pensato… A Venezia non fece mai più ritorno. Per lui la città era ormai morta, dissanguata anche da amministratori che giudicava tra i più corrotti d’Europa. Nonostante i provvedimenti da lui approvati abbiano dato uno slancio ed un’immagine migliore, a molti la sua venuta fu considerata un’autentica sciagura, e, se paragonati con altri, il peggior saccheggio nella storia veneziana. Fu anche così.
Massimo Rosin, da Venezia
(pubblicato fine novembre 2017)
Buon giorno,
ho letto l’interessantissimo articolo e La ringrazio molto.
Solo vorrei chiedere perché, sia nel titolo che nel testo, Lei dice che Napoleone non amò Venezia benché, oltre a portare via cose, abbia lasciato molte opere degne di nota e ancora oggi apprezzate e utili.
Molte grazie,
Andrea Costa
Milano