La Fondazione Ente Ville Vesuviane riapre le porte dei suoi siti: Villa Campolieto ad Ercolano e Villa delle Ginestre a Torre del Greco con l’iniziativa “Ripartiamo dalla bellezza” (gratuito per tutto giugno 2020). Andateci! È il momento di visitarle. Negli ultimi anni, gli interventi mirati dell’Ente, ora Fondazione hanno restituito una nuova dignità a una parte di questo immenso patrimonio costituito da queste ville del XVIII secolo di cui ci parla Mario Carillo.
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Hanno il fascino triste e solenne delle regge abbandonate, le centoventidue residenze, disseminate lungo il tratto del Miglio d’Oro, cosi denominato per la felice posizione, tra le verdeggianti pendici del Vesuvio e il mare. Sono trascorsi oltre due secoli da quando l’aristocrazia partenopea, per emulare Carlo di Borbone che vantava la sua magnifica dimora estiva a Portici, cominciò a farsi costruire splendide ville tra Napoli, Ercolano e Pompei. Di queste ville patrizie solo alcune sono state recuperate.
Villa Campolieto emiciclo – Fonte Flickr © Angelo Casteltrione
È il caso di Villa Campolieto ad Ercolano, Villa delle Ginestre a Torre del Greco, Villa Ruggiero, Villa Favorita, Villa Bruno, Villa Aprile, Villa Savanarola. La prima comprende ben 186 vani, oltre ai cortili, alle terrazze e al vastissimo parco che dopo anni di lavoro è stata restituita al suo antico splendore e oggi ospita incontri culturali, mostre d’arte, concerti, corsi della Libera Facoltà di Scienze Turistiche.
Luigi Vanvitelli vi lavorò per dieci anni, alternandosi tra Ercolano e la Reggia di Caserta. In realtà il progetto originario di Villa Campolieto apparteneva a Mario Gioffredo, che diresse i lavori per cinque anni, fino al 1760, quando dovette abbandonare l’opera per contrasti sorti col committente, il duca di Casacalenda. Gioffredo fu dapprima sostituito da Michelangelo Giustiniani e dopo tre anni dal Vanvitelli, che vi lavorò fino alla fine nel 1773. I lavori furono completati dal figlio Carlo.
Villa Campolieto – Fonte
Quando, nel 1977, l’Ente per le Ville Vesuviane, n’acquisì la proprietà al patrimonio pubblico, per 220 milioni, Villa Campolieto cadeva a pezzi, né più, né meno di altri gioielli settecenteschi, fantasmi di un’epoca e di una cultura che avevano collocato Napoli ai primissimi posti tra le città europee.
Non lontano da Villa Campolieto, Villa Ruggiero, risale alla prima metà del Settecento. Entrando nel palazzo, dopo l’atrio, il vestibolo coperto a botte e, a sinistra, la scala che porta al piano superiore: alcune rampe in piperno conducono nell’ampio salone centrale ornato da disegni pittorici che richiamano i tipici modelli della pittura romana, infiorettati da motivi esotici.
Affreschi decorativi nella Villa Campolieto ad Ercolano– Fonte Wikipedia.
Altre residenze, una quarantina, sono agibili; le rimanenti versano in condizioni disastrose, ridotte in monconi irriconoscibili e l’opera di ricostruzione è assai ardua.
Tutti questi capolavori risalgono al’700-800 e portano le firme, oltre che del Vanvitelli di Ferdinando Fuga, Domenico Vaccaro del Sanfelice del Nuclerio. I progetti furono ordinati dalla nobiltà feudale per i divertimenti aristocratici e le residenze fatte costruire con ostentata ricchezza. Per proteggere le abitazioni dalle bizze del vulcano, in quell’epoca molto attivo, furono eretti altari e cappelle votive in onore di San Gennaro.
Altri tesori d’arte sono Villa de Gregorio, con splendido parco, costruita per Domenico Cattaneo, precettore e poi ministro di Ferdinando di Borbone. Villa Pignatelli di Montecalvo attribuita a Ferdinando Sanfelice; Villa Maltese costruita da Domenico Antonio Vaccaro; Villa Meola anche del Vaccaro, rappresenta un pregevole esempio di rococò napoletano; Villa Favorita, a pochi metri dal mare, con approdo, fu costruita da Ferdinando Fuga per il principe di Iaci. Ferdinando IV, n’entrò in possesso, la definì « Favorita » in ricordo della Villa a Schronbroun della moglie, Maria Carolina d’Austria. Villa Bruno, nel vestibolo un busto di Giove e le statue di Bacco, Proserpina e Atena, nel salone affreschi e paesaggi alternati alle
porte rococò; Palazzo Valle, nei pressi del Palazzo reale di Portici; Villa Vannucchi con ampio parco; Villa Savonarola, destinata a spazio della cultura; Villa delle Ginestre, ultimo luogo di soggiorno di Giacomo Leopardi; Palazzo Vallelonga sede della Banca di Credito Popolare, Villa Aprile, ripristinata conforme al disegno originale diventata un albergo dall’affascinante nome: Miglio d’Oro, a poca distanza dagli scavi di Ercolano.
Parco sul mare di Villa Favorita – Fonte Flickr ©Angelo Casteltrione
Il degrado delle ville e dei palazzi vesuviani cominciò con l’esilio dei sovrani del Regno delle Due Sicilie, ormai non più regno ne tantomeno Stato autonomo. Molte ville furono abbandonate, in una rapida successione di fitti, subaffitti e vendite per lotti.
In questi ultimi decenni di boom edilizio sono stati abbattuti alberi centenari, prati interi, boschi che circondavano le costruzioni saccheggiate; deturpate le belle e antiche ville. Puttini, statue, marmi pregiati, cristalli di valore, infissi, ottoni sono scomparsi. Divelte le
pareti decorate, le fontane. Gli appartamenti, infine, furono occupati dai terremotati dell’80.
Alcuni di questi edifici monumentali dopo un attento e rigoroso restauro, sono attualmente sotto la diretta tutela e gestione della Fondazione Ente Ville vesuviane e costituiscono le sedi nelle quali viene svolta l’attività istituzionale e innumerevoli eventi e iniziative culturali: la Villa Campolieto, il Parco sul Mare della Villa Favorita, la Villa Ruggiero a Ercolano e la Villa delle Ginestre a Torre del Greco.
Oltre alle ville vesuviane, il nostro paese vanta le ville e castelli del Palladio, quelle romane, della Lucchesia e di Bagheria. Salvare questi capolavori d’arte, significherebbe ridare decoro a molte zone e costituire fantastici itinerari turistici.
Mario Carillo
(pubblicato nel 2012 e aggiornato oggi)