Su Missione Poesia e per l’8 marzo, parliamo di Cinzia Marulli e del suo ultimo libro, “Autobiografia del silenzio” (La Vita Felice, 2022), nel quale l’autrice, per sua stessa confessione, ci racconta attraverso la poesia, di un’esperienza subita nell’infanzia, oggi superata e divenuta testimonianza di ritrovato coraggio da trasmettere a chi dovesse vivere analoghe situazioni. L’idea di far uscire l’articolo in corrispondenza della Giornata Internazionale della Donna, nasce dal fatto di sottolineare ancora una volta, quanto il dramma della violenza di genere e sui bambini sia, purtroppo, tristemente attuale così come ho evidenziato in diversi miei lavori sia in prosa che in poesia.
*****
Cinzia Marulli è nata il 6 marzo 1965 a Roma dove vive e lavora. Organizza e coordina eventi e incontri culturali con la finalità di diffondere la poesia. È curatrice della collezione di quaderni di poesia Le gemme (Ed. Progetto Cultura) e della sezione di poesia ispano-americana della collana Labirinti (Ed. La Vita Felice) insieme al poeta cileno Mario Meléndez. Ha fondato e cura il blog letterario ParolaPoesia. Ha partecipato a vari festival internazionali di poesia in Italia e all’estero e le sue poesie sono state tradotte in arabo, cinese, francese, greco, inglese e spagnolo e pubblicate in Cina, Bolivia, Colombia, Ecuador, Honduras, Messico. Nel 2021 è stato pubblicato in Spagna il suo libro di poesie El sentido blanco de las nubes per le Edizioni Valparaíso con traduzione di Emilio Coco. In collaborazione con il Gatestudio Records ha realizzato progetti di video arte. Nel 2014 ha vinto il “Premio Prata alla cultura” e nel 2016 ha vinto la 1^ edizione del Premio di Poesia “Casa Museo Alda Merini” con la silloge La casa delle fate. Tra le sue pubblicazioni: Agave (LietoColle 2011); Las Mantas de Dios – Le coperte di Dio (Ed. Progetto Cultura 2013); Percorsi (La Vita Felice 2016); La casa delle fate (La Vita Felice 2017); El sentido blanco de las nubes (Edizioni Valparaíso 2021). L’ultimo libro di poesia pubblicato è Autobiografia del silenzio. L’orco e la bambina (La Vita Felice, 2022).
Conosco Cinzia Marulli come autrice e organizzatrice di eventi da diversi anni ma la incontrerò per la prima volta a Bologna, avendola invitata a presentare il suo libro, nel mese di marzo di quest’anno, all’interno della rassegna Un thè con la poesia, ormai nota anche ai lettori di questa rubrica. Ho sempre apprezzato il suo lavoro di divulgazione della poesia, in particolare anche di quella ispano-americana in Italia, nonché la sua produzione poetica. Quest’ultimo libro mi ha particolarmente colpito perché affronta argomenti tragicamente reali e attuali, che anch’io ho trattato in diversi miei scritti, sia in poesia che in narrativa, e perché è un’opera con la quale lei stessa ha saputo presentare un percorso biografico molto difficile da condividere, e lo ha fatto con la grazia e la leggerezza, affatto scontate, che la sua sensibilità e la sua scrittura le hanno consentito.
Autobiografia del silenzio. L’orco e la bambina.
Alcuni anni fa, sulle pagine di questo sito, [VEDI QUI IL LINK], mi sono occupata del libro “L’amore rubato” scritto da Dacia Maraini (Rizzoli, 2013) proponendo anche un’intervista esclusiva della scrittrice sul tema della violenza di genere. I racconti proposti dalla Maraini partivano tutti da storie realmente e tragicamente accadute e, in un paio di casi, le protagoniste della violenza erano bambine, una violenza subita tra le mura di casa o comunque con il coinvolgimento di qualche adulto a loro vicino. La drammaticità di queste storie era aggravata dal fatto che fossero reali e che, se pure rivisitate dall’immaginario della scrittrice, tutte potessero essere ricondotte a esperienze vissute e riconoscibili, e ancora riconducibili ad altre simili raccontate dalle cronache.
Così la storia della violenza che subiscono le due sorelline, per anni sedotte e violentate nel loro letto, da parte del compagno della madre, sino a far loro raggiungere uno stato di devastazione tale da non potersi più riprendere, perdendo la stima di sé stesse che le porterà a diventare ninfomani, buttando via quello che restava del loro essere; o la storia di quella bellissima bambina, idolatrata dal padre manager, che la conduce ai concorsi di bellezza, creandone una star prima del tempo, e causandone la morte per stupro da parte di un vicino di casa, attratto dalle sue fattezze… diventano i prototipi di una violenza perpetrata a danni di minori che, nel migliore dei casi, li segnerà profondamente e, quasi sempre, li accompagnerà per il resto della vita. Nell’intervista che mi rilasciò all’epoca la Maraini, una delle domande riguardava il suo pensiero circa il genere di scrittura da poter utilizzare per raccontare queste violenze, ovvero se pensava che se ne potesse parlare anche in poesia. La sua risposta fu positiva e mi portò gli esempi di Sylvia Plath e di Alda Merini che lo avevano fatto con grande coraggio ed efficacia.
Oggi, ne ho una ulteriore conferma, con la lettura del libro di Cinzia Marulli Autobiografia del silenzio nel quale l’autrice, per sua stessa confessione, ci racconta di un’esperienza vissuta, ma soprattutto subita nell’infanzia, proprio attraverso la poesia.
In tre sezioni che rappresentano Il prima, il durante (L’orco e la bambola) e Il dopo, e un testo finale, assistiamo all’evoluzione di una vicenda e ai cambiamenti di un atteggiamento verso la vita che ha superato le fasi della ferita, della vergogna, del silenzio, per diventare testimonianza e infondere coraggio a chi possa aver subito, o dovesse subire analoghe situazioni. Ma c’è un altro aspetto che vorrei sottolineare nell’opera di Cinzia Marulli, ovvero il fatto che certi passaggi dei suoi testi sembrano rasentare la fiaba, e questo ha a che fare soprattutto con la poetica del libro oltre che con la sua struttura. Non è da sottovalutare infatti, a questo proposito, il pensiero di Novalis che attribuisce alla poesia lo statuto di fiaba perché, quest’ultima, implica una visione onirica delle cose che capovolge quella scientifica, la esorcizza, la supera e restituisce al mondo il suo significato originario. Se ci pensiamo bene nella fiaba il protagonista deve affrontare sempre una pericolosa prova che lo porta al liminare del bosco (ovvero della vita, qui è certamente la violenza subita), che deve combattere con un antagonista, non a caso questo può essere rappresentato da un orco (qui l’orco esiste davvero), viene aiutato a superarla da un aiutante magico (qui sono le bambole mute, compagne del segreto e del silenzio), sconfigge il male e, pur rimanendo segnato dall’accaduto, supera la prova, che spesso lo porta vicinissimo alla morte, anche se non sempre vivrà “felice e contento”.
Le prove dell’eroe e dell’eroina della fiaba nascondono sempre problematiche sociali forti: pensiamo a Cappuccetto Rosso (che nasconde la pedofilia) o a Pelle d’Asino (che nasconde l’incesto) ma anche a Pinocchio che, pur essendo un romanzo, pesca molto dal fiabesco sempre orientato com’è a prove che possono costargli la vita. Ebbene qui, in Autobiografia del silenzio, la dimensione della ferita inferta con lo stupro – sia fisica che psicologica – e quella del superamento della prova, si conciliano molto con l’attraversamento di quel liminare che sta tra la vita e la morte, così come l’andamento del libro stesso è sicuramente fiabesco. Non saprei dire se questo percorso così affrontato sia frutto di una consapevolezza e di una volontà dell’autrice, ma poco importa ai fini della nostra analisi. Resta la valenza di una scrittura che ha saputo coniugare i due generi fondendoli in un testo di estrema liricità, capace di raccontare un male originario e terribile, ma altresì la ricerca inevitabile del bene che, sempre, l’animo umano si aspetta di ricevere, per dirla con Simone Weil, e che conduce al perdono riconciliante con la vita stessa.
Ritornando quindi alle tre sezioni del libro vediamo come in quella denominata Il prima ci si presenta davanti la stagione dell’infanzia con le sue speranze, con i momenti vissuti e contornati dall’amore della famiglia, con i ricordi delle festività, dei luoghi frequentati tra i quali troneggiano la scuola e alcuni angoli di Roma, dei vestiti di bambina indossati: Il grembiulino della scuola bello inamidato, stirato dalla mamma con tutto l’amore del mondo…; La domenica col vestito buono, le scarpette lucide di rosso Guernica e i calzettoni bianchi traforati…; A dicembre arrivava sempre il vestitino nuovo comprato nel negozietto vicino Fontana di Trevi…;
Colpisce la forma usata per questa prima parte, che si assesta intorno a una prosa poetica, forte di un escamotage narrativo che prelude a un più ampio respiro per poi ritirarsi in una sintesi schematica di versi, tra distici e terzine, che introducono alla seconda parte dell’opera, quella centrale, quella dove si compie l’atto irreversibile della violenza, dove il male si presenta in tutta la sua arrogante prepotenza: L’orco e la bambola. Non c’è una sola parola di questi testi che non contenga un fremito, che non stravolga la visione quasi idilliaca dei passaggi precedenti, che non porti con sé, insieme alla paura, la consapevolezza dell’impotenza e della necessità di un silenzio primordiale dove rifugiarsi per non soccombere. Siamo tutti coinvolti nell’oscenità dei gesti, nel terrore degli sguardi, nella fuga febbricitante, nel ricovero del grande letto, nella compassione delle bambole mute e adesso anche private degli occhi per non far loro più vedere l’orco cattivo che le spoglia nude/ fino alla pelle gelata di paura. Siamo tutti deflagrati nel corpo e nella coscienza di non aver saputo salvare quella bambina.
Ma, quella bambina, fortunatamente si salverà da sola. Lo capiamo nella terza parte del libro, Il dopo. Qui, non senza ulteriore dolore, a passi lenti, scavando nella propria interiorità per molto, molto tempo, si sconfina nella consapevolezza di una necessità nuova: quella di far prevalere il desiderio di vivere alla luce del sole, di dare voce a quella bambina rimasta troppo a lungo in silenzio, di condividere la terribile esperienza elaborandola nella dimensione catartica della poesia: Quello che è stato è stato/il male è indietro//la vita ha vinto sulla vita/dall’interno la luce/ha dipinto il sole/la cicatrice//nessuno ha potuto offuscare/l’amore…
Così come ogni dolore dell’infanzia di tutti i tempi, spesso maltrattata e umiliata, lambita nei suoi più intimi sensi dal male degli adulti (e altrettanto spesso senza riuscire a salvarsi), è un dolore potente che non prevede vie brevi di percorrenza ma deve essere attraversato sino in fondo – come il famoso liminare del bosco fiabesco – allo stesso modo la bambina di questa storia ha percorso il suo dolore facendolo diventare lo scudo per difendersi dall’odio, il primo mattoncino di una strada che ha portato al perdono, a quella dimensione necessaria del vivere bene nel mondo. E noi, con lei, torniamo almeno per questa volta, a respirare.
Alcuni testi da: Autobiografia del silenzio
non c’era sapone – niente acqua –
per lavare via
l’ombra sudicia sulla pelle
la pelle impaurita di carezza
che ha il volto mostruoso di satana
ma la bambola le ha dimenticate
quelle mani sporche
che l’hanno portata nel silenzio
interno delle costole
il suo biancore immenso rende luce
tra quel nero
e l’avvolge nel suo stesso bene
quel bene ha per combattere
quella pura essenza di bambina
con gli occhi aperti e il pudore
il pudore tanto di sentirsi profanare
niente reggerà il peso del mondo
– atomi più grandi delle molecole –
ognuno trova poi il suo riparo
quel luogo sicuro e sacro dove
non sentire
***
Le bambole
sono tutte in fila sul letto
a tutte quante
la bambina cattiva
ha tolto gli occhi
al loro posto due fori neri
come pozzi senza fondo
Le bambole però sono contente
di non poter più vedere
l’orco cattivo che le spoglia nude
fino alla pelle gelata di paura
***
I giochi di notte tagliano i pensieri
l’aria immobile del terrore
qualcosa non va nello sguardo
della bambola
ha le lacrime rosse di sangue
***
C’è sempre quella bambola
con i capelli lucidi di nylon
e le gambette sporche di tempo
Ha ancora le braccia aperte
in attesa di un abbraccio
e il viso macchiato di paura
con un buco nell’occhio destro
per non vedere l’uomo nero
e una piccola sfera celeste in quello sinistro
per guardarsi fuggire nel sereno della morte.
***
alla bambola hanno tagliato tutti i capelli
brutta così non la vuole neanche
l’orco cattivo
ora la bambola è felice
e riesce perfino a giocare.
Bologna, 2/03/2023
Cinzia Demi
“MISSIONE POESIA” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. Biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinziademi@gmail.com