Intervista ai « Il Magnetofono » per Altritaliani

Nel nostro mondo, dove la musica si consuma velocissimamente, senza ascoltarla con attenzione (anche perchè spesso inascoltabile), i gruppi come “Il Magnetofono”, band nata a Vincenza, sono molto rari: ottimi musicisti che hanno scelto di costruirla attorno al teatro cabaret ma anche all’arte visiva. Due anni di attività e oltre 180 concerti prima di essere pronti per pubblicare il loro omonimo debut album, un omaggio alla canzone d’autore che si regge sull’incrocio fra voce, contrabbasso e pianoforte. Musica da mangiare, ascoltare, riflettere, vedere, gustare dal vivo, ma non solo.

In un mondo musicale sempre più improntato sul digitale, la vostra proposta musicale molto particolare, ce la vuoi introdurre?

Devo ammettere che il sistema digitale ha permesso di abbattere i costi e quindi di realizzare un quantitativo superiore di progetti musicali. Il problema nasce quando l’artista in studio in post produzione, dopo la registrazione, usa in maniera eccessiva l’editing e tutta la tecnologia che offrono i moderni software. Il risultato è sempre un appiattimento della dinamica e dell’espressione. In certi generi musicali può anche avvantaggiare, ma in un mood come il nostro sarebbe stato dannoso, deleterio. Noi cercavamo (e l’abbiamo ottenuta) una registrazione ‘viva’ modello RCA, Ricordi, sai quelle del magnetofono, del vinile, delle canzoni di Tenco, delle registrazioni da vecchio Studio 1 Rai di Jonny Dorelli o di Nicola Arigliano. Una sorta di Dolce Vita in musica. Il suono di un gruppo musicale è l’ambiente, il suo mondo. Infatti per enfatizzare o arricchire i diversi momenti e pathos musicali non abbiamo usato synth o suoni digitali, ma bensì registrazioni dal vivo di ambienti e rumori concreti con microfoni da cinema oppure ‘preparando’ il pianoforte di Emmanuele posizionando tra le corde viti, feltrini, chiavi e vari oggetti che trovavamo in studio del creativo Diego Piotto.

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Mischiate volentieri Jazz con vari approcci musicali tenendo bene in sottofondo un certo sentire maudit novecentesco. E’ conscio o portato da esperienze più esteriori/estetiche?

In fatti la forma ovvero il sound vira verso seduzioni leggere di mood jazzistico, mambo e beguine – dicono – charleston e ragtime nostalgico. Poi la trama si svincola pure in altre direzioni, come quella di una canzone cabarettistica brechtiana e neoclassicismo weimariano. Tutte definizioni sostenute da giornalisti ed esperti del settore. Noi invece ci riteniamo veri. Avevamo semplicemente delle immagini da trasformare in musica con testi molto evocativi. Il metodo è stato spontaneo con i nostri tre strumenti e la nostra cultura d’ascolto, gli arrangiamenti, di conseguenza, pensati da Marco Penzo ed Emmanuele Gardin per realizzare una composizione a servizio della canzone italiana. Del Made in Italy. Come dire, abbiamo cercato di creare il genere musicale de “Il Magnetofono”.

Avete registrato in presa diretta, è in pratica un live. Perchè questa scelta artistica?

Noi siamo nati per suonare dal vivo ed interagire tra di noi continuamente con i nostri strumenti. L’unica linea guida e salda per i brani è la mia voce, i testi e la linea melodica, per il resto dovevamo catturare l’interpretazione che nel nostro genere è in continuo movimento, cambiamento e continuo mutamento espressivo (forse è quello che ci avvicina al jazz). Siamo convinti che la registrazione dal vivo insieme (almeno di noi tre) sia in grado di salvare il momento, e di conseguenza la reale manifestazione delle cose. Una specie di performance salvata dai microfoni.

Molte delle vostre canzoni hanno grosse impronte teatrali e avete scelto dei lettori che hanno declamato brani sopra la vostra musica come Capovilla del Teatro degli Orrori, Freak Antoni degli Skiantos e Vincenzo Vasi (artista ecclettico che ha contribuito al successo di Vinicio Capossela). E’ uno dei disco più teatrali che abbia mai sentito, riuscirete a portare quest’approccio nei vostri live? Avete qualche sorpresa in mente?

Si! ci riusciamo attraverso il campionamento dei suoni oppure con l’intervento dal vivo degli ospiti. Freak Antoni ci ha accompagnato per cinque date ottenendo grandi soddisfazioni. Noi dal vivo ci comportiamo in maniera diversificata a seconda del posto, siamo un gruppo aperto. Suoniamo in tre, oppure accompagnati da Valerio Galla o Nicola Castellani alla batteria e percussioni, da Thomas Sinigaglia alla fisarmonica. Io, poi dal vivo, non mi limito solo a cantare: svolgo recitativi e micro-scénique (scenette teatrali di stampo contemporaneo). Io dal vivo in un brano simulo un omicidio con una pistola giocattolo colpendo uno del pubblico in prima fila. Ormai è diventato un gioco:”chi ucciderà questa volta?”

Oltre che musica ben suonata, ben evocata, avete scelto di far fare un quadro per ogni canzone ad Osvaldo Casanova, un illustratore. Arte a 360°.

Osvaldo Casanova, in arte Oz, ha realizzato non solo le grafiche e le illustrazioni di tutto il disco ma anche le locandine del tour di promozione. In live cerchiamo sempre di esporre i quadri originali, oppure se la location ce lo permette – lui stesso – dipinge dal vivo durante il concerto creando un happening continuo con noi tre. A volte ci organizziamo con un proiettore, dove ingrandiamo nel fondo la sua mano che disegna i temi o i personaggi delle nostre canzoni. Musica da vedere e da ascoltare.

Due tracks le avete incentrate su questa figura misteriosa del “mago”. Chi è? Cosa rappresenta?

Il Mago lo vediamo sotto due aspetti. Nella Merenda è colui che vuole sempre aver ragione in questa squallida realtà ‘produci-consuma-crepa’, invece nella Dichiarazione – con l’intervento del grande Freak- è l’artista contorsionista, il mago che impara l’arte e la mette da parte, che trasforma le note in splendide mer… ende. Il mago? Lui, più che un personaggio (una tipologia ben precisa) non è necessariamente legato alla politica ma che, se vogliamo, ha cambiato negli ultimi vent’anni il modo di fare (anche) politica (« Il mago non ha cilindro né ha cappello/se gli sei amico, è tuo fratello/ disastri invece a chi gli si opporrà/ per sempre miseria e profonda infelicità »).

In “Giovane Mariù” accostate un amore incompreso alla situazione politica/sociale italiana, è una canzone forte anche se suonata con un accordo di piano e tromba molto dolce. E’ un po’ la vostra riflessione sul presente italiano o è uno sfogo? Quali le differenze con la canzone “La ballata di Nostro Signore”?

Giovane Mariù ha una storia strana. Volevo scrivere un testo sovversivo addolcito dalla ritmica latina e sensuale. Poi insieme abbiamo deciso di realizzare all’interno del brano una parte slegata dal ‘concetto canzone’, come una visione in musica dove la giovane Mariù potesse esprimere al meglio il concetto di Rivoluzione. Prima l’ambiente registrato dalla copertura del palazzo, poi lo sparo della pistola e infine i contributi audio della cronaca giornalistica che riassumono il fatto increscioso ma risolutivo: l’omicio del ministro, l’attentato. Da qui ho voluto chiedere la partecipazione a veri giornalisti, qui la entry del giornalista-produttore Renato Marengo, vero e proprio riferimento della Rai ’70 e della musica alternativa, che dopo aver registrato a Roma il suo intervento non si è limitato a donarmi anche un suggerimento promozionale. Infatti dopo due giorni ero al telefono con il figlio del compositore Bixio, e figlio di Mariù ed -oggi- editore del brano celebre ‘Parlami d’amore Mariù’ che dopo una piccolo confonto conoscitivo mi negò l’utilizzazione di un frame dell’opera originale da inserire prima del brano de “Il Magnetofono”. Marengo concluse così: ”Sai Alan, non è facile mettere in mano a sua mamma una calibro 35!”

“La ballata di nostro Signore” è la preghiera de “Il Magnetofono”. Una innegabile ballata genovese per raccontare il mio incontro con Dio, che dopo un caffè insieme, mi conferma che per cambiare le sorti del mondo ci vuole una rivoluzione, ‘(…) anche Suo figlio l’aveva capito’. Il monologo che ho scritto per il grande Capovilla è semplicemente l’assolo drammatico di una voce contro la realtà di ogni giorno.

La bellissima “Mondo di uomini” è un inno alla donna, da dove è nata?

È tra i primi brani che abbiamo preparato per il nostro iniziale repertorio ‘60s italian jazz’, abbiamo chiamato così il progetto che ci ha permesso di eseguire più di 180 concerti insieme prima della registrazione degli inediti. Io sono molto legato al soul, al funk, al northern soul e dopo l’esperienza di opening dei concerti di James Brown in Italia non potevo omaggiare il grande maestro nel primo nostro cd. Aprire i concerti di un artista del genere vuol dire capire in profondità l’anima soul. La versione italiana di ‘man’s world’ che Luigi Tenco e Sergio Bardotti s’inventarono per Lucio Dalla nel 1966 mi ha convinto dal primo momento che il brano girò nel mio giradischi: un vinile fantastico del grande Lucio Dalla intitolato ‘1999’. Questo brano è in grado di far uscire la nostra energia, il nostro groove. Il pubblico viene catturato ogni volta dal ritornello, dal mood caldo e passionale che ogni volta svisceriamo. Non si può suonare con distacco questo brano, è inevitabile essere rapiti.

Un desiderio per l’immediato futuro?

Il primo nostro sogno è suonare all’estero, ritengo il mio genere musicale molto personale e facilmente riconoscibile. Per noi è il nostro manifesto musicale, per uno straniero può esser visto “Il Magnetofono” come una rappresentazione contemporanea della musica italiana, non pop, non modaiola, ma cantautorale, nobile. Un genere sul quale ragionare e vivere con trasporto la musicalità italiana, come un jazz da cantare. E non lo nego, il secondo desiderio sarebbe suonare per il premio Tenco. Luigi ne sarebbe molto felice ed elettrizzato.

Un’intervista di Pietro Bizzini per Altritaliani.net

Il sito ufficiale di Il Magnetofono: http://www.ilmagnetofono.it/

Facebook: https://www.facebook.com/pages/Il-Magnetofono/168686459901685

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