In occasione dei sessant’anni del Trattato di Roma, l’Istituto italiano di cultura di Parigi ha organizzato il ciclo « Vous avez dit Europe? » in collaborazione con Sciences-Po. Il terzo incontro si è svolto il 16 marzo 2017 e ha visto come suoi protagonisti Enrico Letta e Hubert Védrine, recenti autori tra l’altro di due libri dedicati proprio ai temi europei. L’appassionato dibattito è stato moderato dal giornalista Alberto Toscano. Noi c’eravamo. Video dell’incontro da visionare in fine pagina.
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Se in Francia non si celebra sufficientemente il 60° anniversario del Trattato di Roma in antagonismo ai movimenti antieuropei in vista delle prossime elezioni, come aveva osservato il 23 gennaio scorso Marc Lazar alla prima del ciclo di conferenze che l’Istituto Italiano di Cultura a Parigi ha organizzato per l’occasione, si deve comunque riconoscere il merito all’Ambasciatore Magliano e al Direttore dell’IIC Fabio Gambaro d’aver organizzato le riunioni di questo ciclo con personalità accademiche di primo piano.
Dopo (tra gli altri) lo stesso Lazar e Sylvain Kahn di “Sciences Po”, e dopo Christophe Charle della Sorbona e Gilles Pécout, Rettore della Regione Accademica Ile de France (tutti autori di testi e libri tra i più eminenti sui diversi temi della Storia europea, e tutti spesso ospiti di programmi culturali televisivi), il 16 marzo scorso il ciclo stesso si è concluso con gli interventi di due altri “neoaccademici” di rilievo: Hubert Védrine ed Enrico Letta, autori, rispettivamente, di “Sauver l’Europe!” (éd. Liana Levi, 2016) e “Contro venti e maree, idee sull’Europa e l’Italia” (ed.Il Mulino, 2017). Quanto alla loro presenza in TV, è sufficiente ricordare quella frequente di Védrine nelle trasmissioni sul periodo ormai storico di Mitterrand, di cui è testimone come suo ex Segretario Generale all’Eliseo, e sulla politica estera come ex Ministro degli Esteri del Governo Jospin.
Tanto Mitterrand è stato raffigurato in “bianco e nero” nei primi anni della sua presidenza quanto Védrine ha poi contribuito ad attribuirgli i colori chiari per quanto riguarda la vicinanza con gli USA e la Germania per continuare la costruzione dell’Europa in pace. E anche questi sono ora, rispettivamente, titolare d’una Cattedra e Direttore della Sezione Internazionale a Sciences Po.
Dunque con questi due “neoaccademici” (ambedue forse destinati a questa funzione già nel periodo politico, Védrine per il pragmatismo riconosciutogli anche da Chirac e Letta per aver ereditato l’insegnamento liberistico d’Andreatta), il salone dell’Istituto è stato talmente affollato da maledire in questo le colonne della sede dalla quale Talleyrand, “le diable boiteux”, aveva fatto e disfatto la Storia d’Europa più di 200 anni fa!
Per l’occasione è stato scelto come moderatore Alberto Toscano: giornalista figlio delle migliori tradizioni del giornalismo di un tempo per il consistente sottofondo di cultura storica del suo inchiostro, per le diverse testate in cui ha scritto (“Gazzetta del Popolo”, “L’Unità” e da Parigi: “Italia Oggi” e “Il Giornale” oltre ad “Altritaliani”) e per la penetrazione nei diversi ambienti (dagli incarichi all’ISPI e all’Università Statale di Milano alle presidenze dell’Associazione della Stampa Estera e del Club della Stampa Europea a Parigi, fino ad avere i premi giornalistici della “Maison de l’Europe” e del Parlamento europeo). Giornalista quasi “malapartiano” per l’aglio, olio e peperoncino che ogni volta dosa giustamente nel suo inchiostro e per la vastità geografica dei suoi scritti oltreché per quella delle sue relazioni. Toscano è poi quasi “dannunziano” per la quantità di testimonianze storiche in suo possesso, tra cui i giornali francesi di prima della 2a Guerra Mondiale (dai quali si desume l’incoscienza del dramma in arrivo),esposti recentemente, occupando tutte le pareti del piano terra del Municipio di Paris 9ème, e quelli della 1a Guerra esposti all’Istituto di Cultura nel 2014. C’è da chiedersi se per tutto il suo materiale abbia una casa grande quanto il Vittoriale o la Villa di Malaparte a Capri!
Lo stesso ha introdotto il dibattito con il sospiro di sollievo per il risultato delle elezioni in Olanda: la vittoria dei liberali è stata quella del liberismo sulle xenofobie. Perdipiù nel momento in cui è stato vietato l’accesso ai propagandisti d’Erdogan tra la comunità turca di lì allo scopo di salvare “capra e cavoli” (NDR), ossia sia la faccia del liberismo sia l’acqua sul fuoco d’eventuali tensioni con la comunità straniera più numerosa e praticamente integratasi con la seconda generazione come in Germania.
Sospiro di sollievo confermato da Letta, essendo così stato scongiurato il peggio dell’uscita d’un altro Stato dalla CE. Ma, secondo l’ex Presidente del Consiglio, è inappropriato il sinonimo “populismo”=”antieuropeismo”, sia per la diversa situazione nei vari Paesi (dai nuovi partiti in Spagna a quella in Francia, da quella interna ai diversi partiti in Italia a quella in Ungheria), sia perché ne è diversa la causa principale: la disoccupazione ad esempio in Olanda, rispetto ad altri Paesi, è quasi inesistente.
Allora c’è da chiedersi se lo scontento non derivi di più dagli errori della classe dirigente al potere: come quella negli USA che ha ripresentato le “dinastie” Clinton e Bush alle elezioni con il risultato della vittoria di Trump. Così come l’ambivalenza nei diversi momenti di Cameron è stata fatale con la Brexit (idem per esempio in Grecia con la scalata di Tsipras dopo i tentennamenti, soprattutto nelle politiche economiche, delle classi precedenti al governo). E allora, sempre secondo Letta, c’è almeno da rallegrarsi che, a fronte d’un Euro ancora “fresco” (“jeune”), l’Erasmus sia invece diventato il “top” degli elementi positivi della CE, il cui spirito deve però diffondersi maggiormente tra i giovani che circolano in Europa al di fuori degli ambienti scolastici e universitari.
Quanto all’economia, rimangono essenziali la parte della BCE come organo sovrano dell’Euro e quella della Banca Europea degli Investimenti in questi, ma rimane auspicabile pure lo sviluppo di altri enti come questo, con dimensioni complessive come quella del Fondo Monetario Internazionale, pur restando il paradosso delle negoziazioni (ad esempio) tra questo e la Grecia come negoziazioni tra uno Stato sovrano e un ente che non lo è. Questo sviluppo fino ai limiti d’un fondo “salva Stati” rimane ulteriormente auspicabile.
Se, dunque, almeno la BCE non è stata finora “la torre di Babele”, il continuare ad assistere, dopo ogni Consiglio Europeo, alla corsa dei giornalisti verso le singole delegazioni o i singoli rappresentanti nazionali (anziché verso il portavoce del Consiglio) come i vincitori della partita per quanto hanno ottenuto dall’Europa dimostra, d’altra parte, quanto si è ancora lontani dall’armonizzazione delle rispettive politiche. Tanto più quando si considera la Merkel (o Schaeuble o la Germania) come avversaria in questo contesto, la quale invece con gli anni si è ancora di più convinta delle elasticità che quest’armonizzazione richiede: anche riguardo alle politiche immigratorie Letta ha infine ribadito che non possono più essere nazionali, come non possono neanche più esserlo quelle sui provvedimenti antiterroristici.
Védrine ha osservato che l’immigrazione nelle quantità successive non era prevedibile ai tempi dei Trattati di Schengen, donde la necessità di ridefinirne le quote a livello europeo. Ma lo spirito europeo deve aumentare anche per essere opposto all’indifferenza, ancora predominante, verso il Parlamento della CE, non ancora “sentito” come quelli nazionali (o regionali) dai rispettivi elettori. Manca ancora, insomma, con la percezione del valore dell’istituzione democratica più rappresentativa, il completamento della reazione all’Europa concepita dagli USA e l’URSS dopo la guerra: perfino da parte d’alcuni Laender tedeschi (gelosi delle limitate sovranità sui rispettivi territori, oltreché da parte in modo più vistoso dei nuovi partiti antieuropei a livello locale). Intanto i partiti radicali (ricordando una frase di Fabius) continuano a “porre buone domande e dare cattive risposte”.
Anche secondo Védrine, tuttavia, non sono mancati gli errori da parte di chi era al potere per evitare le conseguenze alle urne dei malcontenti: ad esempio Chirac avrebbe dovuto essere energico, quanto lo fu Schroeder, nella politica economica. E mentre si è ancora lontani dall’istituzionalizzazione d’un Ministro delle Finanze europeo (spesso auspicato da Scalfari su “La Repubblica” della domenica e necessario quanto quello dell’Interno di fronte all’immigrazione e al terrorismo), la cui assenza rimane a vantaggio della Merkel (e di Schaeuble), alla Germania si possono sì rimproverare altri provvedimenti come il ritorno alle fonti d’energia inquinanti in sostituzione del nucleare, ma nulla deve opporsi alle diversità culturali che rimangono sempre le fonti principali d’integrazione pacifica.
Infine, alla domanda di Toscano “Allora chi comanda? Bruxelles? La Merkel? L’asse franco-tedesco?”, Védrine ha risposto ricordando la necessità d’un maggior equilibrio in senso confederale.
Il ciclo di manifestazioni all’Istituto di Cultura per i 60 anni del Trattato di Roma si è dunque concluso con l’omaggio al rispetto reciproco delle diverse identità culturali (comprese quelle a un’ora di distanza l’una dall’altra, come ha ricordato Letta a proposito di Pisa rispetto a Firenze: pensava forse al suo ex-sindaco…?) come fonte essenziale d’ulteriore sviluppo della CE, e si è concluso nell’ombra del “diable boiteux” per quanto riguarda tutto ciò che non ne tiene conto.
Intanto, a due passi da lì, al Musée Maillol, l’esposizione (ispirata dal libro della nipote Anne Sinclair) sul salvataggio dei quadri impressionisti fatto da Paul Rosenberg durante la guerra dimostra proprio le conseguenze che derivano nell’arte quando non si tiene conto di questo rispetto.
Lodovico Luciolli
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