A 40 anni dalla sua scomparsa, De Sica resta un esempio di cinema a tutto tondo. Un riferimento non solo per la cinematografia nostrana ma anche per quella internazionale. “Miracolo a Milano”, “Matrimonio all’italiana”, “Ladri di biciclette”, “Il giardino dei Finzi Contini”, attraverso il suo racconto, il racconto di un’ Italia che è sensibile e che si riconosce nei suoi personaggi.
E’ morto quarant’anni or sono, in un freddo autunno vicino a Parigi, Vittorio De Sica; era il 13 novembre del ‘74. Era nato a Sora, in Ciociaria, il 7 luglio del 1901. Settantatre anni, nemmeno tanti, ma ricchissimi di emozioni e di eventi che lo hanno portato ad essere considerato una figura preminente ed imprescindibile del cinema italiano e mondiale, uno dei padri del Neoralismo e, nel contempo, uno dei più grandi registi ed interpreti della commedia all’italiana.
Fu attore, regista, sceneggiatore, musicista. Per quella sua generazione, affermatasi durante la seconda guerra mondiale, nessuno al mondo può vantare un così ricco palmares di premi e valutazioni di critica. Il più eclettico, geniale e coerente, un unicum con il grande Cesare Zavattini con il quale ha scritto e girato le sequenze più intense del cinema di ogni tempo. Gli attori di riferimento nella memoria collettiva resteranno Sophia Loren e Marcello Mastroianni; mentre sono tanti gli attori da lui diretti (da Sordi a Belmondo e Salvatori, dalla Lollobrigida alla Ralli) che hanno oltremodo carpito la sua genialità e la sua poetica interpretativa.
Vale la pena ricordare Vittorio De Sica a partire dai tantissimi riconoscimenti ottenuti nel mondo: Festival di Berlino 1971: Orso d’oro – Il giardino dei Finzi-Contini; Festival di Cannes 1951 Palma d’oro per Miracolo a Milano; David di Donatello 1956 miglior attore protagonista in Pane, amore e... di Dino Risi; 1963 miglior regista – I sequestrati di Altona; 1965 miglior regista per Matrimonio all’italiana; 1973 David Europeo Nastri d’argento 1946 miglior regista per Sciuscià; 1948 migliore attore protagonista in Cuore; 1949: miglior regista e migliore sceneggiatura – Ladri di biciclette ed ancora per lo stesso film National Board of Review 1949 miglior regista; Premi Oscar 1948 – Miglior film straniero (Premio onorario) per Sciuscià; 1950 – Miglior film straniero (Premio onorario) per Ladri di biciclette; 1958 – Nomination Miglior attore non protagonista per Addio Alle Armi; 1959 – Premio Oscar al film di Roberto Rossellini Il Generale Della Rovere (tratto da Indro Mondanelli) nel quale De Sica è il protagonista; 1962 Premio Oscar a Sophia Loren per La Ciociara diretto da Vittorio De Sica tratto da un racconto di Moravia; 1965 M per Ieri, oggi, domani; 1966 – Nomination Miglior film straniero per Matrimonio all’italiana; 1972 – Miglior film straniero per Il giardino dei Finzi-Contini.
E’ stato attore in ben 158 pellicole, ha diretto 34 film (alcuni ad episodi), talvolta è stato autore non accreditato per esigenze « alimentari »: a causa della passione del gioco accettò spesso lavori su commissione. Vittorio De Sica domina almeno tre stagioni del cinema: come « attor giovane » acquisisce una immensa popolarità anche come cantante (rimarrà immortale Parlami d’amore Mariù) e specie del repertorio napoletano (la sua vera anima); come regista forma con Cesare Zavattini un sodalizio di strabiliante creatività ed innovazione nelle immagini; come morigerato del racconto firma opere lineari nel linguaggio culminate nell’Oscar del 1970 per Il giardino dei Finzi Contini, tratto dal romanzo di Giorgio Bassani.
Forse il film che più lo rappresenta e lo distingue – ci confida la figlia primogenita Emilia – è senz’altro Umberto D del 1952, dedicato a suo padre, film destinato ad un rilevante dibattito e pure a polemiche puritane tanto che l’allora sottosegretario Giulio Andreotti (all’apice delle politiche di censura) affermò che, per la grande responsabilità che ha il cinema nella cultura, « … i panni sporchi si lavano in famiglia ».
Fu il suo cinema a portare all’Italia i primi Premi Oscar e a fare di Vittorio de Sica il regista italiano più premiato con ben quattro statuette: nel Gotha della cultura cinematografica di ogni tempo. L’anno in cui morì, Ettore Scola gli dedicò uno dei suoi capolavori, C’eravamo tanto amati, ma la sua eredità è di tale portata che il cinese Wang Xiaoshuai nel 2001 girò, con Le biciclette di Pechino, un dichiarato omaggio-remake del suo capolavoro. Il regista svedese Roy Andersson, con il Leone d’Oro in mano all’ultima Mostra di Venezia, ha ricordato proprio
La sua lezione e la sua popolarità rimarranno nella storia del Novecento.
Armando Lostaglio
Cineclub V. De Sica (Rionero in Vulture)