Ogni artista del mondo gli deve qualcosa: Bob Dylan è il musicista, è il poeta, è la fantasia e l’estro che diventano sociale e politico. La sua elegia da decenni è in prossimità di un Premio Nobel che non arriva mai. Per comprendere a fondo il suo mezzo secolo che ha appassionato e impressionato intere generazioni, in ogni angolo del mondo, può bastare il celebre paradigma di Bruce Springsteen: “Elvis Presley ha liberato il nostro corpo, Bob Dylan la nostra mente”.
Il suo singolare porsi sulla scena del mondo (oltre che nei concerti) non lascia spazio a retoriche e a critiche strumentali: può cantare e ricantare, stravolgendoli, i suoi innumerevoli brani, può incidere dischi con canzoni natalizie e finanche, come di recente e in questi concerti, reinterpretare Frank Sinatra. Da oltre vent’anni il suo “poetar cantando” gira le piazze del mondo (con poco meno di cento concerti all’anno) sfidando il tempo che passa, e a 74 anni, con tanta musica e poesia, ma anche cinema e erudizione (pensi a Sant’Agostino), giunge a noi quasi volesse nascondere la sua introversa e gigantesca personalità. E lo introduce, nella incandescente Piazza Napoleone di Lucca, il suo alter-ego italiota, forse colui che più di altri ne ha subito il fascino e la poetica, Francesco De Gregori, omaggiandolo, ispirandosi, ma non lo ha mai emulato né derubato.
Fu Bob Dylan nel 1998 ad aprire la prima edizione del Lucca Summer Festival, ed ora vi ritorna, per due ore di concerto, dopo che De Gregori e il suo collaudato gruppo lo introducesse con un’ora di canzoni del suo altrettanto (per noi) maestoso repertorio …
Questi i brani delle tre ore di concerto, nella incandescente Piazza Napoleone. De Gregori ha cantato: Il Canto delle sirene, Ti leggo nel pensiero, Finestre rotte, Viva l’Italia, Il panorama di Betlemme, Leva calcistica del ’68, La testa nel secchio, Niente da capire, Buonanotte fiorellino, Sotto le stelle del Messico, La donna cannone, Rimmel.
No, chi sperava (e forse anche noi) che il “Maestro” e l’“Allievo” si potessero incontrare sul palco di Lucca, è rimasto vagamente deluso; ma solo un po’: a quella età e con cumuli di bagagli e di esperienze non si poteva sperare che “duettassero, o magari si salutassero soltanto come farebbero altri. Sono di altra pasta costoro. De Gregori ha solo detto, chiudendo il suo prologo (ben riuscito): “Ora vi lascio in buone mani”…
E così Bob Dylan si offre alla platea, in quasi diecimila in religioso e talvolta frastornato ed emotivo silenzio. La sua voce, sebbene sempre più gracchiante e comunque graffiante, era vivida, sia nei pezzi più blues (“Early roman kings”) sia in quelli omaggio come “Full moon and empty arms” e “Autumn Leaves”. Qualcuno avrà pure pensato che “le foglie morte” così cantate farebbero rivoltare Yves Montand che interpretò i versi di Prévert. E invece no: Dylan omaggia la cultura europea, e poi i grandi come Sinatra, rendendo umile servizio alla cultura musicale di ogni tempo. Ha chiuso il concerto con una nuova metamorfosi di “Blowin in the Wind”, forse con l’intimo invito a rinnovarci anche noi; la sua mitica canzone che riconosciamo solo dai testi. Ma il Poeta è così, è fuori dagli schemi e dagli emuli, prima di se stessi.
Bob Dylan, con la sua straordinaria (quanto collaudata) Band, fra armonica e pianoforte e quasi sempre al nudo microfono, con scenografia da crepuscolare set cinematografico, ci ha regalato: Things Have Changed, She Belongs to Me, Beyond Here Lies Nothin’, Workingman’s Blues, Duquesne Whistle, Waiting for You, Pay in Blood, Tangled Up in Blue, Full Moon and Empty Arms, High Water (For Charley Patton), Simple Twist of Fate, Early Roman Kings, Forgetful Heart, Spirit on the Water, Scarlet Town, Soon After Midnight, Long and Wasted Years, Autumn Leaves, Blowin’ in the wind, Love sick.
Armando Lostaglio