2. Elogio della ideologia

L’omologazione e la globalizzazione nel nuovo millennio. Riscoprire il pensiero dei “Nuovi filosofi”. Appunti per ricostruire una nuova ideologia democratica. Mai il lavoro rende liberi?
Possibile una futura lotta per la sapienza tecnologica contro le nuove forme di dittatura.


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Uno dei sintomi della crisi della democrazia è che molti associano l’ideologia a qualcosa di estremamente negativo. E’ bene precisare che avere un’ideologia non è un peccato mortale.
Un’ideologia non è un bestemmia. Avere un’ideologia è dare un orientamento di principi e valori per orientare la politica verso un determinato modello di società. Sono le ideologie cattoliche, comuniste, liberali, repubblicane, monarchiche che hanno garantito il pluralismo e la democrazia nella giovane nazione italiana dopo il regime fascista. La stessa Costituzione nasce dal confronto e a volte dallo scontro tra quelle diverse ideologie.
Temo che un altro sintomo della crisi della democrazia sia la perdita di memoria storica.

L’ideologia è il sistema d’idee e di principi che sta alla base di un partito, di un movimento politico o religioso e che si traduce in un progetto politico atto ad un modello di società a cui ci s’ispira.
Naturalmente è anche compito dei partiti, dei pensatori, degli intellettuali (anche questa non è una bestemmia), di aggiornare il proprio pensiero attraverso l’interpretazione della realtà.
Purtroppo la sinistra, dopo Marx Engels e i suoi discepoli, che non potevano immaginare e prevedere il diffondersi di quel tipo di tecnologie, e il conseguente evolversi di fenomeni quali l’omologazione, la globalizzazione, ecc., non ha saputo rinnovare profondamente il proprio pensiero. Non ha saputo per tempo capire che quel pensiero era ormai superato dalla realtà e che da quel pensiero marxista bisognava prendere le distanze.
Non ha letto o ha sottovalutato l’analisi della realtà che da diversi osservatori compivano, cogliendo le novità economiche, scientifiche e quindi sociali, gli allora nuovi pensatori, economisti, sociologi e filosofi, quali:Alain Touraine, Radovan Richta, Friedrich Pollock, Georges Friedmann, Sam Lilley ed altri ed eventuali, che da diversi osservatori proponevano un’interpretazione nuova della società, molto più realista e concreta.
Insomma, la sinistra e non solo, ma anche il mondo laico, liberale e finanche quello cattolico, mentre si domandavano quali strategie per la vittoria del proletariato, oppure per giungere ad un nuovo capitalismo che giovi al benessere della società, non si rendevano conto, o forse non fino in fondo, che la classe operai era finita, che il Capitalismo nell’accezione ottocentesca era tramontato, che i vecchi modelli sociali erano ormai superati dalla realtà.

Quando la politica non interpreta più la realtà, la democrazia è in crisi e si aprono le porte a dittature vecchie e nuove.

Certo, mentre andava avanti il processo di automatizzazione della produzione industriale, e l’industria si riconvertiva in forme più moderne ed agili liberando lavoro, qualcuno, timidamente, poneva il problema della gestione e rivalutazione, ad esempio, del tempo di non lavoro.
Di fronte al diffondersi crescente di nuovi strumenti di comunicazione, qualcuno avvertiva che questi mezzi di apprendimento, conoscenza ed interrelazione avrebbero avuto in pochi anni uno sviluppo che avrebbe coinvolto l’umanità intera. C’era chi sosteneva che la vera battaglia era il controllo delle fonti energetiche e di sviluppo, altri sostenevano che la vera battaglia di liberazione era sul controllo e la formazione degli strumenti di conoscenza.
Queste voci furono perlopiù isolate, liquidate con superficialità.
La politica, spento il fuoco ideologico che aveva illuminato il novecento, si era ridotta e lo è ancora alle sue piccole congiunture interne di basso livello, cedendo ai particolarismi, in una disperata, quanto inutile difesa dell’esistente.

I particolarismi sono i generatori di quei disvalori antisociali che caratterizzano il nostro tempo.

“La possibilità di sostituire l’antica divisione del lavoro con un’organizzazione cosciente di cooperazione umana, in cui il lavoratore non è più escluso dalle attività direttive, d’applicazione della scienza e la funzione generale e primaria, sparisce il solco tra forze intellettuali di produzione e manodopera, tra attività fisiche e mentali e, infine, ciascuno e tutti possono affermarsi attraverso una capacità creativa quale che sia la forma che essa assume”. Radovan Richta 1968.
Ed ancora: “Man mano che l’automazione progredirà noi potremo andare avanti verso un mondo in cui sia abolito ogni lavoro servile, ogni lavoro ripetitivo, ogni lavoro che richieda soltanto abilità manuale; verso un mondo in cui tutti avranno un lavoro che consentirà loro di usare pienamente le loro capacità manuali ed intellettuali”. Sam Lilley 1957.
“L’automazione capovolge un’altra tendenza di lungo periodo; quella verso l’aumento delle dimensioni della fabbrica, modificando così l’intera struttura organizzativa. Ogni riduzione nel numero dei dipendenti nelle operazioni di fabbrica è dovuta in parte all’automazione e in parte alla consapevolezza politica di decentramento dell’azienda”.
Robert Blauner 1964.

Tutto questo sarà.

Negli anni settanta la crisi energetica e lo sviluppo tecnologico dell’automatismo nei processi di produzione determinano quel fenomeno della riconversione industriale, rispetto al quale ancora una volta la politica e i sindacati si dimostrarono impreparati. Vieppiù. Gli studiosi menzionati, solo alcuni tra i tanti, ancora non conoscevano le potenzialità dei computer. Ed infine l’automazione non ha riguardato solo l’industria ma anche l’agricoltura, i servizi pubblici di qualsiasi genere.
E’ evidente che il mondo del futuro deve fare i conti con società sempre più informatizzate, computerizzate, robotizzate, dove il lavoro, base di qualunque società, fino al novecento, avrà un ruolo sempre più marginale e creativo.

Arrivo ad immaginare che un giorno non esisterà più la necessità di lavorare.

Ecco perché sembrerebbe che una democrazia futura, per essere tale deve garantire una diffusa conoscenza della sapienza scientifica e tecnologica. Si potrebbe dire che dal controllo dei mezzi di produzione di marxiana memoria si debba passare al controllo degli strumenti d’informazione e della sapienza tecnologica.
Questo dominio esclusivo sui mezzi d’informazione e formazione delle coscienze induce a forme di neodittature, che lungi da usare metodi dichiaratamente violenti (olio di ricino e manganelli), può manipolare le convinzioni delle persone inducendole a credere a cose anche non vere, in un’opera di manipolazione e asservimento del tutto, apparentemente, incruenta.
In tal senso mi sembra che l’Italia sia tristemente all’avanguardia e tristemente faccia scuola.

In Italia, ad esempio il Partito Democratico, il quale non risolve le sue questioni ideologiche (in realtà non ha una ideologia ma al più un insieme confuso e a volte contraddittorio di principi), si ostina in operazioni d’immagine più che di sostanza cosa che del resto fa anche l’avversario di destra, contribuendo così al male della democrazia italiana. La politica italiana produce una immagine enorme, splendente, esteticamente (sembra di rivedere il vecchio film Cabiria), accattivante, dietro la quale, tuttavia, vi è il nulla o quasi.
In realtà resistono solo gli interessi e i privilegi di pochissimi (la casta appunto n.d.r.).
Di fatto, e lo si registra ogni giorno di più, le masse sono in pieno disorientamento.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.