No…su un punto bisogna chiarirsi con Grillo. Lui vuole fare la rivoluzione oppure vuole entrare nel sistema e magari riformarlo?
In Europa non si conoscono rivoluzioni pacifiste, gli esempi che mi vengono in mente per primi sono quella francese del 1789 e quella russa del 1917 ed entrambe sono state molto cruenti.
Si dirà che Gandi è stato alla testa di una rivoluzione pacifista. Verissimo…ma converrete con me che parliamo di un’altra cultura, altro retroterra religioso, un ascetismo che non abbiamo intravisto nel memorabile comizio di Piazza S. Giovanni del comico ligure, le cui movenze e gesticolazioni hanno indotto alcuni, ingiustamente, ad accostamenti più con Hitler che con l’amato mahatma.
Ma la candidatura al parlamento con il successo elettorale imponente, lasciano intendere una strategia riformista, più che rivoluzionaria. Un riconoscimento ubbidiente alla Costituzione, un atto di fedeltà, implicito nella scelta, alle sue regole e ai suoi principi repubblicani e democratici. La stessa qualità degli eletti, per quel poco che si conosce, fa intuire che vi sono esponenti della società civile, dell’associazionismo, piuttosto che reduci brigatisti.
Tuttavia, abbiamo nei Cinquestelle un fenomeno nuovo e spiazzante. Di solito un popolo si cerca un leader, qui è avvenuto il contrario, ovvero un leader si è scelto un popolo. Questa è una dinamica che di per se pone delle domande sulla democraticità del progetto.
Ma, dando per buona la scelta riformista, va detto che Il riformismo puo’ prevedere anche l’aspirazione ad una trasformazione profonda, radicale del paese, ma questo impone una dialettica con le altre forze politiche, un riconoscimento delle istituzioni che compongono la struttura dei poteri dello Stato. Un confronto, reso inevitabile dalla filosofia stessa delle istituzioni democratiche. Insomma, sia pure dall’opposizione, con il governo e le altre forze politiche, bisogna discutere alfine di conquistare altri consensi tra la gente per la realizzazione dei propri punti programmatici.
Invece, più passano i giorni e più emerge la fragilità e la contraddittorietà del movimento che non sembra sapersi scrollare la sua dimensione puramente protestataria. Del resto è dura proporsi come forza antisistema senza essere rivoluzionari. Si evidenzia la friabilità del concetto di democrazia, teorizzata da Casaleggio, che già mostra le sue falle.
Si sostiene il superamento della democrazia rappresentativa a vantaggio di una informatica fondata sul concetto che tutti votano, processano, propongono, attraverso la rete e che quindi tutti i cittadini hanno uguale potere d’intervento e decisione, ognuono è delegato di sé stesso. Si tratta di un’idea veramente non troppo nuova. Senza voler risalire troppo indietro nel tempo, il modello, al netto delle innovazioni tecnologiche, sembra quello dei comitati rivoluzionari di Gheddafi, che sosteneva che tutti i cittadini erano sovrani, pertanto erano inutili i partiti e che uno valeva uno. Poi si sa come è finita.
Raccontata cosi, questa democrazia della rete sembra bellissima, ma i fatti smentiscono le utopiche teorie del santone della Weppeg S.p.A.. In pratica, proprio l’estrema liquidità della rete, come si è evidenziato anche nell’esperienza dei “Pirati” tedeschi (già in declino), comporta che ci sia qualcuno che imponga le regole e che controlli sul rispetto delle stesse. Orbene, nelle sue diverse forme, il popolo grillino fa capo ad un blog concepito, studiato, regolamentato e controllato dal duo Grillo/Casaleggio e dal loro ufficio di consulenza. Un entita ignota per quanto effettiva e concreta nelle sue decisioni.
Tanto da stabilire quali petizioni sono ammesse o meno (ad esempio quella della ormai famosa gelataia che raccoglie in poche ore 140mila firme per un accordo su pochi punti qualificanti per arrivare con condizioni diverse e possibili ad una nuova elezione, viene liquidata come non ammissibile). Cosi le farsesche primarie informatiche dove,senza che nessuno abbia potuto attuare alcuna forma di controllo, nell’impossibilità di ricorrere contro eventuali irregolarità, si sono nominati gli “eletti » nel più assoluto disprezzo di qualsiasi regola di democrazia sostanziale. Chi conta i voti? Come gli interessati possono riscontrare la regolarità delle operazioni e del conteggio?
Ed anche gli impegni scritti, imposti da Grillo, con l’obbligo di firmare, per essere candidati, chi li ha discussi? E come? Quali sono stati i tempi della discussione
(ammesso che ci sia stata)? chi l’ha moderata? E chi ha firmato si è impegnato davanti a dio? a Grillo? alla Costituzione? sul bene dei figli…?
L’agire come una sette segreta, sfuggendo ad ogni controllo dell’informazione, affidata alpiù al solo compiacente “Il fatto” di Padellaro e Travaglio, con quest’ultimo che con i suoi video è animatore dello staff del blog di Grillo, non permette alcun racconto critico del dibattito interno al “movimento”. Si ha il sospetto che il movimento preferisca il dibattito virtuale più che sostanziale, per mancanza di argomenti validi, per timore di esibire tutte le sue contraddizioni, frutto di un programma caotico e contraddittorio.
Visto che Grillo accetta la Costituzione italiana puo’ imporre a chi ha votato di dichiarare apertamente quanto votato con voto segreto? Il voto è segreto proprio per preservare, senza pressioni di alcun genere, il rapporto diretto tra elettore ed eletto. L’eletto, essendo libero dal vincolo di mandato, non deve dare conto ai notabili del suo partito, ma unicamente alla propria coscienza e semmai per il suo agire al proprio elettorato, che lo giudicherà nelle prossime elezioni. Il circense Grillo non puo’ imporre un processo pubblico contro coloro che ad esempio hanno votato Grasso (a quando la ghigliottina? Verrebbe da chiedere al mahatma Grillo).
Internet è uno strumento fondamentale per costruire una cultura politica. E’ una cosa che ripetiamo sempre. Uno strumento di serena discussione, di confronto anche impegnativo e rude, per costruire analisi, dibattiti, ed idee per il bene di una politica che ritrovi la sua sintonia con la società. La primavera araba ha dimostrato che è uno strumento utilissimo anche per la convocazione di manifestazioni di massa, per organizzare il dissenso.
Ma come visto sul piano della rappresentanza, come su quello della approvazione di proposte, petizioni, referendum, evidenzia tutti i suoi limiti di democraticità. Se è vero che appelli con centinaia di migliaia di firme, proposti dai massimi esponenti della cultura, del volontariato, dello spettacolo e della sapienza nazionale, possono essere cestinati, senza alcun dibattito e riflessione, solo perché uno ha deciso cosi. Verrebbe da dire che più di democrazia delle rete si dovrebbe parlare di “monocrazia” della stessa.
Certamente, quello a cui si assiste è l’ennesima forma di populismo, questa volta non costruita con l’illusione televisiva, come faceva e fa Berlusconi, ma attraverso l’illusione di partecipare ad un dibattito che in realtà è manipolato, pregiudicato da Grillo attraverso, questa volta, non una rete televisiva, ma la sua su internet.
Aggiungo che trovo pernicioso, oltre che eticamente ed esteticamente devastante, l’uso che si ha della rete su molti talk show televisivi.
Provateci ad andare a leggere i commenti, mentre sentite i politici parlare, che appaiono affianco; una spaventosa serie di banalità, un osceno spettacolo di volgarità, dove di idee o proposte non si vede nulla. Uno sfogatoio popolare che ricorda la sete di sangue delle piazze ai tempi della rivoluzione francese o della controrivoluzione partenopea, risolvendosi in grida e strepiti disumani di un popolo che voleva non più soluzioni ma solo sangue. Uno spettacolo da circo romano.
Internet è uno strumento magnifico che deve essere lasciato com’è nella sua pregnante libertà, con la sua contraddittorietà, ma è uno strumento inevitabilmente irrazionale, che va capito ed interpretato. Uno strumento essenziale, come speriamo anche il nostro sito dimostri, di partecipazione e di dialogo, ma non puo’ essere uno strumento decisionale, per un paese che ha bisogno nel suo deliberare e legiferare di tenere presente contesti, anche internazionali, competenze anche economiche, che impongono un controllo popolare (un tempo si chiamava vigilanza democratica) ma anche il filtro di forze politiche e di istituzioni capaci di raccogliere e scremare la sovranità popolare attraverso gli stumenti adusi alle moderne democrazie.
Veleno