Venezia 82: Le code della Mostra, nervi e resistenza per amore del cinema.

Andrea Curcione, una delle nostre storiche firme accreditate alla Mostra del cinema di Venezia, ci racconta il dietro le quinte del festival, la fatica fisica e mentale per seguire la kermesse, le file infinite per qualunque cosa, uno spaccato d’umanità, che a dispetto della modernità e dell’informatizzazione di tutto, ci riporta all’Italietta che fu. Una corsa da pionieri dell’oro, raccontata come una commedia di costume, naturalmente “italiana”.

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Archiviata la Mostra del Cinema del Lido, edizione numero 82, che ha visto esultare la direzione cinema della Biennale per il numero di biglietti venduti (103.033) e per il numero di accreditati (13.934) con un complessivo 9% in più sull’edizione 2024, è tempo di bilanci.

Per prima cosa segnaliamo che tutte le sale delle proiezioni sono sempre risultate occupate. Questo è soprattutto il periodo delle code. La coda è l’evento della Mostra, fin da prima che inizi la rassegna. Gli accreditati devono prenotare il posto in sala in un apposito sito della Biennale attendendo pazientemente il proprio turno, scandito da un timer e dal lento procedere di un omino sullo schermo che suscita frustrazione per l’attesa, con il tempo stimato all’accesso alla pagina delle prenotazioni.

Una volta ottenuti i tickets dei film prenotati, una volta raggiunto il Lido, dopo aver fatto la fila per prendere un vaporetto, nell’area della Mostra si fa la fila per superare i varchi di accesso delle Forze dell’Ordine. Quindi nel piazzale davanti al Casinò si deve attendere pazientemente davanti ad alcuni accessi sbarrati da transenne dal personale del servizio d’ordine della Biennale; gli accessi venivano aperti alle 8:00 per poter poi andare a fare la fila davanti agli ingressi della Sala Grande, Sala Darsena e Sala Perla, per il primo spettacolo delle 8:30.

Quest’anno poi, oltre alle corsie per l’accesso del pubblico e degli accreditati, c’erano anche le folte file della cosiddetta “Rush Line” cioè di quelli che, non essendo riusciti a prenotare il posto, attendevano pazientemente in una specifica corsia di poter accedere in sala nel momento in cui qualche spettatore rinunciava alla prenotazione.

Senza contare le lunghe file per andare in bagno (soprattutto per le signore) per poter prendere un caffè al bar, o un gelato nella rinomata gelateria o per salire a bordo di un vaporetto affollato in Darsena che riporta i presenti in Centro Storico.

Ultima nota: le sale erano tutte raffreddate con condizionatori d’aria non regolabili. Perciò si moriva spesso dal freddo; le felpe o i giubbetti erano d’obbligo per non finire congelati. Il colmo era che gli addetti alle sale durante il giorno erano costretti ad aprire i portoni della sala per poter permettere l’ingresso dall’esterno di un po’ di aria calda. Il dispiacere di solito è quello di fare la fila per un film deludente.

Nelle lunghe code si discute tra amici e sconosciuti: si commenta il film appena visto e quello che sarà proiettato; si accettano consigli su film da vedere o da trascurare. Quando si aprono gli ingressi in sala, sempre un quarto d’ora prima delle proiezioni, c’è la corsa per andare a sedersi sui posti migliori (invece nelle visioni con il pubblico il posto è assegnato). Allora c’è chi ha la fortuna di avere il passo svelto e sceglie i sedili strategici: quelli che davanti ci sono solo le gradinate così da avere la visuale più libera o quelli dove di solito si siedono le giurie o le delegazioni. Ci sono anche quelli che si siedono in prima fila a contatto diretto con lo schermo e poi i veri critici (quotidianisti e studiosi) che scelgono sempre i posti in platea a una moderata distanza dallo schermo.

Una volta occupato il posto, si lascia la borsa e si corre quasi sempre in toilette per non doversi poi alzare al buio, durante il film, per esigenze fisiche impellenti. Ritornati in sala si attende la proiezione (che incomincia quasi sempre rispettando l’orario) o guardando assiduamente il cellulare o leggendo il “Daily” il quotidiano della Mostra preparato da una nota rivista di cinema, oppure leggendo il programma dei film del giorno per rendersi conto che cosa ci aspetta nelle ore seguenti: o un mattone di film cinese, o una particolare opera messicana o indiana con perplesse trame originali, oppure un film italiano verso il quale si dà sempre un po’ di fiducia (a volte mal riposta).

Una volta iniziata la proiezione, con il buio in sala, c’è chi, esausto da ritmi stancanti, si abbandona a una botta di sonno improvvisa (russare però non è dignitoso) disturbata talvolta da dialoghi accesi e stridenti, oppure dalla colonna sonora ad alto volume che fa sobbalzare dalla sedia.

Tutta questa ritualità si ripete per dieci giorni alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica del Lido, dove gli appassionati e i critici sono disposti a sopportare con un forte stoicismo zen l’avventura per poter dire un giorno “io c’ero” nella speranza di poter assistere alla scoperta di un nuovo capolavoro cinematografico.

Andrea Curcione

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Andrea Curcione
Andrea Curcione è nato e risiede a Venezia dal 1964. Laureato in Storia all'Università Ca'Foscari di Venezia, ama i libri, la scrittura, la fotografia e il disegno. Giornalista pubblicista, ha pubblicato alcuni racconti e romanzi noir di ambientazione veneziana. Si occupa soprattutto di critica cinematografica, ma per Altritaliani scrive anche di avvenimenti culturali e mostre di particolare interesse che si inaugurano nella città lagunare.

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