Ad Eduardo De Filippo:
drammaturgo, attore, regista, sceneggiatore e poeta
dalle 1000 sfumature.
Con le sue opere in lingua napoletana, ha reso universale il Teatro Italiano.
Tantissime le parole dette e scritte, a giusta ragione, in onore dello straordinario talento del
nostro Eduardo De Filippo.
Il talento di colui che accoglieva i segreti dell’arte del teatro fin da fanciullo, fin da quando, il suo ancor piccolo io – osservando e cercando di capire attraverso la scuola delle tavole della ribalta – era forse già in cerca della perfezione del teatro.
Crebbe, Eduardo, fino ad arrivare ad intuire, con il suo vivissimo sguardo, che avrebbe fatto diventare arte il vero e che il tutto, in una struttura avvincente, avrebbe donato al teatro l’immagine, il ‘doppio’, il duplicato della società universale; ma non sapeva ancora che sarebbe diventato, poi, l’orgoglio del teatro italiano.
Con “Il Teatro di Eduardo” – e grazie all’avvento del piccolo schermo – entrava direttamente nelle case degli italiani lo spettacolo e, soprattutto, il palcoscenico.
Eduardo De Filippo portava, con le sue opere drammaturgiche, la realtà, il grande palcoscenico della vita reale dell’immediato e triste dopoguerra.
La sua carriera fu strabiliante: nascevano con Eduardo le più belle e famose commedie del teatro italiano.
Nato a Napoli il 24 maggio del 1900, fece il suo primissimo debutto all’età di soli quattro anni, impersonando il giapponesino nella parodia dell’operetta «La geisha» (Sidney Jones), scritta da suo padre, il famosissimo attore e drammaturgo Eduardo Scarpetta.
A dieci anni partecipò con la piccola grande parte di Peppeniello nella celebre «Miseria e nobiltà», sempre di Scarpetta, nel 1887. Sulle orme paterne, già a vent’anni scrisse una propria opera prima, un atto unico, dal titolo «Farmacia di turno».
A seguire, tra il ’22 ed il ’25: «Uomo e galantuomo», «Chi è cchiù felice ’e me» e «Ditegli sempre di sì».
Nel 1928, aveva sposato una giovane americana, Dorothy Pennington, ma il matrimonio non attenuò il suo vivo entusiasmo per l’arte: proprio nello stesso anno scrisse «Sik Sik l’artefice magico», abbozzata di getto, in pochissime ore, sulla carta che avvolgeva il suo pane e formaggio, in uno scompartimento di terza classe del treno Roma – Napoli.
Il fervente Eduardo De Filippo (dal cognome della madre, Luisa De Filippo con cui il padre aveva avuto una relazione) smise ben presto di fare l’attore scritturato in altre compagnie teatrali: fondò, con i suoi due fratelli Titina e Peppino De Filippo, la compagnia del Teatro Umoristico “I De Filippo” e con essa arrivò il primo grande successo, grazie alla clamorosa «Natale in casa Cupiello» col debutto al Kursaal (l’odierno Cinema Filangieri di Napoli) il 25 dicembre del 1931.
Con il suo formidabile intuito sorprendeva sempre: sapeva leggere lo stato d’animo della gente, già sapeva come questa avrebbe accolto le sue intelligenti commedie.
Da un suo incontro con l’importante drammaturgo siciliano Luigi Pirandello, il quale aveva una grandissima ammirazione per l’arte scenica di Eduardo, nacque una collaborazione: il nostro grande premio Nobel gli affidò la versione napoletana di «Liolà» ed «Il berretto a sonagli», due opere già famose da lui scritte fin dal 1916, portate in scena da Eduardo nel 1936. La collaborazione continuò, nel 1932 , l’ancor giovane Eduardo iniziò a scrivere insieme al famoso autore siciliano – egli lo chiamava il maestro – una nuova commedia teatrale in napoletano: «L’abito nuovo». Un lavoro, dunque, quest’ultimo, scritto a quattro mani e tratto, ancora una volta, da una omonima e già esistente novella di Luigi Pirandello. Ma, purtroppo, il grande drammaturgo della bella isola di Sicilia, scomparso nel 1936, non ne vide mai la definitiva stesura. La trasposizione teatrale de «L’abito nuovo» concertata dunque da Eduardo De Filippo andò prima in scena, nel 1937, al teatro Manzoni di Milano, mentre, per gli spettatori del piccolo schermo, la versione televisiva andò poi in onda nel 1965, e l’interpretazione del nostro Eduardo fu, come sempre, sublime.
Proseguendo, nel 1940 pubblicò «Non ti pago» e, nel 1945 ci donò, quale capolavoro teatrale, la prima assoluta, al “Teatro San Carlo di Napoli”, della commedia «Napoli milionaria». Il successo fu clamoroso: la nuova compagnia “Il Teatro di Eduardo” commosse e fece piangere il numerosissimo pubblico in sala, tra cui spiccava il celebre poeta, compositore ed attore Raffaele Viviani.
Nell’ancora tanto vicino 1962, gli spettatori da casa, come chi scrive – ricordo con affetto le serate in cui la mia famiglia accoglieva gioiosamente ospiti e telespettatori occasionali che si riunivano per vedere il Teatro di Eduardo – alla fatidica frase (che chiudeva la triste commedia) “… hadda passà ’a nuttata!”, restavano commossi, pensosi ed immobili, legati alla poltrona, e sedie, e sgabellini… senza parlare, come a rispecchiarsi ancora in quel triste palcoscenico. Ed io sentivo, in quel giusto momento, il silente pianto del mio papà… e piangevo con lui.
Il nostro ‘palcoscenico reale’ di quel funesto periodo approdò e commosse ovunque e, già nel 1950, della stessa «Napoli milionaria» fu fatta una prima versione cinematografica, cui Eduardo contribuì grandemente, sia alla sceneggiatura che alla importante scelta del cast.
Infatti, per l’occasione, creò molte scene e personaggi assenti nella stesura originale della commedia: è questo il caso di Pasquale Miele, creato apposta per essere interpretato dal grandissimo Totò nell’importante parte del finto morto, parte che sebbene fosse già presente nella stesura teatrale della commedia (era interpretata dallo stesso Eduardo nel ruolo di Gennaro Iovine), fu fortemente rielaborata. Sul grande schermo, infatti, Totò era sì, un finto morto, però – a differenza che nella versione teatrale – veniva preso in affitto per nascondere sotto il proprio lettone un sostanzioso traffico di borsa nera; realtà che vigeva appunto a Napoli nell’immediato, tristissimo, dopoguerra.
Eduardo e Totò si conoscevano molto bene, si stimavano e si frequentavano ed il loro rapporto lavorativo fu bello ed importante.
Dopo poco più di un anno, il prolifico Eduardo scrisse «Questi fantasmi», altra commedia ricca di particolari folkloristici, portata in scena dalla Compagnia con Titina De Filippo nel 1946 e che si distingue per il famosissimo lungo colloquio che il protagonista Eduardo (Pasquale Loiacono) tiene dal balcone con un ipotetico professore dirimpettaio che, nel corso della commedia non compare mai, in realtà.
Come per magia, un altro lampo di genio ed ecco Eduardo a creare ad arte per la propria amata sorella Titina la celeberrima «Filumena Marturano», rappresentata per la prima volta nel 1946 al Teatro Politeama, successo clamoroso che commosse grandemente il pubblico. Commedia poi trasposta anche nella versione cinematografica, interpretata sempre dalla sublime Titina, affiancata questa volta da Tina Pica, un’altra grandissima artista del teatro napoletano – ed oltre – nella parte di Rosalia. Tale opera venne poi translata anche in versione televisiva in cui il ruolo di protagonista venne impersonato dalla bravissima ed anch’essa indimenticabile Regina Bianchi.
L’opera «Filumena Marturano», con un bagaglio ricchissimo di consensi, approdò in tutto il mondo (tradotta in numerose lingue): nel 1950 in Argentina, nel 1958 a Mosca, nel 1977 a Londra, con la grande regia di Franco Zeffirelli, e nel 1979 giunse finanche ai teatri di Broadway, con la regia di Laurence Olivier, interpretata dalla moglie, Joan Plowright.
Oggi, dopo oltre 70 anni di ininterrotto successo, come fosse sempre la prima volta, la amiamo, ancora, nelle sue meravigliose e numerose interpretazioni, italiane e straniere, teatrali, cinematografiche e televisive: dalla «Filumena Marturano» di Titina De Filippo, a quella di Regina Bianchi (1962) e poi di Sophia Loren, in ben due versioni cinematografiche (“Matrimonio all’italiana”, 1964, regia di Vittorio De Sica, e “Sabato, domenica e lunedì”, 1990, in versione diretta dalla nostra Lina Wertmuller, freschissimo Premio Oscar).
E poi ancora nelle versioni di Pupella Maggio, Isa Danieli, Valeria Moriconi… fino ad arrivare ai giorni più vicini a noi, con le pluripremiate Lina Sastri (2009), Mariangela Melato (2010) e Mariangela D’Abbraccio (2018).
Il meraviglioso e severo Eduardo, dopo aver vissuto eccellenti esperienze cinematografiche, nel ’47 comprò, investendo tutti i suoi guadagni, il “Teatro San Ferdinando” di Napoli, che purtroppo per ragioni burocratiche ed economiche fu ultimato solo nel ’57. Sebbene il teatro non presentasse ancora la sua veste attuale, in quegli stessi anni Eduardo ben lo utilizzò come importante luogo per fondare la compagnia «La Scarpettiana», con la quale si riproponevano i capolavori della tradizione napoletana tenendo a battesimo – e preparando ulteriormente – nuove generazioni di attori; in quel contesto fu anche regista per altri lavori teatrali.
Inoltre, nello stesso teatro, con il regista Gennaro Magliulo, debuttò il figlio Luca (1948- 2015) – nato dal secondo matrimonio di Eduardo con Thea Prandi – attore e regista teatrale italiano e Premio Vittorio De Sica. Interessante sapere che da questo secondo matrimonio di Eduardo nacque anche una secondogenita, Luisella, morta a soli dieci anni, nel 1961.
Nonostante il “Teatro San Ferdinando” occupasse una grossa fetta del suo tempo, la vena creativa di Eduardo non conobbe freni neanche in questi anni: nel ’48, ci fece dono di un’altra famosissima commedia, «Le voci di dentro», nel ’60, de «Il sindaco del Rione Sanità» ed ancora, ed ancora… di tante altre famose commedie, come ad esempio «La grande magia» (che risale al 1949).
Da quest’ultimo lavoro teatrale venne ricavata una riduzione televisiva messa in onda nel 1964, poi ripresa e messa in scena al “Piccolo Teatro di Milano” nel 1984-85, grazie al noto regista teatrale Giorgio Strehler che in merito al nostro insigne commediografo ebbe a scrivere: “…È stato il più grande Autore italiano del ’900 dopo Pirandello”.
Eduardo, attore sommo ed autore sensibile e straordinario, scrisse – dividendole, poi, in due raccolte – «Cantata dei giorni dispari» e «Cantata dei giorni pari»: oltre cinquanta commedie, alle quali prese parte come protagonista e regista.
Compose inoltre moltissime, e molto significative ed apprezzate, poesie. I suoi giorni procedevano intensamente e perfino in tarda età, nonostante gli acciacchi degli anni (già dal ’74 era portatore di pacemaker), continuò la sua straordinaria opera teatrale. Nel 1976 fu invitato a presiedere un comitato per le onoranze alla scrittrice Matilde Serao (1857-1927). La stimava molto fin da giovanissimo ed accettò con infinito entusiasmo. Eduardo aveva sempre molto amato l’antica, schietta, sentimentale e vera Napoli da lei descritta nei suoi famosi libri, quella Napoli che lui da sempre adorava e con cui, ora, da grande viveva purtroppo un tormentato rapporto d’amore, e, grazie all’arrivo di questo evento, colse finalmente anche l’occasione per realizzare un suo antico ed amato progetto: creare uno spettacolo atto a stabilire una continuità, un legame storico tra «Il paese di cuccagna» (1890), appunto della Serao, e la sua «Napoli milionaria» (1945), con il quale avrebbe, inoltre, potuto instaurare, ne era sicuro, il rapporto per una definitiva riappacificazione tra lui, Eduardo, e la sua amatissima città. Un superbo progetto di spettacolo di grande attualità – dovuto poi, purtroppo, e con infinito dolore dell’autore, rimanere nel cassetto – scritto dal noto scrittore Antonio Ghirelli (1922-2012) e sceneggiato dall’eccellente sceneggiatrice e costumista internazionale Raimonda Gaetani (1942).
Nel 1983, con estrema serenità e coraggio mise in scena, trasponendola prima in un perfetto ed affascinante napoletano del Seicento, prezioso lavoro di filologia linguistica, la famosa opera «La tempesta» di William Shakespeare, quello Shakespeare che Eduardo fin da ragazzo (aveva solo quattordici anni) amava e per il quale si struggeva gli occhi – per leggerlo, appunto – fino a notte fonda… e che solo ora, con sottile ironia ed abile ed a volte spietata sagacia, aveva potuto tradurre e mettere in opera con straordinario successo.
Raccolse in vita numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali: il “Premio Pirandello”, nel 1974, ben due lauree honoris causa in Lettere (rispettivamente all’Università di Birmingham, nel 1977, ed all’Università degli Studi di Roma la “Sapienza” nel 1980), la candidatura al Premio Nobel per la letteratura, nel 1975, e, per i suoi infiniti meriti artistici e contributi alla cultura, nel 1981, la nomina a Senatore a Vita.
Morì a Roma il 31 ottobre 1984. Nella ‘Città eterna’ aveva trascorso i suoi ultimi anni, con accanto la sua terza moglie, Isabella Quarantotti, scrittrice e sceneggiatrice di grande talento che aveva sposato nel febbraio del 1977.
Eduardo, quell’attore, poeta, regista, sceneggiatore e commediografo dalle mille sfumature, quel volto che sulle scene sapeva essere così tanto pregno di mille umori, mostrava molto spesso nella vita una faccia severa, anche con se stesso…
Eppure, quella stessa faccia, in cui tante volte erano evidenti il disappunto, l’amarezza e la malinconia, amava tanto, a mio modesto avviso, anche la solitudine, quel silenzio in cui poteva ben riflettere per dare forma e colore, e calore, sul palcoscenico, alla umana vita.
Concetta Ripoli Scherillo