La FIAT dica la verità: Al Paese ora servono risposte chiare ed efficaci. Sabato incontro Monti/Marchionne, mentre la produzione italiana teme un nuovo e più grave colpo alla produttività automobilistica. Un settore in crisi come anche la vicenda Peugeot in Francia dimostra. Intanto, il sindacato prepara: La mossa del cavallo per ribaltare la situazione.
E, alla fine, giunge la buona novella. Il Governo si incontrerà con la dirigenza Fiat sabato 22 e già la Ministra Fornero ci dice che l’intervista dell’ AD Marchionne « È una bella intervista sotto tanti punti di vista ».
Sarebbe interessante conoscere i tanti punti di vista che inducono la Ministra a bearsi delle parole scritte perchè, in effetti, la sola cosa chiara che appare è che la responsabilità della situazione è, ancora una volta, della FIOM. Dice l’AD a proposito degli impegni presi:
« Quell’impegno era basato su cento cose, e la metà non ci sono più, per effetto della crisi. Lo capirebbe chiunque. Io allora puntavo su un mercato che reggeva, ed è crollato, su una riforma del mercato del lavoro, e ho più di 70 cause aperte dalla Fiom. Soprattutto, da allora ad oggi il mercato europeo ha perso due milioni di macchine. C’erano e non ci sono più. Tutto è cambiato, insomma. E io non sono capace di far finta di niente, magari per un quieto vivere che non mi interessa. Anche perché puoi nasconderli, ma i nodi prima o poi vengono al pettine. Ecco, siamo in quel momento. Io indico i nodi: parliamone ».
Per fortuna anche nel Partito Democratico si era accesa la lampadina rossa al punto da portarlo a sollecitare l’intervento del Governo attraverso una interrogazione parlamentare. E, in questo caso, a differenza dell’entusiasmo della Ministra, il giudizio sulle parole spese dalla Fiat è assai meno ottimista.
« Marchionne nella sua intervista a Repubblica dichiara che la Fiat potrà restare in Italia grazie ai profitti realizzati in altri Paesi, ma non ci dice perché gli stabilimenti italiani abbiano perso centralità nel progetto Fiat. Sicché tutte le domande sulla valenza di ‘Fabbrica Italia’ restano senza risposta », afferma la senatrice del Pd, Annamaria Carloni, prima firmataria dell’interrogazione. « Bisogna fare presto – conclude Carloni – per scongiurare che la tensione tra i lavoratori arrivi a livelli incontrollabili ».
In questi giorni molti, un po’ meno il Governo, si erano stupiti, con evidente imbarazzo, dell’annuncio sostanziale da parte di Fiat della fine del piano Fabbrica Italia, fine peraltro più volte annunciata dalla stessa Fiat nell’ultimo anno. Chiunque abbia seguito il succedersi degli avvenimenti in casa Fiat era cosciente che dei 20 miliardi di investimenti annunciati, poco più di un miliardo risulta attivato sull’automobile e lo stesso leader del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva accusato il governo di essere stato troppo cauto nell’affrontare la questione: « l’esecutivo avrebbe dovuto incalzare Marchionne, anche perché era evidente che il progetto Fabbrica Italia non è mai esistito. Invece non l’hanno fatto ».
La Fiat, in effetti, non ha mai condiviso il suo piano industriale né con il Governo (che si è ben guardato di chiederlo), né con quei sindacati che hanno firmato le intese separate. La Fiat, in sostanza, ha voluto le mani libere sia nel predisporre le soluzioni sia nel non renderle operative scaricando, in questo caso, la responsabilità dei mancati obiettivi sulla crisi (non prevedibile al momento della eleborazione del piano dagli strateghi della Fiat??) e sulla Fiom che avrebbe, a suo dire, ostacolato il percorso delineato con un sussegueirsi di denuncie per violazione di elementari diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per questa ragione è urgente che la Fiat dica la verità sullo stato degli investimenti sui modelli, sulla saturazione degli impianti e sull’occupazione in Italia. Serve che il Governo sia più cauto nell’esprimere giudizi basati sul nulla, non chieda semplicemente chiarimenti su un piano che, per stessa ammissione dell’azienda, non c’è più. Serve invece che il governa dica con chiarezza se considera la difesa e lo sviluppo dell’impresa automobilistica in Italia strategico per il nostro paese.
Significativa, al riguardo, è la risposta della Segretaria Generale della CGIL in una intervista all’Unità proprio su questo problema.
Il governo che cosa dovrebbe chiedere a Marchionne? – chiede il giornalista
e la risposta non lascia spazio ad equivoci:
«Se, come tutto fa pensare, FIAT è orientata a ridimensionare la produzione, deve interrogarsi su come attirare un altro produttore. L’Italia ha sempre dato per scontato che le auto le produce la FIAT o nessuno. Invece, è da affermare il concetto che la produzione dei mezzi di trasporto nel Paese non può essere il risultato delle scelte di una singola azienda. Se i piani di FIAT sono cambiati, ci si deve attrezzare per attirare un altro produttore. E, comunque, non ci vengano a dire che Fabbrica Italia svanisce per colpa della crisi, perché quel piano è stato annunciato nel 2010, a crisi scoppiata e consolidata. La situazione si è aggravata, certo, ma nel calo complessivo del mercato è soprattutto FIAT a perdere quote».
Ora l’incontro è stato fissato. Ovviamente incontro a 2: Governo e Fiat o, malevolmente, Fiat e Governo. Ciò non toglie che spetta al Governo decidere se tutto questo è sufficiente o se inceve, come sollacitato dalla CGIL attraverso il suo Segretario generale, non sia necessario arrivare ad un’appuntamento vero con la presenza delle parti sociali dove non si va solo per ascoltare ma, con grande responsabilità, anche per mettere sul piatto tutte le questioni.
Dice bene Susanna Camusso: « Di sicuro, la modalità per cui Marchionne arriva, lo si lascia parlare senza porre domande precise e alla fine si esce dall’incontro sostenendo sia stato rassicurante, non funziona, non ci ha portati da nessuna parte ».
Un segnale che la strada imboccata dalla Fiat e dal suo Amministratore Delegato non è adeguata alle necessità arriva perfino da Cesare Romiti (già AD della FIAT), persona che, per i suoi trascorsi, non può certo essere anniverata tra i facinorosi dirigenti della FIOM e della CGIL.
« In realtà – segnala la Segretaria della CGIL – i suoi elementi di critica nei confronti degli attuali vertici erano già noti. Rilevo che per la prima volta in un Paese che aveva beatificato Marchionne si riconosce che il sindacato che l’aveva contrastato non era poi così fuori strada. Ma non provo soddisfazione, piuttosto una grande preoccupazione, cui credo che il sindacato debba rispondere con unità »
Per questa ragione non ci sono scorcatoie per nessuno e bisogna che tutti tornino a fare il loro mestiere, compresi i sindacati partendo, per i sindacati, dal presupposto che è necessario lottare per difendere i posti di lavoro e che il parallelo tra messa a disposizione di diritti fondamentali (che nulla centrano con la proclamata esigenza di « flessibilità »), e garanzie occupazionali e salariali si ha dimostrato tutta la sua naturale debolezza. Lo sanno bene proprio i lavoratori di Pomigliano dove è arrivato l’unico nuovo prodotto e dove più della metà della precedente forza lavoro non è stato riassunta.
L’Italia è attraversata da una crisi pesante del suo sistema industriale basti pensare all’ Ilva, Alcoa, Vinyls, per citare solo le più grandi ma sembra difficile trovare convergenze reali tra sindacati e imprese (imprese, ovviamente, non semplicemente stutture speculative) per interloquire con un Governo che non sembra in grado di giocare un ruolo adeguato.
« Si potrebbero fare documenti e richieste comuni – segnala nell’intervista all’ Unità Susanna Camusso -. Si può fare un accordo con Confindustria per l’applicazione dell’intesa del 28 giugno, e perché questa venga estesa anche alle altre associazioni d’impresa. Si può dare soluzione al tema della rappresentanza, avviare un percorso per rinnovare i contratti nazionali, in gran parte ancora aperti. Credo – continua – che insieme alle imprese si debba chiedere al governo di dare risposte fiscali, in modo che lavoratori e pensionati abbiano qualche soldo in più, e non si creino ulteriori diseguaglianze. Sarebbe anche utile indicare al governo alcuni temi di indirizzo, dal piano energetico a quello dell’innovazione e della ricerca, che andrebbero definiti una volta per tutte. Certo, se qualcuno si aspetta di trovarci d’accordo nell’abolire gli aumenti contrattuali, o qualche giorno di ferie e festività, è ovvio che sbaglia del tutto strada. Se invece si pensa di mettere in campo un ragionamento serio su come si possano ottenere maggiori produttività ed efficienza, allora le risposte sono già nell’accordo del 28 giugno. Bisogna continuare a lavorare ».
Torna di moda disquisire sul concetto per niente astratto di « produttività ». E tutto sembra ridursi a volere rimettere ulteriormente in discussione l’organizzazione del lavoro. Al netto della crisi, che ha inciso e parecchio, la ragione del nostro graduale calo di produttività degli ultimi 20 anni è una questione di infrastrutture e di mancati investimenti nel sistema Paese.
Questo è il punto di partenza, altrimenti si ragiona solo in termini di riduzione del costo del lavoro, il che non fa crescere affatto la produttività come peraltro ampiamente documentato. Così come i tanti autorevoli proclami per superare la precarietà del lavoro, devono trovare soluzioni concrete sia per rispondere alla domanda di milioni di giovani sia per superare gli effetti depressivi sulla stessa produttività.
Ma è chiaro che a un sistema che non ha investito per 20 anni non si può certo dire fate vobis, piuttosto occorre intervenire con incentivi e sostegni. Anche perché nessuno calcola mai i costi che pagherebbe il Paese se non avesse più produzioni di base. Il problema è l’assenza di investimenti, di politiche industriali, l’incapacità di decidere.
I temi, dal versante sindacale, sono già sul tavolo: detassare le tredicesime, definire i finanziamenti per la cassa integrazione in deroga, specificare e chiarire il piano energetico. E decidere di non liquidare pezzi importanti dell’apparato produttivo industriale e assistere passivamente all’insolvenza dello Stato stesso nei confronti di tante imprese.
Usando una metafora di Camilleri, per il sindacato è il tempo della « mossa del cavallo ». Nella partita a scacchi, si sa, la “mossa del cavallo” consiste nella controffensiva a sorpresa per sfondare la zona dell’avversario, scavalcando e spiazzandolo. Per giocare bene la partita serve una strategia comune ed è questo l’impegno più urgente da realizzare.
(Nelle foto dall’alto in basso dopo il marchio Fabbrica Italia: Sergio Marchionne, il ministro Elsa Fornero con Monti, Susanna Camusso e il marchio Fiat).
Italo Stellon – Presidente INCA-CGIL, Parigi.
Fiat: Fabbrica Italia e la mossa del cavallo.
Ovviamente non scrivo per rispondere al mio articolo ma per completarlo suggerendo la lettura di una intervista di questi giorni a Susanna Camusso, Segretaria Generale della CGIL. Il tema è la Fiat e il giudizio su quanto sta accadendo. Ma anche sl Governo e sulla difficoltà di uscita dalla crisi.
http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=19813