Il sogno degli europeisti (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi) è ancora attuale,
malgrado gli “euroscettici”, la strada è segnata. Come si prepara la politica a questo importante appuntamento. I vizi delle politiche nazionali ancora oggi incapaci di guardare fuori dal proprio cortile. L’Europa termometro della crisi della democrazie, dell’ideologie e in generale della politica. Esemplare in Italia dove l’attenzione generale, tra Europee, referendum sul sistema elettorale ed elezioni amministrative, sia per quest’ultima.
Ci vogliono, a volte, dei sognatori per muovere la Storia.
Senz’altro furono dei sognatori alcuni dei padri fondatori dell’Europa, intesa come entità politica e non meramente geografica, Tra di essi si possano annoverare due italiani; Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Basti pensare che concepirono una Europa democratica, in pace ed unita (sia pure in forma federale), in piena seconda guerra mondiale, stando in carcere sull’isola di Ventotene quali attivisti partigiani nella lotta antifascista. Quello che burrascosamente riuscì ad “evadere” da quel carcere nel 1941 (nel mezzo di una guerra di cui ancora non si prospettava la fine e dagli incerti esiti), fu il cosiddetto “Manifesto di Ventotene”. Che da allora divenne, anche nel dopoguerra, la linea ideologica e progettuale su cui si andò, con difficoltà e fatica, a costruire il progetto europeo.
Un’Europa degli europei. Un’Europa che ambiva a riunire nella forma federale le diversità europee, sintetizzandole in un comune modello di civiltà, in cui, senza volersi approfondire oltre, ma anche per solo percezione, ci si sarebbero sentiti accomunati tutti i cittadini del nostro caro vecchio continente.
Scopo di questa forma federale era anche quella di coinvolgere più e meglio i cittadini, volendo superare quelle forme egemoniche di alleanze che di solito sono solo frutto di governi e di governanti e che non hanno sostanziali ricadute sul piano partecipativo e delle idee nelle comunità che essi rappresentano. Ecco perché Spinelli negli ultimi anni della sua vita s’impegnò anche per il superamento di quelle prime e centralizzate forme di Europa, quali la CEE, il MEC, per venire ad una visione più ampia e complessiva che tenesse presente il quadro storico europeo che per secoli era stato teatro di divisioni e di guerre, giungendo ad una nuova visione dell’Europa che accomunasse le genti nella sensibilità politica, culturale e direi finanche artistica. Un modello di civiltà e di società democratica che avesse la sua autorevolezza internazionale, che costituisse un autonomo e forte interlocutore sullo scenario mondiale. Nel primo parlamento europeo, Spinelli sederà a coronamento di quel sogno fatto nelle buie carceri di Ventotene.
Ora dal 4 al 7 Giugno l’Europa dovrà rinnovare il suo parlamento.
Dopo il “crack costituzionale” avvenuto in alcune nazioni tra cui la Francia e l’Olanda. Ci si domanda quanto interesse susciterà questa elezione in Europa. Quanto in Francia (dove ancora stanno attendendo l’idraulico polacco), quando in Irlanda che dopo aver beneficiato dell’Europa per la sua vertiginosa ascesa economica, a voltato le spalle alla stessa con il suo “no” nel referendum per l’approvazione della Costituzione.
E la Polonia dei “niet”, chiusa nelle sue logiche nazionali e assolutamente sordo a qualsivoglia politica di maggiore respiro. Quanto interesse dimostrerà in Inghilterra che ancora rifiuta l’euro con la semplice ed egoistica affermazione che la sterlina va bene.
Semplicisticamente i cosiddetti “euroscettici” sostengono che l’Europa non esiste, che non è rappresentativa dei desideri e delle aspirazioni degli europei, che l’Europa costituisce un pericolo per le libertà e gli interessi nazionali.
E’ indubbio che l’Europa è stato fino ad oggi più la somma di interessi dei governi di ciascun paese che la sintesi di un progetto-nazione comune a tutti. Tuttavia si è di fronte ad un lavoro che richiederà anni e sacrifici per uscire da un uso delle politiche continentali che sia non solo mirante agli egoistici e particolari interessi nazionali. Interessi su cui si basano i cosiddetti “euroscettici”
A proposito dei quali va sottolineato il paradosso per cui oggi spesso sono i più impegnati in campagna elettorale.
Come in Francia ad esempio, dove gli “euroscettici” di ieri, sono oggi i più impegnati. Preda del bisogno di dimostrare nei propri paesi di esistere e contare ancora. In Francia Marine Le Pen si sta impegnando alla grande, come sull’altro versante “l’enfant prodige” Besancenot con il suo Partito Anticapitalista (esiste anche questo nel nuovo millennio!) spiegando l’importanza di un successo della estrema sinistra.
In Italia i comunisti (i pochi rimasti) si sono divisi in due formazioni.
Una parte è comprensiva di una parte di ex di Rifondazione Comunista e del Partito Comunista d’Italia, l’altra che comprende altri ex rifondazione, verdi ed ex socialisti. Per esistere devono raccogliere almeno il 4% dei voti.
La realtà è che a tutti loro delle sorti dell’Europa interessa poco, interessa molto di più garantirsi finanziamenti per le proprie formazioni politiche e di riottenere visibilità nei propri contesti nazionali per poi riportare l’assalto al palazzo del “potere” di ciascun Paese.
Naturalmente le motivazioni sono varie. In Francia Besancenot gode di un periodo di grande popolarità e quindi questa tornata elettorale gli è utile come volano per ulteriormente capitalizzare sulla crisi di un elettorato francese di sinistra che appare stufa di un partito socialista incapace di rinnovarsi, e di proporre un effettivo cambiamento della società. I nostri comunisti, verdi, in pratica la cosiddetta “sinistra antagonista o radicale” che è ormai in estinzione potrebbe avvantaggiarsi del fatto che l’elezioni europee determinano nell’elettorato scarsa tensione politica e partecipazione, ciò potrebbe allentare le tendenze bipolari (leggi PDL e PD) nel paese e, pertanto, potrebbero anche intercettare un certo voto di protesta (non contro l’Europa, ma contro il governo italiano).
Tutto questo dimostra, ma lo dimostrerà anche il resto di questa breve ed incompleta analisi, che il vero punto è che non si sbagliarono Spinelli, Rossi e tutti gli altri padri fondativi dell’Europa, ma più semplicemente che la rappresentanza politica al governo come all’opposizione(salvo alcune lodevoli eccezioni come, ad esempio, Angela Merkel), non è oggi all’altezza di questo storico progetto. Non solo per l’incapacità e la miopia della maggioranza dell’attuale classe politica, ma anche perché questa classe politica sembra per un verso ancora ferma alla “preistoria” dibattendosi su antiquati modelli sociali di capitalismo o anche affermando ideali comunisti, che sono stati consunti dalla storia prima ancora che dalla ragione. E’ sintomatico che in Europea, in assenza di riformatori credibili e dalle idee chiare, tutti invochino Sant’Obama.
– Questo avviene in parte per una crisi di vocazione alla politica (l’immagine della politica è talmente depauperata di ogni valore, e sono stati tali gli esempi negativi, che la diffidenza dei cittadini appare l’unica vera pandemia in circolazione in Italia). D’altra parte è proprio la crisi della democrazia che induce a non impegnarsi più di tanto in politica se non per motivazioni personali e spesso tutt’altro che nobili ed altruisti.
In assenza d’ideologie assistiamo, in Italia, ad una politica fatta di “populismi” che con poche semplicistiche ricette infiammano, sia pure effimeramente la passione politica, come dimostra il rozzo populismo della Lega che tuttavia ha, se non altro, il merito di avere dei militanti o comunque dei cittadini che attivamente vivono e diffondono le “controverse” idee e proposte del Boss(i) & c..
Il PdL di Berlusconi è capace di convincere una larghissima quantità di popolazione, con una politica spesso di soli annunci, e con interventi a volte indovinati (come in Abruzzo dove l’emergenza appare ben affrontata, per citare un esempio). Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori ha fatto dell’antiberlusconismo e del giustizialismo la bandiera che appassiona tutti i “contro”.
Non esiste un dibattito sulla realtà italiana, non si vede una proposta di società del futuro ed è esemplare il fatto che anche in questa occasione elettorale, l’Europa appare come l’argomento meno appassionante.
Quello che avviene tra il 6 – 7, il 14 e il 21 giugno mette in tutta la sua evidenza la crisi della politica e delle idee.
Un paese chiuso nei suoi particolarismi, incapace di costruire una società ben organizzata e regolata, dove l’interesse della collettività deve prevalere sugli interessi delle caste politiche e professionali contrapposte.
La sensazione è che ci sia molto più interesse verso le amministrative del 14 giugno con possibili ballottaggi al 21. In una democrazia moderna, in un paese che fino a ieri era additato come il primo tra gli “europeisti convinti”, ciò dovrebbe suonare mortificante. Ma la realtà è che l’Europa, ai campani, ai lombardi, alle remote province in cui si vota appare lontana. Molto meglio occuparsi delle piccole cose di casa propria e magari ottenere qualche vantaggio, qualche “affare” dal politico locale, dal futuro sindaco.
Vide bene Indro Montanelli che dichiarò di preoccuparsi più degli italiani che di Berlusconi. Effettivamente, per troppo tempo i democratici e la sinistra si sono impegnati in un’astiosa lotta contro il leader di Arcore, dimenticando che Berlusconi non è la causa ma il sintomo. Quando si attacca Berlusconi non si capisce che il male è più profondo. Chi critica velenosamente Berlusconi fa come quei tanti che rifiutano di guardarsi allo specchio temendo di scoprirsi brutti.
La realtà è che Berlusconi è lo specchio di questo Paese ed è per questa ragione che raccoglie tantissimi consensi. Questa Italia si riconosce in lui.
Sono convinto che Berlusconi non voglia fare il dittatore credo come lo credeva Montanelli che gli italiani lo stiano investendo di questo ruolo.
Per votare il “si” al sacrosanto referendum sul sistema elettorale
che, almeno parzialmente correggerebbe in senso democratico la famosa “porcata” di Calderoni (già ministro leghista), si sia aperta una quasi crisi di governo nonché una stucchevole e costosa querelle sulla data, al fine di non far raggiungere il quorum, facendolo fallire, la dice lunga.
Il referendum si terrà il 21 giugno (dulcis in fundo).
Sui temi referendari si rimanda alla scheda presente nel sito, ma è certo che un contributo ad aprire spiragli di democrazia questo referendum (con i suoi vistosi limiti n.d.r.) l’offre.
La realtà è che si teme la scarsa partecipazione al voto referendario, specie dopo due turni elettorali così ravvicinati, e i partiti piccoli (sinistra radicale, UDC, ed altri) o i partiti che hanno influenza sul governo (vedasi la Lega) hanno tutto l’interesse al fallimento del referendum. Ma bisogna riflettere anche sul fatto che si devono cercare espedienti per avere la partecipazione popolare al voto referendario. Ad esempio “legandolo” ad elezioni più “appetibili” per convincere i riottosi cittadini ad esercitare il loro diritto/dovere democratico.
Questo fa ben capire come l’Italia sia oggi una democrazia immatura, debole, dove i cittadini non si sentono investiti dal dovere civico di dire la propria, nemmeno su un tema fondamentale quale è la modalità di scelta della futura classe politica che dovrà amministrarci.
E’ preoccupante che tutti i giornali si siano occupati nelle prime pagine non dei temi del confronto politico per la futura Europea, ma della selezione dei candidati all’europee, degna di Miss Italia, organizzata da Berlusconi & C. con la famosa scuola di formazione politica per ex o prossime “veline”, addirittura affidata all’economista e ministro Renato Brunetta.
Ci associamo all’indignazione che questo avvenimento suscita e che è stata trasversale passando dalla moglie del premier (anche se ora invece che d’Europa parleremo del divorzio miliardario del secolo tra la Lario e il premier, altra inutile facezia), alla fondazione di Fini “Fare Futuro” fino alle più remote lande dell’estrema sinistra, ma è grave che siano questi gli argomenti sull’europee, a un mese dal voto.
Questo è un’ulteriore sintomo del malessere della nostra democrazia.
La realtà è che in Italia prima ancora di fare gli europei bisogna ancora fare gli italiani e che il controverso percorso risorgimentale non è ancora a compimento.
Nell’Italia d’oggi sembrerebbe (ma non è così) che questa politica spettacolo fatto di pantomime e boutade interessi più di temi su cui si potrebbero aprire sterminati confronti con proposte innovative, chiare e magari coraggiose. L’ambiente, la crisi economica, la politica che potrebbe finalmente riprendersi la “rivincita” sull’economia, il confronto con i nuovi colossi India e Cina, una politica comune per la ricerca scientifica, una politica per costituire una difesa comune dell’Europa, nulla. Di questo non se ne parla.
Questo è quanto offre oggi l’Italia all’Europa di Spinelli?
Ed è solo meno grave che in Francia i candidati del partito di Sarkozy hanno, ad esempio, accettato bestemmiando di candidarsi, obbedendo solo all’infuriato ordine del capo.
Il tragico è che l’Europee rischiano di diventare una sorta di elezione di mezzo termine dei vari Stati e quindi risultano facili le previsioni.
In Inghilterra con Gordon Brown è facile attendersi una vittoria dei conservatori che sono in crescita ormai da tempo. In Spagna potrebbe confermarsi Zapatero, in Francia andrà bene Besancenot e per il resto influirà una sorta di referendum pro o contro Turchia.
In Italia Berlusconi ha un trend favorevole
specie dopo il terremoto dove indubbiamente il governo è stato tempestivo e il premier non ha fatto mancare la sua attenta presenza. Per il resto; il PD continua ad essere un partito in cerca d’autore, la Lega continuerà a picchiare duro su quella gran quantità di “nordisti” che temono un’Europa dalle maglie larghe che divenga facile approdo d’immigrati. Bene andranno gli altri “populisti” quelli d’Italia dei Valori, di Di Pietro, i giustizialisti, che in assenza di credibili oppositori catalizzano tutto l’antiberlusconismo italiano.
Ma ci si chiede quante persone conoscono il ruolo che i partiti italiani hanno sostenuto nella passata legislatura europea? Chi può votare a favore o contro uno dei partiti italiani o degli altri paesi, a Strasburgo in ragione dei suoi meriti o demeriti? In Italia il 6 e il 7 giugno non si vota sulla qualità degli interventi in Abruzzo e nemmeno sui rifiuti tolti a Napoli all’indomani della nascita del governo. Si vota su quei temi indicati e su altri ancora che abbiamo omesso per brevità. Anche in questo si vede il deficit di democrazia, questa volta europea, degli italiani, i quali andranno a votare (se andranno) pensando solo o quasi alle cose italiane (ma cosa c’entra il terremoto in Abruzzo con l’europee? e l’antiberlusconismo? E le ronde padane?).
Che Europa può uscire in queste condizioni? Drammaticamente la politica degli europei e in particolare degli italiani, non ha ancora fatto sua l’idea di Europa come di un paese comune, dove i cittadini si sentano a casa propria in Inghilterra come in Polonia, a Praga come a Parigi, a Roma come a Madrid. C’è una sensibilità comune, diffusa tra i cittadini forse anche più che tra i politici, ci si sente accomunati dalla Storia ma anche dalla letteratura, l’apertura delle frontiere ha creato nuove possibilità di lavoro, di conoscenza, aumentano i matrimoni tra cittadini di vari paesi europei il multilinguismo diviene ricchezza culturale, ma la politica non coglie tutto questo chiuso in un antiquato regionalismo, nei suoi asfittici particolarismi di categoria, di setta, di casta se non di famiglia.
Ed allora si premia o si punisce in queste elezioni europee guardando ai bilanci politici dei partiti, tra le proprie mura, senza nulla conoscere della proposta europea degli stessi partiti, ammesso che vi sia e che sia frutto di un’attenta analisi e non una sorta di improvvisato elenco della lavandaia.
L’Italia mi appare, tuttavia, l’inquietante punta di un iceberg. Non vedo, ad esempio, a Parigi un solo manifesto che parli d’Europa come non lo vedo a Roma o a Milano (che invece è cosparsa di manifesti per le amministrative).
Tutto questo è mortificante, per quei sognatori che dalle celle di Ventotene pensavano ad una nuova Europa, ma è mortificante anche per lo spreco di potenzialità, che tutto questo suscita. L’Europa ha dimostrato e ancor più può dimostrarlo di essere un interlocutore forte ed autorevole capace di dettare regole anche agli alleati americani, d’imporre il proprio credo politico anche a “l’amico Putin” chiedendo almeno il rispetto degli impegni economici ed energetici (leggi Russia Ucraina) oltre che della libertà di pensiero. Può dire la sua nei negoziati sul Medioriente (perché non creare un esercito europeo invece di insistere nell’anacronistica NATO. Può molto dire nella battaglie sui diritti civili ed umani, insistendo sull’abolizione della pena di morte nel mondo, per la ricerca scientifica, che oggi sembra trascurata dalle politiche nazionali. Diventare dopo secoli di colonialismo, partecipe ed interprete di una politica che riequilibri il debito pubblico che aiuti lo sviluppo delle democrazie nel terzo mondo, che accolga e formi i tanti immigrati che domani potranno aiutare i paesi d’origine.
Sviluppare politiche per il lavoro che priveligino le diverse capacità e qualità che storicamente si sono sviluppate nelle diverse realtà economiche e sociali.
Occorre in una parola che siano prima gli europei a crederci, perché solo se ci credono in queste potenzialità, si potrebbe essere credibili nel mondo intero.
I partiti nel continente come in Italia dovrebbero comprendere che l’Europa è il presente ma è anche il futuro. In Italia che la bandiera europea non va sventolata solo quando fa comodo o quando fa effetto, ma bisogna sventolarla pensando ad un’Europa che, sia pure federale, abbia un carattere nazionale. In tal senso, occorre che i partiti assumano una struttura sempre più transnazionale e che gli organismi e le dirigenze siano sempre più aperte ad esperienze politiche comuni. Il paradosso e che chiusi nelle polemiche interne e nelle difficoltà d’identità politica (cosa che vi sarà sempre se non si costruiscono nuove ideologie), alcuni partiti non sanno finanche dove e con chi siederanno al Parlamento europeo. E’ l’esempio del PD, in Italia, dove gli ex democristiani non vogliono sedere con gli ex socialisti. Gli ex comunisti rifiutano di sedersi con gli ex avversari (peraltro con i democraticicristiani europei già siederà il PdL di Berlusconi) e quindi l’incapacità di non essere più ex ma di essere una cosa nuova non rende nemmeno chiara la collocazione europea di quel partito. Cosa farà Di Pietro? Non è chiaro. Perché certo non siederà con gli ecologisti o con i comunisti, né esistono dei “giustizialisti europei” o una “lega antiberlusconi” e allora? Cosa farà un suo micro gruppo al parlamento?
La realtà è che occorrerà molto tempo per ricostruire un’effettiva e matura democrazia in Italia, indubbiamente i trenta anni trascorsi dal “craxismo” ad oggi hanno fortemente segnato il Paese, che già storicamente non ha un approccio istintivo favorevole verso la democrazia e che nutrendo e nutrendosi di questo populismo in mancanza di una chiara e coraggiosa alternativa politica, a finito per aggravare i propri vizi e dimenticare le proprie virtù.
Occorrerebbe un’opera, direi provocatoriamente, educatrice nei confronti di un popolo bambino (in fondo così lo definì Berlusconi), un’opera di informazione e formazione a valori sociali rispettabili, una proposta che metta fine, con coraggio, ai tanti privilegi e particolarismi su cui si fonda “l’ingiustizia italiana”. Una proposta che veramente sani le differenze enormi che vi sono tra il sud e il nord del paese. Una proposta che miri a responsabilizzare i cittadini, a coinvolgerli. Forse internet non basta, forse bisogna avere il coraggio di ritornare tra la gente di ascoltarne la voce dal vivo. Forse è l’ora di dare un rimedio a quella solitudine che come un male lascia sempre più disincantati e senza speranze tantissimi italiani
NICOLA GUARINO
BENVENUTI IN EUROPA
Sono molto d’accordo con l’analisi sull’incidenza dei temi di politica interna nei vari paesi europei sull’elezione al Parlamento europeo. Quanto al referendum in Italia,paradossalmente, l’esito positivo del referendum (abolizione di alcuni articoli della legge elettorale elaborata da Calderoli), più che semplificare la politica italiana, rischia di favorire il solo partito di Berlusconi, « regalandogli » anche con il 40% il 55% dei seggi disponibili, senza la Lega o altri. Infatti non è previsto nessuno sbarramento in alto (quota elmeno del…).Per questo anche nel PD c’è chi è contrario al NO. Io sono molto incerta sul da farsi.Vorrei capire meglio. Marinella
BENVENUTI IN EUROPA
Come si Vota – Referendum 2009?
Io sono italiano all’estero da ed io sono confuso riferito al Referendum e gradirei qualcuno chiarifichi i problemi seguenti
1) La prima domanda: (Deputati)
Se non si desidera che il premio di maggioranza alla lista più votata e al contrario el premio di maggioranza se otorgue alla lista o coalizioni obtjenga 55% dei voti, io voto NO per questo? Conferma
2) La seconda questione: (Senato)
Se non si desidera che il premio di maggioranza alla lista più votata e al contrario el premio di maggioranza se otorgue alla lista o coalizioni obtjenga 55% dei voti, io voto NO per questo? Conferma
3) La terza domanda: (Abrogazione di candidatura multiple)
Se si vogliono evitare una singola persona può candidarsi in più circoscrizioni io voto SI? Si prega di confermare. Grazie Mile.
BENVENUTI IN EUROPA
Gentile Signor Dario,
Il referendum del 21 giugno prossimo, si propone di semplificare il quadro politico e di garantire una maggiore « governabilità » del Paese.
Ora se non si vogliono premi di maggioranza per la lista o partito più votato alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica,bisogna apporre la croce sul NO. Se si vuole che ciascun candidato non possa candidarsi in più circoscrizioni, bisogna, come lei ha ben compreso votare SI.
IL si e il no, nei referendum che si svolgono in Italia, che sono solo « abrogativi », rispondono alla domanda di abrogare e quindi cassare, cancellare, una legge ripristinando la precedente. Quindi….si (voglio abrogare), no (non voglio abrogare).
Nicola Guarino