Il cinema e quello italiano in particolare, sembra sempre più dimenticato. Eppure la sua ricchezza e i suoi legami con la nostra storia dovrebbero farne materia per studi scolastici, un contributo costante per educare un popolo, che mai come in questa globalizzazione appare disorientato e sempre più lontano dalle sue radici culturali. Riscoprire il cinema ed insegnare a comprendere e decodificare le immagini di cui oggi siamo bombardati è anche essenziale per costruirci un nostro immaginario mentale.
Prendo spunto dalla rilettura di una interessante rivista « 8 e mezzo – Numeri e prospettive del Cinema Italiano » per cercare di trovare qualche elemento per una nuova riflessione a partire dal titolo della copertina: « Siamo un paese di analfabeti filmici? ». Domanda che solletica risposte più o meno immediate.
Uscita nel 2012, la rivista, per gli articoli e le analisi riportate merita qualche considerazione. Riporto stralci di alcuni articoli, iniziando da uno firmato Gianni Canova il cui titolo « Chiedigli chi era Fellini… » sembra quasi una provocazione.
« A differenza di quanto accade in quasi tutti i paesi europei un ragazzo italiano attraversa tutto l’iter scolastico senza che nessuno gli spieghi che cosa sia l’IVA o una ritenuta d’acconto o come si legge un bilancio (casuale? inessenziale? non proprio), ma anche senza che nessuno, a parte esperienze di sperimentazioni non curriculari, gli faccia incontrare « 2001: Odissea nello spazio » (1968) o « La dolce vita » (1960) o gli faccia apprezzare la bellezza estetica o la potenza (emozionale, estetica e cognitiva) di un film di Hitchock o di Francesco Rosi« .
In tutto il mondo occidentale il cinema si studia nelle scuole e fa parte del patrimonio culturale condiviso, è momento di crescita e strumento di analisi del mondo e di sè. Da noi no: noi stiamo ancora a trastullarci con Ugo Foscolo e Giosuè Carducci e con un’idea di cultura elitaria, appassita e incartapecorita che non offre più nulla alle nuove generazioni ».
La cultura si trasmette anche attraverso le immagini, a tal proposito riporto una interessante curiosità, frutto di una ricerca fatta dalla Fondazione Rosselli dove « è stato calcolato che nel Medio Evo un qualsiasi contadino umbro o toscano nel corso della sua vita incontrava, più o meno, 40 immagini artificiali (gli affreschi sulle pareti delle chiese e poco altro). Oggi lo stesso uomo medio intercetta al giorno oltre 600.000 immagini artificiali (cioè artefatti visivi progettati e realizzati per comunicare qualcosa). In un arco di tempo relativamente breve dal punto di vista dell’evoluzione della specie umana, il nostro apparato percettivo-visivo ha subito e subisce una mutazione gigantesca, i cui effetti sono ancora tutti da studiare e capire.
Come governiamo un traffico di 600.000 immagini al giorno? Che ne facciamo? Come le selezioniamo? Come le metabolizziamo? ».
Domande che mi riportano ai nostri tempi, in cui dipendiamo dalle immagini, le uniche in grado di costruirci il nostro immaginario mentale.
Torno al tema da cui ero partito: cosa e quanto sappiamo del nostro cinema? Se si dovesse guardare al contributo portato dalla moderna tecnologia (a cominciare dalla televisione, dai videoregistratori, le cassette VhS, i successivi DvD) potremmo dire che si sono fatti dei bei passi in avanti. Più tecnologia uguale più cinema fruibile. Il rovescio di questa medaglia è la crescente crisi delle sale cinematografiche, le cui chiusure continuano anno dopo anno. Ad aggravare questo collasso contribuiscono pure le nuove generazioni, pronte a disertare le sale a favore del mini schermo, offerto dai loro smartphone, attraverso cui guardano i film scaricati il più delle volte gratuitamente.
È ancora Gianni Canova, in un altro articolo, a ricordarci come anche la sensibilità di chi amministra le nostre città, sia arrivata ai punti più bassi, continuando a trascurare il cinema.
Si pensi ad esempio alla toponomastica. La storia del nostro cinema continua ad essere assente se è vero che in un campione di 10 città ( Torino – Milano – Genova – Padova – Bologna – Firenze – Roma – Napoli – Palermo) soltanto 4 sono quelle che hanno intitolato alcune vie a registi o attori/ci famosi. Precisamente: Milano (2) Largo Fellini – Via De Sica; Bologna (1) Rotonda Visconti ; Roma (6) Largo Fellini – Via De Sica – Via Rossellini – Via Pasolini – Via Magnani – Piazza Chaplin; Napoli (3) via De Sica – Via Rossellini – Piazza Chaplin.
Silenzio dalle altre città. Neppure Venezia, città non certo estranea al cinema, si distingue, avendo soltanto una sala dell’Hotel Des Bains intitolata a Luchini Visconti, che qui girò gran parte del suo film « Morte a Venezia« .
Visto così il panorama del nostro cinema sembra avviato ad una morte sicura. A ben vedere negli ultimi anni pochi sono i film da ricordare, così come i registi di talento. Se a qualcuno di questi si guardava con interesse e rinnovata passione (Tornatore, forse Salvatores) per i loro premi ricevuti ( Oscar ad entrambi per « Nuovo Cinema Paradiso » e « Mediterraneo » e sembrano già lontani) dispiace vedere che non sempre abbiano saputo mantenere le attese. I loro film successivi forse hanno deluso. Emblematico il caso di « Baaria » di Tornatore i cui costi complessivi (28 milioni di Euro), non sono stati compensati dagli incassi, che si aggirano a poco più di 10 milioni di Euro.
Gli altri registi (e sono un gruppo piuttosto numeroso: Bellocchio, Muccino, Martone, Ozpeteck, Zalone, Sorrentino, Cristina Comencini, Quatriglio, Piccioni, ecc.) sembrano navigare a vista su rotte dove ognuno va per conto suo. Nessuno di loro, che io sappia, sa imporsi per una ricerca di nuovi contenuti, un diverso modo di raccontare la realtà. Le loro storie non brillano per originalità. Ma va detto, ad onor del vero, che pure negli anni d’oro del neorealismo una gran parte dei film girati non ebbe alcuna fortuna e furono presto dimenticati.
Questo viaggio a ritroso tra il nostro cinema mi porta a considerare quanto avviene anche tra le maestranze che lo compongono. In un’interessante articolo tratto dalla rivista sopra citata, Leonardo Quaresima e Francesco Pitasso si chiedono nel loro « Terra di nessuno » come avvenga il ricambio professionale nel cinema italiano. « Anzitutto partendo dai corsi di formazione », dicono entrambi, « sono più di 1000 quelli presenti nel territorio nazionale secondo una ricerca finanziata dal Ministero dell’Istruzione e coordinato dall’Università di Udine ». I dati non sono recenti e si riferiscono al biennio 2009 – 2011 dove sorprende la progressiva ritirata dell’investimento pubblico (meno del 10% del totale) a fronte della multiforme offerta privata. « Non tutti i corsi sono seri », tengono a precisare, « ma per chi lo volesse c’è la possibilità di una maggiore chiarezza nella scelta attraverso il sito www.cineformazione.it ».
Tra le scuole di cinema emerge su tutte il CSC (Centro Sperimentale Cinema), l’unica realtà pubblica nazionale. La sede principale è a Roma , ma ve ne sono un po’ ovunque sparse sul territorio nazionale. Il Centro Sperimentale Cinema è ovviamente il punto di massimo riferimento per chiunque, ma non vanno dimenticate altre realtà come la « Scuola di Cinema e televisione del Comune di Milano », la « Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté », con sede a Roma, la « Scuola di documentari, televisione e nuovi media » di Bolzano, la « Mediateca Reginale Toscana ». A Napoli, infine, c’è il laboratorio permanente « Teatri Uniti » diretto da Angelo Curti che precisa che « Non è una scuola vera e propria, ma qualcosa di simile alla bottega di un tempo ».
Ho lasciato per ultimo quanto di nuovo ha saputo creare la Biennale Cinema di Venezia che, da alcuni anni a questa parte, è diventata anche produttrice. La miglior gioventù cinematografica può trovare una buona opportunità nel progetto interamente offerto dalla Biennale Cinema che ogni anno mette a disposizione soldi e laboratori di formazione. Il tutto, ovviamente, in un progetto che dà la possibilità a tutti, stranieri compresi, di realizzare un film il cui costo non superi 150.000 Euro. La procedura prevede una prima selezione di 15 nuovi progetti, ridotti successivamente a 3. Assieme realizzeranno un progetto unico, che darà vita al film che verrà proiettato nella sezione « Nuovi Orizzonti » della successiva edizione del Festival veneziano. Un progetto questo, fortemente voluto da Alberto Barbera Direttore della Mostra. Alla domanda se fosse a conoscenza di precedenti progetti dice. » Per quanto ne sappia, non esiste nulla di simile al mondo. Quelli di Cine-Fondation di Cannes, Berlino e Rotterdam sono dei laboratori temporanei, mentre il nostro ha l’ambizione di riuscire ad aiutare dei giovani a realizzare un film nell’arco di 12 mesi ».
Questo viaggio a ritroso dentro o attorno al nostro cinema forse si conclude qui. Non saprò mai se le nuove generazioni hanno visto « Cabiria » o « Gli ultimi giorni di Pompei » oppure letto in qualche libro della straordinaria vita dei fratelli Bragaglia, la cui carriera cinematografica era iniziata con il cinema muto e proseguita poi per decenni e decenni. O se nominando i fratelli Pagot risponderanno con un sorriso interrogativo (per inciso i Pagot sono gli inventori del cinema d’animazione italiano). Il loro film « I fratelli Dinamite » è ancora oggi un gioiello tutto da rivedere. Ma la fama arrivò con « Calimero il pulcino nero », spot pubblicitario della Mira Lanza nel leggendario Carosello degli anni 60.
Che altro aggiungere in conclusione? Che la storia del nostro cinema è straordinaria, ricca di fascino e storie meravigliose? Che le battute di Totò sono ormai entrate nel nostro lessico famigliare? Che Alberto Sordi non finisce mai di farci ridere? Che pure Marcello Mastroianni lo vorremmo vedere ogni sera? Che Anna Magnani vuole entrare in scena pure lei? E che La musica di Rota e Morricone la fischiettiamo ancora? Si sa…!
Massimo Rosin