Atlantide secondo la tradizione letteraria rappresenta il mito del continente sommerso, l’isola leggendaria “sprofondata in un singolo giorno e notte di disgrazia” nelle parole del Timoteo di Platone.
ATLANTIDE è anche il titolo scelto dal regista ravennate Yuri Ancarani per il docu-film presentato nella sezione Orizzonti al Festival del cinema di Venezia del 2021 e fino al 7 maggio al centro del progetto espositivo a cura di Lorenzo Balbi, “Atlantide 2017-2023” al MAMbo di Bologna. Perché se di continente sommerso si tratta per questa “Venezia-Atlantide”, esplorata dal regista nei suoi paradossi e radicali cambiamenti sociali soprattutto, qui esso coincide drammaticamente con l’universo esploso dell’adolescenza tra i più giovani d’oggi: “l’ambiente e le pratiche di una generazione alla deriva vista sullo sfondo senza tempo del paesaggio veneziano”.
La sceneggiatura è in fondo plasmata sull’unicità stessa della laguna, la città sommersa e riemersa dall’acqua sfondo alla vita in divenire di un gruppo di ragazzi, gli scorci sul loro esserci e relazionarsi là dove il film come afferma Ancarani “si è lentamente costruito da solo”, prima di ogni sceneggiatura. Il lungometraggio presentato per l’esposizione in una sala del museo bolognese diviene parte di un progetto più ampio, opera corale che include anche una serie di nuovi lavori: brevi cortometraggi, una video-installazione posta in maniera speculare al centro della sala, infine una serie di frames fotografici ingigantiti e immersi nell’atmosfera psichedelica e allucinata del finale del film con le musiche trap di Sick Luke.
Come Ancarani afferma in un’intervista: “Mi occupo di cinema di realtà perché oggi la realtà fa molto più paura della fantascienza. C’è tanta violenza in queste inquietudini di Daniele, il protagonista, un giovane di sant’Erasmo nella laguna che vive di espedienti e si sente emarginato dal gruppo dei suoi coetanei”. I ragazzi sono quasi tutti non attori, le loro vicende di vita – i dialoghi rubati dalla realtà, il loro rapporto con Venezia attraverso gli angoli della laguna dove si ritrovano e si consumano le loro relazioni spesso nel degrado delle medesime, nella fuga dalla realtà verso uno sballo distruttivo -, tutto ciò è al centro del film come un’ osservazione in divenire nel corso dei quattro anni di produzione. Barchini colorati con musica trap a tutto volume sfrecciano attraverso la laguna nella notte veneziana mentre una vita di svago, di evasione devastante emerge dal close-up cinematografico su questi adolescenti alla deriva. Daniele separato dal resto del gruppo passa il tempo a trasformare piccoli motoscafi lagunari in pericolosi bolidi da competizione sperando così di poter guadagnarsi il primato e il rispetto dei suoi coetanei.
Adolescenti visti in un mix micidiale di alcol e droga in tale ricerca di svago senza limiti corrono sui piccoli motoscafi nella notte veneziana attraverso i cunicoli stretti e i riflessi oscuri dei canali poco illuminati dove baluginano a distanza luci scintillanti e i psichedelici bagliori della città. Un’altra protagonista, Bianka, è vista in una sorta di estasi allucinata muoversi a ritmo frenetico di musica sulla barca che Daniele conduce a sempre a più forte velocità sfrecciando attraverso i canali mentre appare schivare a malapena i ponti bassi che sembrano travolgerla nella piena euforia del momento e l’immagine sempre più mossa e instabile rivela la percezione soggettiva, distorta della sua mente nella parziale perdita di punti di riferimento. I due consumano un rapporto fugace sulla barca in immagini filmate attraverso forti contrasti chiaroscurali e filtri colorati violacei e verdi riflessi nella laguna; poi il ragazzo è visto correre nella notte inseguito da altre barche solo con il volto sanguinante sullo sfondo di una città fantasma accelerando in immagine sempre più distorte e allucinate di ponti e strade che si protendono verso di lui oscuri e minacciosi quasi ad ingoiarlo in uno scenario infernale percepiti come dall’interno della sua mente. La realtà finisce per rivoltarsi contro e la vicenda volge in tragedia: Daniele muore tragicamente in un incidente in laguna annunciato dal telegiornale in uno schermo parallelo e il barca in fiamme è vista bruciare in un falò in piena notte al centro della laguna.
“La storia è un pretesto per lasciarsi dominare dalle immagini, sono loro che ti raccontano, che vibrano in te” afferma il regista. Venezia rivive nel video e nei cortometraggi di Ancarani come un mondo a sé, un universo d’acqua che diviene anche la sua metafora visiva più potente; Atlantide filmata dall’altezza stessa dalla barca, appare invisibile e profonda come il continente sommerso di questa generazione non-vista che riemerge per frammenti o in negativi fotografici tra le linee. Altrove l’acqua è riflessa contro un cielo terso e limpido al tramonto come impeto e grido di libertà mentre le barche sono viste sfrecciare libere nella laguna. Ancora, la osserviamo cadere goccia a goccia da un rubinetto della fontana quando Daniele afferma di non poter credere ai propri sogni, infine appare salire inesorabile nel crescendo drammatico del film pari all’insofferenza celata di questi giovani, simbolo di annegamento o di deriva di un’intera generazione attraverso l’acqua all’immagine del bastione corroso visto crollare all’improvviso all’ingresso della laguna.
Ancarani esplora come video-maker attraverso i cortometraggi e il film presentato alla mostra di un’estetica dell’immagine differente che egli ricerca guardando oltre la consuetudine del film scritto e diretto come “un modo nuovo di fare cinema”. Lo definisce un “cinema fuori dall’inquadratura” che continua oltre il frame ed esiste prima ancora di ciò che viene inquadrato dentro la cornice della telecamera. Filma questi giovani senza dare loro un copione scritto, prima di una sceneggiatura seguendo i loro incontri e conflitti, il loro relazionarsi e agire attraverso la cinepresa oppure utilizzando droni che si muovono autonomamente sulla laguna. Perché il lavoro vuole portare in sé l’attuale, cogliere il presente di una giovinezza che si muove troppo rapida sotto i suoi occhi per poterla arrestare in una forma scritta, allo stesso modo il volto di una città che cambia altrettanto rapidamente divenendo luogo esemplare per raffigurare la crisi del capitalismo globale. E la mostra al Mambo di Bologna vive di questo stesso processo in divenire, tassello di un progetto più ampio che ingloba il film Atlantide ma anche la fotografia e la video-installazione perseguendo “l’immagine visionaria che ne scaturisce” con lo stesso intento poetico attraverso modalità visive differenti.
Elisa Castagnoli