Di Natale Fioretto: L’emotività del verbo.

La lingua italiana è sempre più una lingua da interpretare sul piano della comunicazione. L’analisi della lingua ci offre oggi interpretazioni e significati altri, più ampi di quelli che comunemente sono intesi nelle regole strette dell’italiano standard. In questo breve articolo di Natale Fioretto, docente di linguistica italiana dell’Università per Stranieri di Perugia, ecco come agisce il verbo nella sua emotività a quelle che sono le regole comportamentali della comune psicologia di noi tutti.


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Quando seguiamo un pensiero e cerchiamo di tradurlo in un messaggio ordinato e coerente, non sempre siamo attenti alle immense possibilità plastiche che ci offre la lingua come sistema di corrispondenze e opposizioni. Volendo sorvolare, intenzionalmente, sulla ricchezza di un lessico attento, vorrei soffermarmi sulla, definiamola così, emotività dei verbi. Il verbo, oltre ad assolvere il compito di conferire dinamicità all’enunciato, in italiano si fa carico di marche di significato estremamente importanti.

Talvolta ce ne accorgiamo, se lasciamo risuonare qualche frase letta o detta. Un passato remoto, tanto per fare un esempio, etichettato come tempo della lontananza, non viene considerato come aspetto della partecipazione. Dai tempi della scuola siamo stati abituati a identificare modi e tempi verbali, senza prenderne in considerazione l’aspettualità. Siamo, per così dire, attenti al tempo in cui l’azione descritta dal verbo accade, alla sua eventualità, alla realtà che esprime, ma non a quanto di noi trasmettiamo. L’aspetto, detto in modo molto semplice, è l’atteggiamento con cui il parlante compie linguisticamente un’azione. Ora, nella frase

Un mese fa incontrai Maria

si mette in rilievo che l’azione è “remota” cioè che non ha relazioni evidenti con il momento presente, ma non dobbiamo dimenticare che il parlante scegliendo il passato remoto mette in evidenza che egli sente distante l’azione. Sarebbe come dire:

Maria è talmente antipatica che non mi va ricordare un incontro sgradevole.

Il locutore, dunque, si pone in una prospettiva che non è più solo temporale.

Un altro esempio, volutamente estremo, può servire per mettere in evidenza l’atteggiamento del parlante. Se io dovessi mostrare a dei miei ospiti la biblioteca di casa mia – tale biblioteca esiste, ma non ha nulla a che vedere con l’ordine e l’organizzazione di una vera biblioteca – potrei dire:

Questa sarebbe la mia biblioteca.

Perché il modo condizionale? Alle tante sfumature modali – la virtualità, la probabilità, il dubbio soprattutto con i verbi volere, dovere, potere, il desiderio –, potremmo aggiungere un valore aspettuale molto intenso. Nel presentare la mia biblioteca, mi dispongo mentalmente in una posizione di subalternità nei confronti degli ospiti che vengono lasciati liberi di decidere sulla bontà o meno della mia biblioteca, dal momento che intenzionalmente, l’ego comunicante si ritrae per lasciare spazio all’interlocutore. Ecco perché, generalmente, il condizionale viene sentito gentile: il soggetto si ritrae dando maggiore peso alla volontà dell’altro.

Un vero esercizio di umiltà!

Natale Fioretto

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Natale Fioretto
Natale Fioretto, laureato in Lingue e letterature straniere moderne (russo e portoghese), è docente di lingua italiana e traduzione dal russo presso l'Università per Stranieri di Perugia. Si occupa da anni di metodologia dell'insegnamento della lingua italiana come L2. È appassionato di Valdo di Lione e di Francesco d'Assisi.