Qui di seguito i versi del poeta irpino Gabriele De Masi nati dal dolore e dalla rabbia, dall’impotenza, di essere testimoni, ancora una volta, dell’orrore, quale si consuma quotidianamente sulle sabbie sanguinanti di Gaza.
Che altro si potrebbe mai aggiungere? Possano queste parole unire la nostra sofferente umanità.
L’urlo
Bianchi sudari di bimbi !
I poveri combattono senza mani
ad arraffare un pugno di riso
nella polvere, la fame, la paura,
la disperazione, ci si spinge,
ressa d’affamati
di bocche digrignate alla ciotola, non basta,
calca, malebolgia d’umanità smarrita,
braccia tese, palme di pentole vuote
del pasto atteso, implorato d’elemosina.
I vecchi scacciavano la malasorte :
« Nemmanco ai cani! » di malattie
e guerre contro ai figli.
« Non scrivi niente… », mi richiama
l’amico sferzante, « …la poesia è scappata? »
È rimasta vuoto esercizio, sguardo
senza luce, soffre, geme, il nero è tetro,
brucia prospettive,
precipizio, vertigini alla coscienza,
grido senza parole ché il dolore impedisce
di trovare la forza d’un fiato.
Siamo silenzio allo sguardo di sfacelo.
I lamenti saranno tuoni; le lacrime, saette!
Incensiamo altari di rovine, a perdono.
Gabriele De Masi

L’Urlo di Gabriele De Masi.
Le composizioni poetiche di Gabriele De Masi abbracciano le tematiche più diverse: raffinata sensibilità, intenso rivivere dell’accaduto.
Nel rileggere la poesia l’Urlo mi vengono in mente, oltre il ripetersi dei cerchi dell’eco del pittore Edvard Munch, le strazianti parole di Ungaretti,scavate nell’anima.
Il nostro poeta irpino si trova davanti alla striscia di sangue di Gaza.
Cerca la Parola vera. L’autore è consapevole che tutti i vissuti sono incomunicativi, per dirla con il filosofo Aldo Masullo. In questa ottica, De Masi non esita di andare con l’anima tra la polvere e il grido spezzato in gola, tra il dolore innocente (mistero della storia), che mentre tende la mano per strappare un pezzo di pane, segno di vita, viene ferito a morte.
Nel testo ci sono parole, che evocano il sacro, quali: « bianchi sudari di bimbi », « incensiamo altari di rovine ». I « sudari », richiamano il panno di Veronica, che asciuga il sudore di Cristo, mentre sale il Calvario. Gli altari di rovine con il fumo d’incenso, rievocano le mense, dove si celebra il Sacrficio di Cristo. Gli esseri umani perdono figura, sono « sfacelo », disfacimento del corpo, ridotti a « ressa », a « bocche ».
L’invito del poeta è quello di uscir fuori dall’assuefazione, dall’abitudinario, di guardare in faccia il disumano, che esplode. La poesia si declina in un crescendo di timore e tremori, di paura, di angoscia, di fame e disperazione. Solo i poeti posseggono il dono della Parola, che lascia intravedere il sentiero, che ci conduce fuori dalla barbarie. Siamo nell’oscuro, andiamo verso la notte e le sue ignote costellazioni, come ricorda Andrea Emo. L’aurora, il compiuto giorno, potrà vedere nuova luce, solo nel pronunciare la parola Fratello. Questo il senso dei versi di Gabriele De Masi.
Sudari e malebolgia, guerra e malasorte soffocano il tempo e la sua vitalità. Versi di sangue attraversano la coscienza, nudi e crudeli. Eppure, quanta tenerezza è in ogni parola a invocare una fratellanza lontana.
La poesia (in un richiamo classico e quasimodiano), necessaria, non « vuoto esercizio », é l’urlo più aspro, quello che scuote e impone il diritto/dovere all’humanitas in un’eco infinita.
Gabriele, quanta cruda realtà nell’ “incensiamo altari di rovine” e quanta dannazione!
Gaza é la Storia, la Civiltà, il Popolo, traditi per una terra chiamata libertà. Che ancora il coraggio di un poeta diventi testimonianza, ribellione, amore! E il perdono cada lieve come neve sulle nostre coscienze.
Grazie a te, caro Gabrilele, la poesia non è scappata.
Non deve scappare né abbandonarsi agli stanchi deliqui di innamoramenti o alle variazioni sui temi, troppo spesso improbabili…,della passione.
Chi defini’ l’arte : « engagée » (erano i tempi di Sartre, di Simone de Beauvoir, di Juliette Greco, …dei blousons noisr per intenderci) propugnava proprio una poesia (ma anche ogni espressione artistica) che fosse in grado di…denunciare.
Diamo di tanto in tanto uno sguardo a Guernica.
Hai denunciato offrendoci uno scioccante sguardo impietoso su Gaza e sulle troppe « vocazioni alla violenza »
Lo hai fatto da grande maestro della parola e dell’anima.
Uno sguardo che non fa sconti su una vergogna colossale.
E grazie ai tuoi versi non « siamo silenzio allo sguardo di sfacelo ».