Ispirato al libro autobiografico del medico Irène Frachon e alla sua lotta coraggiosa contro il colosso farmaceutico produttore del Mediator, “150 milligrammi” (La fille de Brest), con la regia di Emmanuelle Bercot, è arrivato dalla Francia nelle sale italiane dal 9 febbraio, con Bim Distribuzione. Un bel film da vedere, dal ritmo ben serrato, una lotta di ‘Davide contro Golia’ per arrivare al trionfo della verità, con Sidse Babett Knudsen e Benoît Magimel. Recensione di Maria Cristina Nascosi Sandri.
“La fille de Brest – 15 milligrammi” è, forse, più che un film un vero docu-fiction.
E’ l’ultima pellicola di Emmanuelle Bercot che si è occupata – anche se non da sola – della sceneggiatura, dopo aver conosciuto l’Autrice, Irène Frachon, pneumologo in quella terra bellissima e misconosciuta che è la Bretagna, l’antico Finistère dei Romani, ed aver letto il suo libro autobiografico.
« Dall’incontro e dalla passione che si evincevano dal suo racconto, ho deciso che il mio film non sarebbe stato la storia del Mediator, ma la vicenda di una donna dalla forza eccezionale, una persona comune dalla forza straordinaria« .
E straordinaria è anche l’interpretazione che ne dà Sidse Babett Knudsen, già ‘vista’ ed apprezzata alla 71a Mostra Internazionale dl Cinema di Venezia ne l’Hermine di Christian Vincent, attrice danese, dai caldi nordici e vivissimi occhi azzurri, di grande impatto passionale, che riesce a dare al personaggio una carica che informa di sé il plot, i comprimari ed il pubblico che assiste.
Buona anche la performance di Magimel, ‘fuori dai contorni’, ingrassato ed un po’ sformato com’è – ma il suo essere un po’ Peter Pan, un po’ Oblomov non fa che sottolineare di più la carica e la passionalità dell’alter ego che diviene netta protagonista, a tutti gli effetti, l’ottima Frachon-Knudsen.
Thriller e allo stesso tempo film di denuncia sul more solito delle ancor più ‘solite’ multinazionali che in Italia non avrebbe potuto avere, di sicuro, gli esiti che, pur molto faticosamente e non completamente, ha avuto in Francia, con un ritmo à perdre le souffle, davvero incalzante e senza cadute, nonostante i 128 minuti di durata: da vedere, perché – come viene affermato nell’agnitio ufficiale finale da parte dei media e delle istituzioni – i pazienti non ‘sanno’ e non vogliono, forse, nemmeno ‘sapere’: ma è un peccato ‘dover’ morire per la propria ed altrui (medica) ignoranza, a volte…