Prendendo spunto dal volume appena uscito in libreria e curato dal famoso pastificio Di Martino dedicato – come dice il titolo – ai “Cento anni di Pasta di Gragnano”, anche Altritaliani vuole ricordare una delle pietanze più amate al mondo: la pasta, “l’oro bianco”, emblema della tradizione culinaria italiana.
Ma il volume di Di Martino offre anche oltre alla gastronomia, un appassionante viaggio nella storia del Belpaese, con numerosi riferimenti culturali, storici e sociologici.
Due solo gli elementi che rendono la pasta di Gragnano famosa: grano duro e acqua pura della falda acquifera dei monti lattari. Colore giallo o paglierino, superficie ruvida, aspetto omogeneo, sapore e odore gradevole le caratteristiche di “Fusilli”, “Rigatoni”, “Spaghetti”, “Tubettoni”, “Paccheri” e tante altre varietà, elementi base della nostra alimentazione con riconoscimento comunitario I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) ora apprezzata anche all’estero, dove prima si preferiva la carne come primo piatto.
Se n’è discusso del cibo più consumato in Italia durante la presentazione del libro “Cento anni di Pasta di Gragnano”, pubblicato dalla Malvarosa Edizioni per festeggiare un secolo di vita del pastificio Di Martino, nell’affollatissima sala del megastore Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli.
Presenti gli autori, la giornalista Laura Gambacorta che descrive l’evoluzione degli usi e dei costumi, un approfondimento sociologico dell’alimentazione in Italia; un excursus storico a cura della scrittrice Lejila Mancusi Sorrentino, la quale introduce il lettore alle innovazioni tecnologiche che nel tempo hanno rivoluzionato la lavorazione: prima il procedimento avveniva a piedi nudi sulla pasta; fu nell’800 che l’ing. Spadaccini, inventò l’
“uomo di bronzo”, un marchingegno per la trafila dei vari tipi di pasta; sfatata la diceria che ad inventare gli spaghetti furono i cinesi, considerata la sostanziale differenza fra la farina di riso e quella di grano; un focus sugli sviluppi della cultura e delle abitudini legate all’oro bianco; Giuseppe Di Martino, terza generazione dell’antico pastificio racconta la storia del nonno Giuseppe, da operaio a “caporale” per arrivare a piccolo imprenditore; la prefazione è della giornalista Eleonora Cozzella. Il volume, 350 pag. 45€, diviso in quattro capitoli, 100 ricette ordinate per regione di autorevoli chef stellati del panorama gastronomico fotografie, storie, segreti e consigli.
Celebrata da illustri personaggi in libri e film, la pasta con il ragù, pomodorini del piennolo, frutti di mare, legumi, ortaggi, vanta una storia lunghissima, nel corso della quale si è sedimentata nelle nostre usanze e nella nostra cultura, scandendo i ritmi e le modalità della nostra alimentazione. La pasta di Gragnano è prodotta secondo il metodo tradizionale, trafilata ed essiccata lentamente a bassa temperatura. Il grosso centro alle porte di Napoli può vantare, nel settore della pasta, cinquecento anni di storia, all’insegna della qualità e della buon’alimentazione.
Le strade cittadine, nei secoli scorsi, furono create con lo scopo di dare una maggiore ventilazione alla pasta messa ad asciugare all’aperto su improvvisate assicelle di legno.
Il nome Gragnano deriva dall’antico insediamento della gens grania romana, dedita alla lavorazione del grano. Fino agli inizi del novecento erano oltre cento i pastifici disseminati lungo la valle del fiume Vernotico. All’epoca la pasta si mangiava a mani nude, addirittura raccolta in cappelli o come nel film di Totò nelle tasche. Si racconta che il ciambellano di Re Ferdinando II di Borbone, ebbe la brillante idea di aggiungere una rebbia alla forchetta che, fino allora, era stata a tre sole punte. La posata cosi modificata consentiva anche ai nobili di servirsene senza sporcarsi le mani.
La serata è finita con un assaggio di pasta preparato dagli chef Peppe Aversa e Pasquale Palamaro con i vini di Villa Matilde.
Mario Carillo