In occasione dell’uscita del doppio DVD & Blue Ray (Nour Films), senz’altro un bel regalo da fare per Natale 🎄, ritorno con grande piacere su Il Boemo, il film magistrale di Petr Vaclav sul compositore Josef Mysliveček uscito quest’anno nelle sale cinematografiche di diversi paesi europei, tra cui Francia e Italia, e già disponibile anche su alcuni siti di pay tv. (Vedi recensione completa del film QUI)
Per chi non avesse ancora visto il film (ma in realtà anche per coloro che l’avessero già visto al cinema o in tivù), il grande interesse di questo doppio DVD & Blue Ray consiste nel fatto che il film è accompagnato da vari bonus che complessivamente ammontano a più di tre ore e trenta supplementari, oltre al film stesso.
I bonus sono i seguenti:
Per prima cosa, il lungo ed articolato commento audio del regista su varie scene del film, che dura più di un’ora, e che risulta davvero illuminante perché fa capire il perché delle scelte registiche dal di dentro, e consente di entrare all’interno del processo creativo. Petr Vaclav narra, ad esempio, le ragioni che lo hanno spinto a ingaggiare tale attrice o tale attore, il perché di certi colori, di certi tessuti e di certe forme per gli abiti di scena, la scelta precisa di girare a volte con la cinepresa sulla spalla, l’esigenza di far entrare nel film le varie parlate regionali italiane, per rispetto della verità. E si dilunga anche su alcuni luoghi in cui il film è stato girato, che si tratti di Napoli, Praga o Venezia, ecc., fornendo anche cenni storici sul funzionamento dei teatri all’epoca di Mysliveček o, ad esempio, sul ruolo delle donne nella società.
In secondo luogo, il regista ci regala ben nove momenti musicali, in tutto quasi sessanta minuti, che comprendono una serie di scene cantate, alcune delle quali presenti in parte nel film, mentre altre sono inedite, forse non prese in considerazione al momento del montaggio per evitare una lunghezza eccessiva del lungometraggio.
Si comincia con l’aria «Nacqui agli affanni in seno», interpretata da Emöke Barath, tratta dal Demetrio (1773) su un libretto di Metastasio del 1731, il primo del drammaturgo che Mysliveček mette in musica, opera che va in scena al Teatro Nuovo di Pavia (l’attuale Teatro Fraschini, ultima realizzazione dell’architetto Bibiena e uno dei rarissimi teatri settecenteschi che non è mai bruciato) nel maggio 1773 e a partire dalla quale il compositore farà una versione napoletana nel 1779 per il Teatro San Carlo. Il secondo pezzo è l’aria «Non so se il mio peccato», cantata da Sophie Harmsen, illustrato anche con immagini del film, tratta dall’oratorio Adamo ed Eva. Nell’ordine seguono poi: l’aria «Tempesta funesta» da Il Demetrio, cantata da Emöke Barath; «Deh in vita ti serba», tratta da Romolo ed Ersilia, con Emöke Barath, Juan Sancho, Philippe Jaroussky e Benno Schachter; «Gemo in un punto e fremo», aria di Licida dall’Olimpiade, cantata da Philippe Jaroussky. Gli ultimi quattro pezzi sono tutti tratti dall’Olimpiade, uno dei maggiori successi italiani di Mysliveček, opera rappresentata al Teatro San Carlo di Napoli nel 1778 su un testo che Metastasio scrisse per Caldara nel 1733 e che sarà messo in musica una sessantina di volte nel corso del 700. Il pezzo numero sei è dunque l’aria di Megacle, «Se cerca se dice», cantata da Raffaella Milanesi e sembra di vedere e di ascoltare una scena completa del film, che è certamente stata accorciata in fase di montaggio; il pezzo seguente, «Caro non dubitare», è nuovamente interpretato da Raffaella Milanesi. Gli ultimi due pezzi sono «Mentre dormi», aria di Licida, cantata da Philippe Jaroussky, e «Che non mi disse un dì», aria di Argene interpretata da Sophie Harmsen.
In terzo luogo, l’interessantissima intervista del regista da parte di Camille Nevers, critico cinematografico a Libération, che dura circa 18 minuti. Nel dialogo con la giornalista Petr Vaclav torna su alcuni momenti della preparazione del film, sul perché di questa scelta di dedicare un lungometraggio a un illustre sconosciuto che ormai, proprio grazie al suo film, è finalmente (ri)diventato familiare al pubblico e il regista esprime simpaticamente la consapevolezza che il “suo” Mysliveček è ormai Mysliveček tout court (e per fortuna, ci sentiamo di aggiungere).
C’è certamente un parallelo tra il Boemo e il regista stesso, entrambi cechi, entrambi espatriati alla ricerca della possibilità di potersi esprimere liberamente attraverso l’arte, ma il regista è stato soprattutto animato dalla volontà di ristabilire la verità riguardo al musicista che, infatti, tanto per fare un esempio, non era chiamato, in realtà, il “divino boemo”, e quest’ultima sarebbe stata un’invenzione, a posteriori, dei romantici cechi, che erano spinti da uno spirito nazionalista. Petr Vaclav racconta anche di aver cominciato il film girando in un primo tempo le scene musicali a teatro (nel 2019), dato che i cantanti, in particolare Philippe Jaroussky, non avevano molte disponibilità e bisognava fare in fretta per non perdere un’occasione d’oro. Il resto è venuto dopo, anche perché nel frattempo c’è stata la pandemia, che lui ha vissuto a Napoli, e il film è stato ultimato a fine 2021.
Altro elemento molto interessante che ci viene rivelato durante l’intervista, e che vale la pena di essere sottolineato, è che la “molla” che ha fatto scattare definitivamente l’idea del progetto è stata il ritrovamento, negli archivi, da parte del direttore d’orchestra Václav Luks, dello spartito dell’Olimpiade. Dalla ricreazione moderna dell’opera, mai più rappresentata dopo gli spettacoli napoletani dell’epoca, germina dunque l’idea e la volontà di fare il film e ciò vale a dire che è la musica la vera protagonista del film, con tutto ciò che essa comporta in termini di (ri)creazione di un immaginario, non soltanto biografico o storico o artistico ma anche sociologico. Per fare il film, quindi, è stato necessario conoscere i cantanti che poi avrebbero recitato e cantato, ma è soprattutto stato necessario che i cantanti imparassero, “digerissero” e vivessero questa musica in modo tale, come lo si vede e lo si sente, direi in modo palpabile, guardando il film. In effetti, è particolarmente evidente che non ci si trova semplicemente davanti a degli attori-cantanti ingaggiati in un lungometraggio musicale, ma a degli interpreti che conoscono questa musica dal di dentro, e che mostrano una tensione visibile sullo schermo nelle scene che si svolgono all’opera. Partendo da fatti storici, il film e il personaggio diventano poi, nel corso della narrazione, anche romanzeschi ma ciò è assolutamente normale e necessario per la finzione cinematografica. Ciò che conta nella narrazione è che il compositore trova nella musica, nel lavoro artigianale accanito, la chiave di volta della propria vita, persino nei momenti più difficili, persino alla fine, quando versa ormai in condizioni estremamente precarie e dolorose, e grazie ad essa egli non cessa mai di tentare di forgiare il proprio destino. Tutto ciò, ripeto, è mostrato in maniera magistrale nel film e l’intervista riesce anch’essa a farci entrare nella testa del regista, in modo da chiarire il come e il perché è nato ed è stato realizzato questo film.
L’ultimo bonus è una vera e propria chicca: si tratta del bel documentario Confessioni di uno scomparso. Ricco di momenti illuminanti riguardo alla personalità e all’opera di Josef Mysliveček, di una durata di quasi ottanta minuti, il documentario è stato girato alcuni anni prima del film e risulta essere una sorta di lavoro preparatorio propedeutico al futuro lungometraggio. Si assiste quindi a una sorta di narrazione ibrida in cui la voce narrante, off, che rappresenta il compositore, parla di sé in prima persona, dei propri ricordi, incontri, ambizioni, successi, viaggi, ecc. accompagnando una serie di immagini che scorrono sullo schermo e che mostrano vari luoghi italiani, per esempio Venezia, città dalla quale partì la sua voglia di imporsi come musicista, ma non soltanto. Attraverso il racconto si viene a sapere che è grazie ai Mozart, padre e figlio, se oggi il nome di Mysliveček è ricordato, dato che essi ne parlano nelle loro lettere. Tuttavia, il documentario è altresì arricchito dalle bellissime prove dell’Olimpiade con alcuni dei cantanti che poi saranno anche gli attori del film, quindi quest’ultimo parte davvero dalla musica ed esiste grazie alla musica che è il vero motore dell’idea del regista. Le prove fanno conoscere al pubblico tutta l’energia e la passione del direttore d’orchestra, Václav Luks, che lavora con musicisti e cantanti alla stregua di un cesellatore della parola e del suono, e dal mio punto di vista sono particolarmente illuminanti le riflessioni di Raffaella Milanesi, che interpreterà poi il ruolo di Megacle, sul rapporto tra testo e musica, sul lavoro di ricerca del compositore per rendere musicalmente il testo di Metastasio. La cantante parla di una scrittura musicale raffinatissima ricca di moltissimi cambi di tempi e quindi molto complessa, e questa, secondo lei, è forse la cifra del riflesso di una personalità abitata da una profonda sofferenza, dato che Raffaella Milanesi sente in questa musica una grande solitudine e, stabilendo un paragone con Mozart, afferma che quest’ultimo è molto più chiaro, luminoso, mentre con Mysliveček non è tutto così evidente. La cantante aggiunge, inoltre, che nel recitativo accompagnato si percepisce chiaramente una certa violenza, e che ciò viene direttamente dal compositore e non da Metastasio e, per esempio, nell’Olimpiade di Pergolesi, dove c’è soltanto recitativo secco, manca questo lato drammatico che c’è invece in Mysliveček. Questi sarebbe, infatti, una sorta di ‘padre’ dell’opera moderna ante litteram, opera moderna intesa in senso drammatico, romantico che solitamente, nelle storie della musica, prende avvio dal Don Giovanni di Mozart e Da Ponte di qualche anno posteriore all’Olimpiade di Mysliveček. Questo lavoro specifico sul recitativo accompagnato da parte del compositore boemo ristabilisce, mi sembra, tutta la sua grandezza di musicista e la sua posizione nella storia della musica. Tutti questi commenti mi sembrano particolarmente preziosi e consentono di arricchire la nostra percezione e riflessione alla visione del film.
Altrettanto affascinanti sono poi le prove di scena, preparatorie, con l’orchestra e con gli altri interpreti che scoprono questo mondo myslivečkiano per la prima volta dopo più di due secoli.
In ultimo, oltre alle immagini poetiche della natura, del mare che accompagnano la narrazione del documentario, ho trovato molto affascinanti le brevi sequenze girate nell’Archivio storico del Banco di Napoli, vera e propria caverna di Ali Babà, dove a comprova del fatto che Mysliveček non avesse aperto un conto in qualche banca, il suo nome compare, però, in merito al compenso percepito per Il Bellerofonte e regolarmente certificato dalla firma di un notaio perché, appunto, egli non aveva aperto un conto da nessuna parte.
Per tutte queste ragioni, credo che valga davvero la pena di (ri)vedere Il Boemo e di procurarsi questo doppio DVD & Blue Ray della Nour Films.
di Walter Zidarič
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QUI LO SPOT DEL DVD uscito il 21 novembre