Focus In n°8: Scuola in pericolo. Francia/Italia, caduta libera istruzione.

Uscito il numero 8 di Focus In (Parigi) dedicato alle riforme della scuola.
In italiano si usa “istruzione” piuttosto che educazione, a significare che l’insegnamento ai giovani è di addestrarli, di “spiegare” loro, di fornigli l’arte e la maniera di assemblare i pezzi di conoscenza che hanno imparato (a mo’ di istruzioni per montare un mobiletto).

A cosa servono queste istruzioni? A saper stare al mondo, a trovare un lavoro, ad essere cittadini responsabili, in patria e nel mondo, ad essere critici, a saper analizzare fenomeni ed informazioni… si potrebbe continuare, pedagoghi di tutto il mondo imbastiscono teorie da secoli.

E’ quello che chiedeva la contestazione studentesca del ’68 che, come ci spiega Gius Gargiulo, voleva più democrazia e più partecipazione alla vita scolastica. Soprattutto chiedevano una scuola per tutti, ricchi e poveri. Le manifestazioni che da un anno a questa parte mobilitano professori e studenti da una parte all’altra delle Alpi, reagendo alle riforme in corso di attuazione sia in Francia che in Italia, non sono molto diverse.

Focus In ha voluto, in questo primo piano dedicato alla scuola e alle riforme, lasciare la parola ai diretti interessati, i professori. E poiché per noi non sono numeri, né pedine insignificanti in un sistema che li considera sempre meno, abbiamo anche voluto renderli visibili, attraverso il fotoreportage di Matteo Pellegrinuzzi. Cosa emerge da questo dossier incrociato?

pastedGraphic.jpgInnanzitutto che i discorsi dei vari ministri sul valore didattico delle riforme non hanno incantato nessuno. Un “ca’ nisciuno è fesso” generale, quello dei collaboratori di questo numero, che ci fa capire che lo scopo principale della riforma è di sopprimere posti, di fare economie sulla formazione degli insegnanti, di non assumere i precari che da anni, da decenni, forse, tiravano a campare all’annata scolastica piuttosto che alla giornata. La didattica è diventata un optional. Un’istruzione-Ikea, con pezzi di conoscenza a buon mercato (il famoso “socle”, il minimo indispensabile), impossibili da assemblare, a causa di istruzioni troppo schematiche.

La domanda che bisognerebbe porsi, dice Jean-Luc Nardone, è piuttosto “a chi serve la scuola?” e non ha dubbi: serve ai rampolli dell’alta borghesia, a quelli che considerano che chi non ha l’orologio di marca d’oro a cinquant’anni è un fallito. Lo ribadiscono Anna Consonni, che parla di una scuola “che non fa neanche più finta di non essere classista” e Livio d’Agostino, che paragona la scuola ad un supermercato dove ultimi e penultimi si trovano in percorsi di serie B e C, come dire?, al discount.

Non serve certo all’insegnamento delle lingue: in italiano, per esempio, i ragazzi si troveranno davanti ad una riduzione delle ore, in classi più numerose e volte persino con insegnanti non formati (cf articolo di Anna Cassini). Non serve neanche al raggiungimento delle famose competenze poiché, come dice a giusto titolo Anna Consonni, per interiorizzare le nozioni e potersene servire dopo la formazione, per la vita professionale e la vita tout court, bisogna avere i mezzi, umani e finanziari.

D’Agostino propone un’altra ipotesi: siamo passati da una scuola che educa i cittadini ad una scuola che “alleva i consumatori”. Forse è proprio questo l’obiettivo: produrre ignari spendaccioni facilmente sedotti dalla banda Pub & Co. Ai miei tempi contestatari si citava la famosa frase di Marx – “la religione […] è l’oppio dei popoli”. Dio Denaro è molto più potente, soprattutto quando non se ne vede l’ombra.

Dossier a cura di Patrizia Molteni, Anna Cassini, Anna Consonni, Livio D’Agostino, Gius Gargiulo, Jean-Luc Nardone. Reportage fotografico: Matteo Pellegrinuzzi

Per saperne di più, vai al sito di Focus In
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