L’haiku nelle sue moderne rivisitazioni con Lorena Montini e Marco Mezzetti.

Questo numero di “Missione poesia” è dedicato alla cultura dell’haiku ed in particolare a due autori italiani contemporanei, Lorena Montini e Marco Mezzetti, che hanno utilizzato questo genere di poesia per elaborare i propri testi. Sono due autori molto diversi tra loro e impareremo a conoscerli. Ma, prima, è necessario fare una piccola precisazione per chi non sapesse o non ricordasse a quale forma poetica ci riferiamo quando parliamo di haiku.


cinziahaiku-1.jpg

Questa forma di componimento nasce in Giappone all’interno del 1600 e si caratterizza per la sua suddivisione in tre soli versi, per rispettive 5 – 7 – 5 sillabe ciascuno, per un totale di 17. Gli argomenti trattati da questi testi hanno a che fare con la natura e le stagioni e, data la brevità che li caratterizza, devono essere subito portatori di simboli e immagini facilmente visibili. Nell’ultimo verso, che prende nome di kigo, viene rappresentato di solito il riferimento stagionale ovvero viene data un’indicazione sulla stagione dell’anno a cui si riferisce il momento a cui è dedicato l’haiku stesso (un es: lucciole per l’estate).

A dire il vero, nella letteratura giapponese, gli Haiku rappresentano una parte molto importante e caratteristica dell’essenza culturale e tradizionale del luogo dato che alla base di questa dimensione poetica c’è la convinzione di non possedere un linguaggio adeguato rispetto al compito fondamentale del poeta: quello di testimoniare la verità. Dimensione che chiaramente riporta alla cultura Zen laddove l’intento è di tornare ad un linguaggio essenziale, ad una vera e propria essenza della forma comunicativa. Dall’altro canto, da quello del contenuto, la stessa cultura aderisce all’idea che nessuna manifestazione della realtà possa o debba essere tralasciata dato che in ognuna di esse è contenuta una forma di energia vitale in movimento.

È proprio questo movimento che l’haiku cerca di esprimere formulando, con le poche sillabe usate, l’esigenza umana di sentirsi in comunione con la natura. Comunione che non è solo mera descrizione, ma si fa visione del mondo in quanto testimone del proprio tempo.

Per la cronaca, questo tipo di componimento, diversamente da quanto si potrebbe pensare, è stato ed è tutt’ora praticato in tutto il mondo – del resto poeti illustri come Borges, Claudel, Sanguineti, Zanzotto ne hanno lasciato vari esempi.

In Giappone si calcola che più di dieci milioni di persone si diletta a scrivere Haiku. Ci sono attivissimi gruppi di poeti (chiamati Haijin) che si riuniscono per parlare di Haiku. Tutte le maggiori riviste e quotidiani giapponesi hanno una rubrica dedicata agli Haiku.

Vediamo adesso come i due autori hanno declinato questa metodologia di scrittura alla propria visione poetica, secondo le proprie tendenze, la propria sensibilità, il proprio modo di raccontare il mondo. Scopriremo come si possa fare poesia anche con modalità estreme, di stravolgimento di contenuti o rigidità schematiche, ma sempre restando all’interno di un certo e consolidato canone poetico.

Gli haiku eretici di Lorena Montini

ho una scrittura verticale
– da sempre
scrivevo haiku senza saperlo
continuo –
anche ora che lo so

cinziaupkpfa5xljie3bzlav41k57hn4os7zfidyftvpc9gem=--.jpg

Una poetessa schiva Lorena Montini di Cremona. Di lei si sa veramente poco. Non ama parlare di se stessa e farsi pubblicità. Sono riuscita ad avere queste brevi notizie biografiche. Lorena collabora con varie realtà culturali del territorio cremonese sia come artista sia come organizzatrice di eventi. Da molti anni scrive nella particolare tecnica poetica dell’haiku, di derivazione giapponese. L’opera “57 Haiku” (Tapirulan, Cremona, 2012) è la sua prima raccolta poetica edita. Membro dal 2006 dell’Associazione culturale Tapirulan, è responsabile dell’omonimo concorso di poesia inedita e della rassegna “Autori del sabato”. Le sue esperienze artistiche comprendono: nel 2011 l’esposizione delle poesie relative alla presentazione del progetto cultural/fotografico TIME; nel 2012 la partecipazione alle “Corde dell’anima” a Cremona con la presentazione del libro “57 haiku”; nel 2013 la partecipazione all’evento “Eros in mostra” a Cremona.

57 Haiku. Sono davvero “eretici” gli haiku di questo libro di Lorena Montini?

cinziatap_57_haku.jpg

Il libro che rappresenta la Montini in quanto scrittrice di haiku – come leggiamo nel testo che lei stessa indica come suo emblema poetico – intitolato semplicemente “57 HIUKU”, è stato edito per Tapirumè (Digitalprint) nel 2012 , un servizio dell’Associazione Tapirulan di cui fa parte l’autrice, riservato agli autori di poesie, racconti, romanzi e saggi che desiderano autoprodursi la propria opera. Nella prefazione alla raccolta Alberto Manzoli parla di haiku eretici. E vedremo perché, specialmente dopo aver – se pur brevemente – raccontato in quale canone letterario rientra la sua poetica formale, e dopo aver cercato di capire il significato che Lorena ha voluto dare, raccontare, condividere con i suoi lettori: la sua visione del mondo, delle cose, della realtà racchiusa in questi brevissimi e densi componimenti.

Come detto il prefatore si esprime definendo gli haiku della Montini come eretici e questo, prima di tutto, perché non scrivendo in ideogrammi giapponesi – così come ogni altro autore che non faccia parte di quella cultura – essa “paga un pegno senza scampo” in quanto è difficilissimo, in uno spazio sillabico così breve, rendere un contenuto sensato – se pure, qualche volta, le sillabe sono addirittura meno di 17 come se queste fossero addirittura troppe -. Ma, la vera eresia sta, probabilmente com’è facile immaginare, nel contenuto: laddove gli originari ideatori dello schema poetico hanno cercato di rappresentare una specie di magma dove accomunare l’uomo alla natura in una dimensione quasi idilliaca dell’animo umano in questo rapporto, la Montini affonda il coltello nella piaga e racconta il dolore, un dolore certo più vicino ai nostri maestri novecenteschi quali Ungaretti o Quasimodo:

sanguino sogni
lenta–mente scivolo
dimenticando

un dolore che non si limita a contemplare ma prova a chiedere, a interrogare magari coinvolgendo la natura stessa, sperando che arrivino risposte. E valga per tutti l’accostamento azzeccato alle domande leopardiane sulla sofferenza umana e sull’indifferenza lunare – riferimento proposto da Alberto Manzoli – nell’haiku dove l’autrice implicitamente dice:

sei così bella
– lassù – sola nel cielo
Luna di Luglio

Eppure, e comunque, noi crediamo di vedere in molti di questi haiku un desiderio di avvicinamento anche a quella che è la loro originaria valenza e forza poetica, magari nel desiderio subito espresso di superarla. Ma questo è stato e sempre sarà il lavoro del poeta: fare dei maestri un puntello per sollevare il proprio pensiero poetico, una leva per poter scavare maggiormente in se stessi e andare poi ad incontrare di nuovo il pensiero e l’animo degli altri, maestri o lettori che possano essere. Ecco qualche esempio dei testi della Montini:

nevica piano
l’odore del nulla
mi attutisce

(manca addirittura una sillaba… l’autrice è ancora più sintetica, più diretta dell’origine: eppure il messaggio arriva chiaro, la forza di questo odore del nulla in una neve che scende piano e che attutisce il pensiero del poeta è irresistibile)

foglia nel vento
la tua voce d’incanto
splende nel cielo

(ancora un messaggio in consonanza con la natura: nella similitudine tra la foglia nel vento e l’incanto di una possibile voce, non sappiamo se umana o fatta solo del fruscio della foglia, resta lo splendore nel cielo che l’uomo- il poeta non può non notare. Significativo inoltre l’accostamento del suono e dell’incanto che provoca questa voce con le rime e le assonanze in finale di verso vento/incanto/cielo, segno di una certa padronanza dello strumento metrico)

stelle nel cielo
– sogni dimenticati
senza un perché –

(anche le stelle vengono proposte in una similitudine onirica dove si sovrappongono ai sogni dimenticati senza un apparente motivo. E’ ancora la voce del poeta che non si accontenta di contemplare ma si chiede il perché delle cose, anche se sembra non essercene uno plausibile)

l’altro te stesso
dipinto su un telo
– carta macchiata

(l’alter ego del poeta potrebbe rivivere in una plausibile carta macchiata dall’inchiostro delle parole, che formando una sorta di dipinto su un telo scendono in campo a mostrare il vero di cui vuole parlare il poeta stesso)

l’uomo cammina
e la sua vita – segue
linee curve

(certo il cammino, dell’uomo è costellato di linee che difficilmente sono dritte, ma più spesso formano curvature inevitabili per le difficoltà della vita stessa. Compito del poeta è quello di rappresentare questo cammino).

Infine Lorena mi ha inviato due dei suoi ultimi haiku, inediti che si commentano da soli e nei quali l’autrice sembra portare a compimento un percorso di maturità poetica e stilistica in quanto ad una peretta sillabazione del componimento si aggiunge l’artificio retorico della ripetizione della parola e del gesto che diventa non solo strumento letterario ma metodo evocativo fortemente connesso al sentire poetico e al voler configurare proprio quel particolare passaggio nella mente del lettore.

(Il pianto di Andromaca – De Chirico)

lacrime sciogli
nell’ultimo abbraccio
……. – sciolgo capelli

**

occhi sgranati
la donna coi trampoli
regala sogni

*****

Gli haiku ironici di Marco Mezzetti

cinziasans_titre11_1.jpg

Marco Mezzetti vive e lavora a Bologna. È poeta, comico e attore. Cabarettista a teatro e nei peggiori locali d’Italia, ha fatto parte con l’attore e regista Pier Paolo Paganelli del duo di cabaret Mezzetti & Paganelli mettendo in scena lo spettacolo Qui si paga mezzo! È attore di cinema indipendente. Fra le sue apparizioni anche una nel recente corto Vai col liscio, del 2012, con regia di Paganelli (nel cast anche Valerio Mastrandrea). Poeta eclettico di poesia contemporanea in versi liberi e haiku, ha pubblicato Resti da ricomporre (Giraldi Editore, 2008) e Non mi viene. Raccolta di haiku ironici (Pendragon 2012). In quest’ultimo libro di cui parleremo per il nostro tema, sono contenuti alcuni significativi contributi di personaggi dl mondo comico e ironico bolognese, alcuni di essi conosciuti anche a livello nazionale. Ricordiamo: Domenico Lannutti, Luciano Manzalini ed Eraldo Turra (più noti col nome di I Gemelli Ruggeri), Bob Messini, Marco Dondarini, Pier Paolo Paganelli.

Per raccontare il contenuto di questo libro di Mezzetti mi rifaccio alla prefazione che io stessa ho scritto per il suo lavoro (che fa parte, tra l’altro, dei libri inseriti nella Collana di poesia contemporanea Sibilla che dirigo per la Casa Editrice Pendragon di Bologna).

Intrighi e sorrisi. La poesia di Marco Mezzetti come un gioco.

cinzia1268612_529579387123027_1929621111_o.jpg

Si può giocare con la poesia? E’ la scommessa che vogliamo condividere con Marco Mezzetti, un attore comico che è anche poeta (o viceversa?), che seguendo un filone di tecnicismo sperimentale, propriamente suo – in questo caso -, ha avuto la brillante idea di abbinare la forma poetica classica degli haiku ai toni umoristici, ossia ai toni usati solitamente dai cabarettisti all’interno dei loro sketch, per trattare le più ampie tematiche possibili. E in questo lavoro, infatti, i temi che saltano all’occhio sono diversi. Li scopriamo, anche un po’ perplessi, per la vastità di casistiche che sembrano gettate a caso sulla pagina ma sono il frutto, invece, di una rigorosa selezione in sintonia con la perfezione stilistica, effettuata dall’autore: si passa così dal sociale all’amore, dal mondo animale ai mestieri dell’uomo, dallo sport al sesso, con una scansione che spiazza per l’esatta partitura. Ora, non è facile far passare per “poesia” un genere così articolato. Molti autori, in vario modo, ci hanno provato, anche spingendo meno sull’acceleratore – e Mezzetti spinge molto – ma i risultati sono quasi sempre stati classificati come esempi di mere esercitazioni, come puri giochi di parole, tecnicamente validi ed apprezzabili, ma del tutto estranei ad un discorso strettamente poetico. E ciò perché, malgrado cercare di definire in modo esaustivo e concorde la poesia sia praticamente impossibile, alcune coordinate e indicazioni sono ormai talmente consolidate che rimangono a delineare, per lo meno, una linea di conduzione della forma e dei contenuti poetici, diventando difficile per il lettore e a maggior ragione per il critico, allontanarsene.

Per questa ragione gran parte della poesia sperimentale, soprattutto quando il tecnicismo sembra davvero eccessivo ed esagerato, finisce per non vedersi riconosciuta o per ricevere scarsa considerazione. Figuriamoci poi se al tecnicismo è abbinata l’ironia e magari un’ironia sottilissima e tendente, nell’abile gioco dell’incastro delle parole, a trasformare il testo quasi in barzelletta o, addirittura, in freddura. Spesso la critica, a questo proposito, specie quella strettamente accademica, dimentica tuttavia che le tonalità dell’ironia e del sarcasmo, le sottigliezze, le velature più o meno grossolane e grottesche, sono antiche come la poesia stessa e sono state usate da molti poeti, a cui possiamo riferirci per fare qualche esempio, tra l’antico e il contemporaneo.

Foto di Maurizio Bartolozzi

Non sembri un risalire troppo indietro nel tempo, ma è d’obbligo citare la poesia dei saltimbanchi, giullari, chierici vaganti, trovatori, la forse poco nota produzione laica del medioevo europeo orbitante intorno ai temi del vino, della taverna, dei dadi e della donna, dove si potrebbe individuare un’improvvisa modernità magari anche solo nei temi cantati, per certe straordinarie affinità tra lo stile dei poeti maledetti e le forme di libertà espressiva e culturale adottate.

Pensiamo all’uso straordinario prima ancora che all’esito letterario degli scambi di invettive e delle burle in versi prodotti dagli amici della cerchia di Dante, le tenzoni, la scanzonata offensiva dell’Angiolieri e di molti altri. Una poesia che è nata nelle taverne e nelle osterie, nella piazza e nei mercati, una poesia certamente di origine quotidiana che respirava gli umori dal vino, dalla strada, forgiata di una comicità che sfociava in beffa, ironia e voglia di burla ma, al tempo stesso, fortemente colta e innestata in una tradizione largamente sperimentata tra le lingue romanze medievali, nei fabliaux che ironizzavano sulle donne e sui villani inurbati, nella goliardia dei carmina fusoria, potatoria et amatoria e, a seguire con Pulci, con Lorenzo il Magnifico e gli autori dei canti carnascialeschi e ancora con i cinquecenteschi Berni e berneschi: poesia di reazione, scrittura beffarda che pescava reperti nella lingua parlata, che si divertiva a contrapporre ai temi platonici e stilnovistici la quotidianità che sfociava spavalda nella buffoneria, riproducendo il battibecco popolare, pescando dalla poesia orale, dall’improvviso, dalla satira carnevalesca, nasando dagli umori delle stalle e dalle voci della strada.

Con un salto temporale notevole peschiamo invece nel ‘900, nello sperimentalismo futurista del “saltimbanco” Palazzeschi, nella sua satira sottile che inveisce contro la società e i falsi moralismi, contro il perbenismo e il potere che tutto controlla. Poeta che sembra attraversare tutte le correnti letterarie che si susseguono nel secolo, ma che rimane profondamente fedele al suo stile così caratteristico e direttamente legato alla tradizione toscana, sottilmente sospeso fra l’invenzione e la realtà, acremente ironico, fra il sentimento e l’estro, divertito dal gioco e dal buffo, che sbeffeggia il serio o il serioso. Poeta dello sberleffo, dominatore indiscusso del gratuito e sfrenato divertimento, giullare dalle invenzioni parossistiche, giocoliere della parola, con i suoi scherzi di cattivo genere e fuor di luogo, con i suoi lazzi, frizzi e ghiribizzi, egli ci consegna uno dei manifesti della sua poetica in quel “lasciatemi divertire”, dove sembra riassumere la sua morale e la sua produzione in qualcosa che non sembra simboleggiare nient’altro che una sorta di « piramide di scherzi ». Le sue strofe bisbetiche, corbellerie, grullerie, cose buffe, risate e birichinate, elaborate con il suo esilarante estro, lo faranno sembrare sempre, appunto, un “saltimbanco”, quasi un acrobata che fa le giravolte e i salti mortali al solo scopo di divertire, ma il suo occhio così acuto e malizioso sarà sempre lasciato in piena libertà e saprà raccontare cose che nessun altro ha visto, che nessun altro avrebbe saputo trasmetterci così.

Questo brevissimo excursus per affrontare dunque la poesia ironica di Mezzetti, per cercare di compararlo a chi dell’ironia ha fatto la propria arma, se vogliamo, per raccontare le cose della vita. E sovente le poesie di quest’autore, infatti, nella loro brevità formale (tre soli versi per l’haiku), suonano anche come affermazioni e morali, come vaghezze da prendere sul serio, come concetti forti da assumere senza serietà: da cogliere e basta, senza commento ma con qualcosa che resta dentro e lascia, al di là dell’ironia, una traccia. Qui, in questi minuscoli canti, la parola sembra voler nascondere, ignorandolo, il fondo segreto dell’uomo, con un gergo che trasuda a volte anche irritazione oltre che derisione, cercando nella poetica che appare di negazione della poesia stessa, forse in una forma più pudica che spavalda, alla fine, più disperata che sfrontata, una domanda di dialogo con l’altro, con l’ascoltatore che ridendo è costretto a riflettere, a chiedere, a rispondere. Veramente a volte le vie della poesia sono impensabili. Ecco così che ci troviamo di fronte a flash che portano sorridendo, in quell’attimo (nella sezione dedicata agli animali), il pensiero al tema drammatico della droga:

Mucca sorpresa
sul pascolo a drogarsi.
Buona quest’erba!

O all’innaturalezza dei safari – dove l’uomo che tenta di uccidere animali rari per divertimento, è sbeffeggiato da questi, forse compatito -:

Safari in India
di sprovveduti bianchi.
Ride la tigre.

O ancora (nella sezione amore e sesso) ci imbattiamo nell’attualissima situazione dell’amore in chat:

L’amore in chat
per cibarsi di nulla.
“Linea” perfetta.

o peggio, dello stalking:

Presa di petto
la moglie del mio capo.
Denuncia in arrivo!

Mentre (nella sezione del lavoro e professioni) non manca il riferimento alle manchevolezze dell’Italia di sempre, fatta d’inganni, truffe, raccomandazioni:

Scoperta truffa
al concorso pubblico.
Concorso di… colpa.

Potremmo continuare con altre citazioni, altrettanto emblematiche ma ci sembra di aver ben reso la condizione privilegiata, la dimensione peculiare da cui Mezzetti guarda le cose e ne parla non risparmiando, attraverso l’intelligente lente dell’ironia, di centrare contenuti densi di riferimenti attuali, sociali, con toni certo condivisibili anche se a volte “non gli viene”, tanto per citare indirettamente anche il degno titolo di questa raccola. In fondo la poesia è soprattutto questo: ascolto di ciò che ci circonda, raccontato nella forma che più è congeniale al poeta, non importa quale.

Cinzia Demi

P.S. “MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI, il link. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito cliccando sotto su « rispondere all’articolo » o scrivendo direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it

Article précédentI dilemmi della politica nell’anniversario del Principe di Machiavelli (1513).
Article suivantArturo Martini, Il sogno della terracotta, Mostra a Palazzo Fava, Bologna.
Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.