Una recensione di Maurzio Puppo sull’ultimo romanzo di Giacome Sartori, « Anatomia della battaglia », uscito in una nuova edizione a marzo di quest’anno per TerraRossa Edizioni. Un romanzo che fa i conti con la perdita del padre e si muove nel fascino ambiguo del Novecento.
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In uno dei suoi ultimi giorni, su un’agenda, Buzzati aveva disegnato un uomo con il bastone, curvo su un sentiero di montagna. Dietro di lui, le pagine di un calendario da tavolo, sfogliate una dopo l’altra. Se c’è un tempo in cui si cerca «di mettere ordine nella propria infelicità», per il protagonista di Anatomia della battaglia, di Giacomo Sartori, quel momento coincide con l’avviarsi di suo padre sul sentiero della morte. I monti dello schizzo di Buzzati sono quelli del Trentino; gli stessi che il padre raccontato da Sartori pratica instancabilmente, anche da malato, obbligando i familiari ai suoi «sadici rituali». Dietro la montagna che si scala, ce n’è un’altra destinata a restare invalicabile: il fascismo paterno. Perché «tutto quello che è venuto dopo è stato caos e disordine».
Il libro si apre sotto l’ombra della nube di Chernobyl, nel 1986. Le verdure sono probabilmente contaminate; il padre, fedele a un certo vitalistico sprezzo del pericolo, le mangia lo stesso. Di lavoro ha fatto il capocantiere: domatore di un mondo di uomini, per conto di un’autorità esterna che non ammette contraddittorio. Se quella del padre, come si vede, è una perfetta geometria di marca fascista, il figlio prende invece strade opposte. Diventa comunista. Mantiene l’attitudine paterna all’intransigenza (quella di chi “trova bizzarro che il suo interlocutore non voglia arrendersi all’evidenza”), spingendosi, per un po’, nelle strade del terrorismo. Va in Africa a lavorare contro la desertificazione. Infine torna a casa, per assistere alla morte del padre.
Nella prima parte, Anatomia di una battaglia si costruisce attorno alle parole, ai modi di dire, a un mondo che porta in sé un’aria di stupore, d’infanzia, di casa. E qui si intravedono le tracce di due libri fondativi. Il primo è Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg (il debito è dichiarato esplicitamente, là dove si dice che alla Ginzburg si deve voler bene come a “una zia un po’ lunatica”. Proprio così). Il secondo, anche per via del comune colorito linguistico da Nord-Est italiano, è Libera nos a malo di Luigi Meneghello, libro tra i maggiori del Novecento italiano (e forse non solo italiano). Del testo di Meneghello c’è quell’irresistibile stupore di fronte al mondo, che produce frasi memorabili, in sé già racconti fatti e finiti: “Il fratello del Corto era il Lungo”.
Poi, all’insorgere della malattia del padre, il registro cambia. La voce narrante (quella del figlio) non riporta più il vocìo esterno. L’ego prende il sopravvento. Veste ogni cosa di una luce metallica, enumerante: l’ossessione della scrittura, il tentativo di costruire una vita adulta (il matrimonio), l’emergere di ombre familiari (la contraddizione insanabile di un mondo in cui si può essere stati allo stesso tempo brave persone e bravi fascisti).
Anatomia della battaglia è un libro che ha vissuto due volte. La prima volta nel 2005, con l’edizione per Sironi; adesso, con l’edizione TerraRossa. È difficile staccarsi da queste pagine, non sentirsi parte di quel mondo, non cedere alla tentazione di adottarne i modi di dire. È difficile non identificarsi in “questa lunga lotta con il padre” (per riprendere un’espressione di Giuseppe Berto nel Male oscuro). Indipendentemente dalle contingenze politiche, mi pare resti perfettamente attuale anche l’eterna presenza di un fascismo che è forse di ordine più psichico che politico: fatto di sgomento di fronte a ogni disordine, adesione vitalistica e priva di dubbi alla necessità del dovere. Una sorta di spudorato fallo eternamente esposto in piazza, patriarcale, onirico, infantilmente consolatorio; che rispunta ogni volta, anche quando pensiamo di averlo reciso. Un fascismo in cui, come notato giustamente da Helena Janeczek proprio a proposito del libro di Sartori, sembra che « l’uccisione simbolica del padre non disarticoli le strutture patriarcali ma, anzi, le propaghi”.
« Io non sono mai stato adolescente, perché in casa mia c’erano gli adulti e c’erano i bambini, senza vie di mezzo« , scrive Sartori. Quel padre, scolpito dentro di noi, è destinato a restare adulto, e fascista, persino oltre la morte. Se è così, a noi non resterà che essere quel figlio condannato a lottare con la tentazione, ma anche la paura, di restare eternamente bambino.
Maurizio Puppo
Giacomo Sartori, Anatomia della battaglia, TerraRossa Edizioni, 2025
SINOSSI – Un padre carismatico alpinista che ha fatto dei miti fascisti di gioventù un anacronistico modello comportamentale, e ora malato; una madre ossessionata dalle apparenze e mossa da un irrefrenabile vitalismo; un fratello votato alla perfezione e una sorella in fuga fin da bambina: il narratore osserva le loro anaffettive e inconciliabili solitudini e cerca di prepararsi alla morte del genitore, di comprendere da dove scaturisca la forza recondita del loro legame, come e perché per quell’eterno reduce di guerra il cancro sia solo una sfida privata e disprezzabile. E mentre il corpo del padre resiste strenuamente alla morte, il protagonista analizza il proprio lessico famigliare alla ricerca di spiegazioni e fa i conti con la vocazione alla scrittura e con i sotterranei moventi della propria adesione ai movimenti estremisti della sinistra negli anni ’70. Un romanzo scritto senza indulgenza, che racconta come la Storia, mimetizzata nelle consuetudini di ogni famiglia, plasma inavvertitamente o meno l’esistenza di ciascuno di noi.
Il romanzo Anatomia della battaglia, ora riproposto da TerraRossa Edizioni, uscì nel 2005 nella collana diretta da Giulio Mozzi per Sironi; già pubblicato in Francia dalle edizioni Philippe Rey, uscirà negli Stati Uniti nel 2026 con Coffee House.
Giacomo Sartori (Trento, 1958) è agronomo e vive a Parigi. Anatomia della battaglia, ora riproposto da TerraRossa Edizioni, uscì nel 2005 nella collana diretta da Giulio Mozzi per Sironi; già pubblicato in Francia dalle edizioni Philippe Rey, uscirà negli Stati Uniti nel 2026 con Coffee House.
Tra gli ultimi suoi romanzi: Sono Dio (NN, 2016, Foreword Indie Gold Award for Literary Fiction), Baco (Exòrma, 2019, finalista Premio Procida e Philip K. Dick Award) e Fisica delle separazioni (Exòrma, 2022, finalista Premio Chianti).