Da mercoledi 5 febbraio al cinema in Francia. Titolo italiano: “Dolce fine giornata”. Una recensione di Fabrizio Botta.
Il film di Jacek Borcuch «Un soir en Toscane» è un inno alla bellezza della Toscana : dalle vie medievali di Volterra alle splendide colline sulle quali leggera si stende la nebbia, dalle favolose scogliere del Tirreno alle meravigliose chiese Romaniche. Ogni passo della tormentata vita della scrittrice Maria Linde (interpretato dalla famosissima attrice polacca Krystyna Janda) è cadenzato dalla bellezza di questa splendida regione. Ogni suo sentimento, ogni suo stato d’animo è enfatizzato dal vento che sferza i campi, ogni suo sguardo si riflette nella luce di un favoloso tramonto, ogni sua parola è un’onda che sferza sulle rocce di Castiglioncello. La fotografia e la musica sono arte pura in questo film, ci fanno sognare di stare in un casale con il camino acceso ed una buona lettura.
Il film è un puzzle dinamico che ruota attorno alla figura del premio Nobel Maria Linde, donna di grande talento ma prigioniera del suo corpo che invecchia. Cerca quindi di arginare questo scivolare inesorabile verso la vecchiaia con qualsiasi cosa sia vita: i nipoti, un giovane amante, la macchina sportiva. Cerca quello che forse la sua carriera troppo lineare le ha impedito di fare : essere una persona normale. Ma è allo stesso tempo vittima e complice del suo talento, che la fa sentire lontana da tutti, incompresa, già dal primo risveglio giornaliero. La storia d’amore con un giovane Egiziano le permette di sentirsi non solo più giovane, ma sentirsi una persona qualunque.
Le tessere che compongono questo quadro sono diverse. Il marito, uno splendido Antonio Catania (nel cast del film, sicuramente la miglior interpretazione), vive la sua vita nell’ombra della moglie, dove nemmeno l’amore lo tiene unito a lei, ma più la routine.
La fuga in macchina di Maria Linde è l’estremo gesto per sfuggire alla gabbia morale nella quale si sente rinchiusa.
Sottotono invece la recitazione di Kasya Smutniak (nel film recita il ruolo della figlia della scrittrice), poco convincente nel ruolo della figlia – manager e meno pepata rispetto ad altre interpretazioni (per esempio in Perfetti Sconosciuti). E poi i nipoti, che per la protagonista del film sono il palloncino che la solleva da terra, che la fa vivere tra le nuvole e le permette di evadersi da quel mondo che non la capisce.
Certamente, uno dei punti centrali del film è la un po’ criptica rinuncia della protagonista a ritirare il Nobel per la letteratura. La scrittrice sempre più chiusa nel privato del suo nichilismo, contro gli stessi desideri dei suoi familiari, rifiuta il riconoscimento assegnatole, finendo così per raccogliere non solo lettere di dissenso, ma anche di insulti e finanche minacce, mentre la comunità, dove è ben nota, con ostilità le rimprovera anche tutta la perdita di immagine che ne deriva alla stessa incantevole località per questa sua chiusura.
Per la vicinanza dei temi trattati, il film mi ha ricordato La bella gente diretto da Ivano De Matteo, vincitore del Gran Premio al festival del film italiano di Annecy 2009. In quel lungometraggio recitava tra l’altro lo stesso Antonio Catania.
Il regista tocca durante il film diversi temi importanti, anche con delicatezza, ma resta a mio avviso troppo superficiale. Le tematiche del film sono molto attuali, dal terrorismo di stampo religioso allo sbarco dei migranti in Italia, ma ormai già viste e riviste. Il razzismo viene visto ancora una volta dalla parte dei razzisti e non delle vittime, dandoci un punto di vista già abbastanza conosciuto. Alcuni luoghi comuni sono leggermente esasperati, come la figura del Carabiniere, del Sud Italia, assetato di moralità.
Forse il regista avrebbe dovuto scavare di più nella psiche di Maria Linde, facendo di lei un ritratto più introspettivo sulla persona piuttosto che sul personaggio.
Fabrizio Botta