Grazie a un’inedita cooperazione culturale, il celebre melodramma di Giuseppe Verdi, risultato della nuova gestione del Luglio musicale trapanese di Giovanni De Santis, è tornato sull’altra sponda del Mediterraneo, a El Jem e in pre-apertura del Festival internazionale di Cartagine. Il 19 agosto andrà in scena in Sicilia nella punica Trapani, sempre con la regia di Raffaele Di Florio. L’incontro fra le culture italiana e tunisina ha prodotto una grande « Aida ». Il piano è di portare lo spettacolo negli antichi teatri di pietra che circondano tutto il Mediterraneo.
Tra fine giugno e gli inizi di luglio nell’anfiteatro romano di El Jem, costruito nel III secolo d. C., e poi nel teatro antico di Cartagine è andata in scena una delle opere più famose al mondo, Aida. Progetto della nuova gestione di Giovanni De Santis del ‘Luglio Musicale Trapanese’, è il prodigio di una collaborazione artistica che si direbbe sfuggita al controllo delle regole imprenditoriali, e di segno decisamente opposto rispetto alle drammatiche questioni dell’immigrazione che quotidianamente investono la scena mediterranea e i mass media europei.
La realizzazione, coordinata da Raffaele Di Florio, autore di regia, scene e costumi, per quasi un mese ha visto impegnata nel grandioso monumento, capace di accogliere 35 000 spettatori, una squadra di 250 persone, composta di 150 italiani e 100 tunisini tra maestranze, operai, orchestrali, cantanti, coro e corpo di ballo. E sebbene il melodramma sia un genere di spettacolo da queste parti poco usuale, è stato coronato, con 7 000 spettatori, un gran parterre di autorità italo-tunisine e la diretta televisiva, da un successo inaspettato. Che tuttavia non avrebbe stupito un autore molto amato da Raffaele Di Florio, il grande Antonio Gramsci che, appassionato di teatro e d’opera, la considerava l’unica forma di letteratura nazionale-popolare in una cultura di classe e di secolare egemonia cattolica come quella italiana.
Così Aida è ritornata in terra d’Africa, dove è nata. «Composta da Giuseppe Verdi nel 1870 in occasione dell’inaugurazione del Canale di Suez su un soggetto suggerito dal celebre egittologo Auguste Mariette, Aida – osserva il regista Raffaele di Florio – è una prodigiosa sintesi del teatro musicale già sperimentato dal compositore e allo stesso tempo un lavoro del tutto originale. Per la prima volta Verdi lascia tutti i suoi precedenti metodi per dedicarsi ad un progetto che non attinge a nessuna opera letteraria preesistente. La trama del melodramma si basa su una struttura geometrica, composta da un doppio triangolo: quello amoroso (tra Aida e Radames, e Amneris innamorata di Radames) e quello politico (il Re, Ramfis capo dei sacerdoti egiziani e Amonasro, capo degli etiopi e padre di Aida). I due triangoli si intrecciano, e il piano storico-politico e quello privato costituiscono il fulcro del capolavoro verdiano».
Verdi chiamò Antonio Ghislanzoni, librettista esperto, a «mettere i versi sullo scenario», come leggiamo in un fitto carteggio, ma lo incalzava a privilegiare innanzitutto la «parola scenica, quella che scolpisce e rende netta ed evidente l’azione». Il 17 agosto 1870 gli scriveva: «So bene che Ella mi dirà – Ed il verso? E la rima? E la strofa? Non so che dire. Ma quando l’azione lo domanda bisogna abbandonare subito ritmo, rima e strofa. Fare dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che l’azione esige. È necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano il talento di non fare né poesia né musica».
Siamo alla vigilia della breccia di Porta Pia, e Verdi non esita a fare professione di laicità quando a proposito dei sacerdoti egizi, che comandano con freddo cinismo anche il Re, nella scena dell’investitura di Radames a comandante della spedizione contro gli etiopi contesta al librettista che i suoi «preti non sono abbastanza preti». Perché l’imperialismo militare alleato alla religione, che conosce solo la legge della guerra e del potere, è la cifra dominante degli egizi. E anche in questa tragedia “africana” trova, nella cultura certamente più antica degli etiopi, il proprio sud, il proprio cuore di tenebra da dominare e sfruttare.
Fare teatro e melodramma è sempre, per Di Florio, un atto politico, e nella storia universale di Aida risuonano mille altre vicissitudini di popoli migranti, di invasori, di oppressori e oppressi. Come quando i romani, discendenti della stirpe di quell’Enea troiano che abbandonò Didone, regina di Cartagine, fecero dell’Africa conquistata la loro prima provincia. E quando nel VII secolo gli arabi invasori sospinsero verso il deserto e le montagne le tribù berbere auctoctone, arrivando in Spagna e in Sicilia. Ma a loro volta all’arrivo dei Normanni dovettero lasciare, dopo tre secoli, la splendida isola, lasciando in eredità quella poesia d’amore, ignota al medioevo cristiano, dalla quale alla corte di Federico II nacque la lingua italiana.
«La scena, sottolinea il regista, rappresenta il cantiere aperto delle grandi opere egiziane» con l’affascinante gioco di geometrie oblique e linee ortogonali delle impalcature, da cui scende il coro. Un fondale di ‘sacchi’ ispirato a Burri evoca il corso del Nilo nel deserto, che schiudendosi lascia intravvedere una grande e misteriosa testa ovale ripresa da Brancusi. «Un rimando, sottolinea Di Florio, al primitivismo caro agli artisti del primo Novecento, più che all’esotismo delle tradizionali messinscena ottocentesche». L’elegante struttura scenica riduce all’essenziale i movimenti di massa, privilegiando l’azione verbale, che si fa musica grazie anche a due passerelle che abbracciano l’orchestra, consentendo ai protagonisti di avanzare verso il pubblico nelle scene più intime.
«Io scrivo come mi pare, e come sento» dichiarava Verdi. E il regista: «Agli interpreti è stato chiesto di pensare alla parola cantata come emanazione di uno stato d’animo concreto, umano, senza eccessi di interpretazione, ma che restituisca il vigore e la bellezza della musica. Ma il tratto più originale della creazione verdiana, aggiunge, è l’attenzione alle figure femminili. La “celeste” Aida (interpretata da Maite Alberola), principessa etiope lacerata tra l’amore per un uomo e quello per la patria, è doppiamente negata nella misura in cui è ancella di Amneris (Daniela Diakova), figlia del Re, e costretta dal padre Amonasro (Giuseppe Garra) a indurre Radames (Dario Prola) a tradire il suo paese, rivelando i piani di guerra».
L’orchestra, composta di musicisti dell’Orchestra sinfonica di Trapani e di quella Nazionale dell’opera di Tunisi, trova un degno complemento nel coro e nel modernissimo corpo di danzatrici e danzatori tunisini, su coreografie di Cinzia Sità. «Nonostante l’impianto trionfale consueto – dice il direttore Andrea Certa – sono convinto che Aida sia un’opera fondamentalmente da camera. È soprattutto il dramma di una donna, nel quale prevalgono le note delicate». E sottolinea come l’integrazione tra professori d’orchestra, elementi del coro e del corpo di ballo italiani e tunisini sia stata spontanea e immediata tanto sul piano artistico quanto su quello umano: «Il linguaggio della musica unisce, e noi contiamo di sviluppare il nostro progetto, che dopo la replica di Trapani prevede di portare Aida negli antichi teatri di pietra che circondano tutto il Mediterraneo. Intanto per la rassegna ‘Dionisiache 2018’, nell’anniversario del 2 agosto eseguiremo nel teatro greco di Segesta la Messa da Requiem di Verdi, dedicata alle vittime della strage di Bologna del 1980».
A noi, della serata di Cartagine rimane nella memoria l’immagine del pubblico che, dopo aver seguito per tre ore con palpabile partecipazione lo svolgimento del dramma, si è congedato con una travolgente standing ovation. Restano, del soggiorno tunisino, i volti delle ragazze che per la strada ci hanno avvicinato desiderose di parlare, lasciandoci tra gli altri il regalo dei loro sorrisi. Il magnifico paese della Rivoluzione dei gelsomini del dicembre 2010, prima scintilla delle Primavere arabe, che da millenni conosce fecondi scambi con la vicina Sicilia, oggi vive una grave crisi economica che incrementa l’emigrazione. Ma tra drammatiche contraddizioni e i gravi episodi di terrorismo che hanno penalizzato l’economia turistica, non si arrende. Rimane la terra d’oltremare aperta ed ospitale che lo caratterizza da sempre.
Nei prossimi giorni la grande macchina scenica costruita in Tunisia, che per quasi un mese ha riunito intorno a sé il lavoro di artigiani e artisti dei due paesi, attraverserà il canale di Sicilia sulla rotta che da troppo tempo vede ripetersi atroci tragedie del mare. Sarà riallestita per la rappresentazione del 19 agosto nella punica Trapani, coraggiosa avanguardia di un mondo umano che non si rassegna ad esistere senza utopie possibili.
Noemi Ghetti
Un’anteprima di questo reportage è pubblicata in ‘Left’ n. 29/2018
Programma del Luglio musicale trapanese – 70a stagione d’opera lirica 2018