Il grido d’allarme è partito dalla rivista “Il Mulino” (15 Dicembre 2013, n° 6): Un appello per le Scienze Umane, lanciato da un nutrito gruppo di ben noti esperti di comunicazione, docenti e scrittori. Ed è stato subito un segnale per riaccendere la vecchia polemica tra i cultori delle scienze e gli umanisti che puntano da tempo al recupero della lettura dei classici e del sapere antico, ma non sono contro la modernità e il primato della scienza.
Dopo la famosa Querelle des Anciens e des Modernes nel Seicento[[Polemica nata nell’Académie Française tra Boileau che considerava l’arte classica come imitazione degli antichi e Perrault che invece sosteneva la necessità d’un profondo rinnovamento ispirato alla contemporaneità. Cfr. M. Fumaroli: La Querelle des Anciens et des Modernes, Paris, 2001.]], riguardante i canoni estetici dell’opera creata, la discussione sul confronto tra antico e moderno si è riaperta, nella seconda metà del Novecento, per opera del saggio dell’inglese Charles Percy Snow, noto anche per altre opere, Le due culture e la rivoluzione scientifica (Milano, Feltrinelli, 1965), per il quale gli esperti a lungo si divisero in merito ai vantaggi dell’educazione classica rispetto a quella scientifica, citando gli effetti ora dell’una ora dell’altra.
In verità oggi la questione, che si riteneva ormai superata, ribadisce che il sapere scientifico ha fatto molta strada e che ancora non ha ben fissato le interrelazioni con la cultura umanistica: occorre trascurarla perché considerata fuori tempo o innestarla come principio vitale di tutto il sapere? La conoscenza dei classici è fondamentale per la preparazione della struttura culturale e mentale dell’individuo, affina il carattere ed offre un valido metodo di studio che serve a successive scoperte in tutti i campi. Da tempo lo ribadisce il filologo Luciano Canfora che insiste sull’opportunità degli studi classici per la formazione dei giovani prima della scelta d’ogni professione.
S’avverte l’esigenza che sia attuata infatti un’osmosi tra saperi umanistici e scientifici, cosa che non è ancora avvenuta. Da qui il ritorno della polemica che si aggrava per via della crisi attuale. I giovani sembrano spaesati, colpa forse della politica che non interviene ad aiutarli né con riforme adatte ad incrementare la didattica scolastica, né con piani di sviluppo adeguati ad affrontare le sfide del presente.
Tra gli accusatori più critici Massimo Adinolfi, docente di Filosofia teoretica e autore del saggio: Continuare Spinoza (Editori Internazionali Riuniti) dice:
“Se il patrimonio storico finisce nel dimenticatoio, come sta accadendo, si perdono le coordinate della vita pubblica. E poi ci troviamo ad essere governati da partiti come quelli attuali, formazioni senz’anima e senza storia.”
Il sociologo Luciano Pellicani considera praticamente arretrata la questione e ritiene che, nell’attuale sistema, ad essere penalizzata è la ricerca scientifica che dovrebbe invece dare nuovo slancio alla formazione giovanile ed allo sviluppo del lavoro.
Roberto Esposito, docente di Storia delle Dottrine politiche e di Filosofia morale, altro firmatario dell’appello sul “Mulino”, afferma che la classe dirigente italiana ha spesso attribuito poco peso alla tradizione culturale umanistica per cui oggi ci ritroviamo con un ricchissimo patrimonio artistico culturale che va alla deriva, senza che nell’altro versante scientifico ci siano seri sbocchi per incrementare le risorse del paese e scoraggiare i giovani dalla diaspora.
Così questionando però, si confermano le fratture che avrebbero dovuto da tempo essere sanate. Mantenere le distanze tra gli opposti livelli di studi significa aumentare il disagio e la sfiducia di chi deve maturare una coscienza del sapere e del fare.
Occorre più che mai un’osmosi che si avvalga dell’integrazione degli studi per cui lo scienziato può nel contempo essere un valente umanista e sapere esplorare il campo oggettivo e quantitativo dopo aver imparato a conoscere la soggettività con tutto quel che è connesso di emotività e creatività.
L’iniziativa dell’Accademia Vivarium Novum
Appello all’UNESCO per il riconoscimento delle lingue classiche (latino e greco) come “Patrimonio immateriale dell’Umanità”
L’Accademia italiana di Vivarium Novum ha fatto bene a proporre all’Unesco, insieme ad altri istituti, di nominare le lingue latina e greca, considerate come elemento unificante della civiltà occidentale, patrimonio culturale dell’umanità, non solo europea, ma extra europea.
Si legge su Internet (http://vivariumnovum.net/unesco/it.html) l’appello, che tutti possono controfirmare e diffondere, nel quale si spiega che “i futuri uomini colti del nostro continente rischiano d’ignorare quasi del tutto il passato in cui affondano le realtà della nostra civiltà e del nostro pensiero”.
L’Italia è lo scrigno simbolico e il crocevia delle culture e delle lingue classiche e come tale deve coinvolgere tutti i settori della sua cultura ad attivarsi per difendere questo suo prezioso patrimonio. E’ necessario che l’Europa recuperi la consapevolezza della sua identità culturale e non dimentichi la civiltà che l’ha prodotta.
Recentemente anche gli Stati Uniti sono intervenuti a riconoscere l’importanza dell’umanesimo, pur se da tempo hanno sviluppato il sapere scientifico, perché l’una via d’apprendimento non esclude l’altra, ma l’ingloba e la completa. Martha Nussbaum, filosofa e studiosa di filosofia greca e romana presso l’Università di Chicago, autrice di molte opere tra cui “La fragilità del bene” [[Martha Nussbaum, The Fragility of Goodness, 1986, 2001]],edito da Il Mulino 2011, che la rivelò al grande pubblico internazionale, prende le mosse dal Simposio di Platone per ribadire che la cultura classica forma gli individui ad essere “cittadini del mondo” e li induce a pensare autonomamente, a criticare ed a comprendere le esigenze degli altri ed a mantenere la democrazia. Da qui la possibilità di sviluppare un fecondo dibattito e intervenire a modificare i piani programmatici per il futuro dei giovani.
Gaetanina Sicari Ruffo