Questo Natale, come di tradizione su Altritaliani, vi proponiamo la lettura di quattro romanzi di recentissima pubblicazione, usciti tutti nel 2025 e che ci portano a Trento, Milano, Napoli e in Sardegna, quattro luoghi lontani tra di loro per storia e cultura, ma qui accomunati da alcuni temi di grande attualità: la ricerca delle proprie origini, il bisogno di riconoscersi ed essere riconosciuti, la rottura intergenerazionale tra padri e figli e, infine, il bisogno di scrivere o riscrivere un percorso esistenziale quando la vecchiaia ha rubato la possibilità di raccontarsi.
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Nei quattro titoli suggeriti è forte la presenza di questioni sociali, quali il lavoro operaio e il riconoscimento del lavoro femminile, ma anche l’incapacità delle vecchie generazioni di dare un senso e una direzione alla nuove generazioni, l’abisso mentale, i margini tra realtà e follia che vanno sfumandosi e confondendosi.
Tutti e quattro pur partendo da epoche storiche lontane riescono un processo di universalizzazione per cui è possibile leggere in metafora il nostro presente, con tutti i suoi problemi, spesso irrisolti, in attesa di una soluzione.
Questa piccola, ma importante, selezione mostra come il romanzo possa diventare uno strumento di riflessione sociale e culturale, e soprattutto ci offre una certa pluralità di sguardi su temi sociali, storici o esistenziali, con attenzione al passato e alla memoria, al conflitto generazionale e culturale, al riscatto, e in generale all’umanità.
L’accostamento di questi quattro titoli ci dice che la narrativa in Italia non ha paura di confrontarsi con la Storia, con conflitti, tra passato e presente, tra memoria e oblio, tra individuo e comunità.
Ci offrono un approccio realistico e storico, a volte più “speculativo” o distopico, ma in tutti emerge un desiderio di raccontare l’umanità, la vulnerabilità, la trasformazione, con uno sguardo critico ed empatico.
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Vediamoli, dunque, più da vicino e cominciamo con Tommaso Giagni e il suo “La fabbrica e i ciliegi “ (Ponte alle Grazie). È un libro importante, che porta al presente il romanzo d’impegno civile costruendo una trama appassionante – una ricerca di verità che a tratti è inchiesta, a tratti indagine intima di radici dimenticate. 
Cesare ha cinquant’anni e vive a Roma, dov’è cresciuto. La morte della madre lo costringe a confrontarsi con il proprio passato. Tra le sue carte, scopre tracce di una verità̀ che gli è stata taciuta: suo padre non è morto di leucemia ma è stato fra le vittime della SLOI, la fabbrica chimica di Trento che per decenni avvelenò i suoi operai con il piombo tetraetile e fu infine chiusa nel 1978. Cesare torna nei suoi luoghi d’origine per un’inchiesta personale che avverte impellente, ripercorrendo le tracce del padre: l’ex fabbrica, oggi un rudere tossico mai bonificato, i quartieri operai, gli archivi della città, l’ex manicomio, gli amici superstiti. Incontra Marilù e Loris: Lei viene dal sud, è una donna alla deriva, cresciuta tra esperienze irrisolte e un’ostentata indipendenza. Lui, brillante accademico, è fuggito dalla valle d’origine ma resta prigioniero di una rigidità̀ che lo isola. I tre finiranno per delineare un triangolo emotivo che rifrange, con luci diverse, il tema profondo del romanzo: il rapporto con le radici, il peso del passato, il desiderio di riscrivere la propria storia (e la Storia di tutti).
Continuiamo con “La levatrice”, di Bibiana Cau (casa editrice Nord). Una storia al femminile che, attraverso la lingua, i profumi, la poesia e la ruvidezza della vita quotidiana nella Sardegna d’inizio Novecento, narra di gente umile e schiva, ma unita da un profondo senso di comunità.
Si parla spesso di lavoro di cura. Lo si nomina come se bastasse riconoscerlo per risarcirlo. Ma, come accade per molti temi legati all’universo femminile, l’interesse resta circoscritto: riguarda solo chi quel lavoro lo svolge o lo subisce. E invece la cura (come la maternità) non è un fatto privato. È una questione sociale, la base nascosta su cui poggia tutto il resto. A ricordarcelo, non con la teoria ma con la forza del racconto, è Mallena, La levatrice di Bibbiana Cau. In una Sardegna d’altri tempi, la protagonista incarna una sapienza antica: un sapere fatto di mani, erbe e silenzi. Accoglie la vita, placa il dolore, accompagna le donne nell’istante più fragile e più potente: il parto. Ma non viene considerato lavoro. È “vocazione”, “dono”, “natura”, e non si paga. Mallena lotta per un compenso (e un riconoscimento) che non arriva e genera una rabbia lucida e profonda. Una rabbia che mette in mostra un’ingiustizia ancora oggi radicata nella nostra società.
Entriamo in una dimensione distopica, con l’audace romanzo “E tutti danzarono”, di Alessandro Bertante, edito da La Nave di Teseo. Una fiaba oscura, dai contorni sinistri quanto ipnotici. Un viaggio in cui Alessandro Bertante dà vita a una storia potente e visionaria. Un romanzo che è insieme denuncia sociale e profezia nera.
Ivan Boscolo è un uomo di mezza età, separato, ipocondriaco, dedito all’alcol e alla nostalgia, ansioso e pessimista nei confronti del futuro. Ha un rapporto apprensivo e di scarsa autorevolezza, con la figlia Micol, adolescente fin troppo sensibile. Le sue paure si esasperano quando scopre che la ragazza parteciperà a un rave immenso, nel centro di Milano. L’evento si trasformerà in una trance collettiva che sembra colpire solo le persone con meno di trent’anni, portandole a ballare fino allo sfinimento, senza fermarsi mai. Alla confusione causata da queste danze irrefrenabili si sommano i tumulti provocati da facinorosi e delinquenti che pensano di approfittare del disordine per seminare ancor più il panico tra le strade e la risposta violenta della polizia che finisce per peggiorare la situazione. Ma Ivan, recuperando energie che pensava perdute, è pronto a tutto pur di salvare Micol, anche a riallacciare i rapporti con l’ex moglie, con la quale parte alla ricerca della figlia in una Milano folle e pericolosa.
Terminiamo con “Di spalle a questo mondo”, romanzo di Wanda Marasco, edito da Neri Pozza, già candidato al Premio Strega, e che questo settembre ha ricevuto il Premio Campiello. Un romanzo fatto di luci e ombre, in cui la storia individuale è sapientemente innestata in quella collettiva.
Ispirato alla storia vera di Ferdinando Palasciano e Olga Pavlova Vavilova, il romanzo di Wanda Marasco racconta i tormenti di una coppia molto unita che si trova ad affrontare la malattia mentale. Ferdinando è cresciuto a Napoli in una famiglia numerosa, si è laureato in veterinaria e in medicina e chirurgia, e si dedica ai suoi pazienti con tutto sé stesso. Per lui chi ha bisogno di cure ha la priorità, non importa da che parte sta, e il convincimento della “neutralità del combattente ferito” lo mette nei guai più di una volta. La russa Olga, di vent’anni più giovane di lui, trovandosi a Napoli nel 1962, va a farsi visitare perché ha male a un ginocchio: lui la opera, la guarisce, i due si innamorano, si sposano e vivono insieme nella famosa Torre di Capodimonte. Nel 1987 Ferdinando viene ricoverato in manicomio e quando torna a casa non è più lo stesso. Con una lingua particolarissima, intessuta di letteratura e filosofia, piena di echi teatrali e con innesti di parlato locale, Marasco ci conduce negli abissi mentali di due grandi utopisti e in quelli della città che li ospita.
Selezione a cura di Carla Cristofoli
Link interno: – Libro ‘Diagenesi’ di Carla Cristofoli – Il miracolo della vita, una recensione di Nicola Guarino







































