Precari della scuola ai tempi del Covid

Ogni mattina un precario della scuola si alza dal suo letto, va alla scrivania e, ancor prima di connettersi con i suoi studenti, controllerà su NoiPA – il sito dedicato alle pubbliche amministrazioni – se il suo pagamento è stato autorizzato, oppure no.

Se il suo pagamento è stato emesso, esulterà come un bambino che ha vinto alle giostre la coda di volpe che sognava di afferrare da quando era bambino. Altrimenti, comincerà a contattare prima i suoi colleghi di lamentele tra le pagine Facebook dedicate ai precari, successivamente le segreterie che non sapranno cosa rispondergli e probabilmente gli consiglieranno di rivolgersi ai sindacati. Dopo un giro di telefonate che potranno occupare la sua intera mattinata, riuscirà ad entrare in contatto col sindacalista della zona. «Niente allarmismi», gli risponderà, «i ritardi nei pagamenti dei precari della scuola sono normali», concluderà con la risatina ad ago d’uncino che di solito si rivolge ai meno esperti. Così il precario tornerà a connettersi con i suoi colleghi per tranquillizzarli. «I sindacati sostengono che prima o poi pagheranno, non c’è niente da preoccuparsi, è tutto normale», «Allora a chi dobbiamo rivolgerci?», chiederà qualcuno. Ma nessuno risponde.

Foto ALBERT GEA / REUTERS

Successivamente il precario della scuola si metterà a lavoro. Con le mani ancora tremolanti per l’umiliazione subita – come se fosse lui a dover pregare una divinità sconosciuta e irraggiungibile per poter percepire il suo stipendio – si metterà a lavoro. Accenderà il computer e vedrà comparire i suoi studenti sullo schermo e il cuore finalmente, almeno per un attimo, sembrerà calmarsi. Qualcuno avrà fatto i compiti, qualcun altro no. Ma lui è contento, perché in pochi giorni li vede già migliorati. «Sembra a te», lo intimeranno però i suoi colleghi, quelli che insegnano da una vita e che conoscono ‘la bestia’ – ossia, la bestia nascosta nei loro studenti – gli stessi ai quali ingenuamente lui racconta i miglioramenti dei ragazzi e loro gli risponderanno ridendo: «Abbi fede, prima o poi capiranno che non possono fregarti». ‘Fregarti, in che senso’?, vorrebbe chiedere loro, ma tace perplesso. Il precario della scuola, infatti, pensava che a fregarlo non fossero i suoi studenti, quanto piuttosto quell’entità astratta che trattiene in qualche angolo nascosto delle segreterie il suo stipendio.

All’ora di pranzo si sente già esausto, eppure la giornata è solo a un terzo del suo svolgimento. Infatti il precario della scuola non solo dovrà correggere i compiti – lui lo fa ancora come se il suo fosse un lavoro serio e nobile, rivolto alla crescita e formazione degli esseri umani, giacché lui, lo ripetiamo, non ha ancora capito quel che i loro colleghi sanno da un po’: che il loro lavoro è rivolto ad ammansire ‘bestie’, per cui che senso ha correggere davvero i loro compiti? Homo homini lupus, appunto – dicevamo, non solo dovrà correggere i compiti, lui dovrà rimettersi sui libri. La ministra Azzolina ha promesso che questa volta con i due concorsi sistemerà tutti i precari, o quasi, comunque la maggior parte. E così per tutto il pomeriggio, con gli occhi fumanti e il cervello in panne, lui sarà ligio sulla scrivania piena di carte e scartoffie a cercare di memorizzare nuove nozioni, altre date, metodologie, scalette, schemi, nomi contorti di pedagogisti vissuti secoli fa, o almeno tanti fa, quando il mondo era diverso, quando non c’era il Covid e nemmeno la lavagna elettronica – che i precari nella maggior parte dei casi non usano, perché non sanno come si accende e hanno paura di fare brutta figura davanti ai loro studenti, di passare per quelli inesperti, di quelli che non sono all’altezza di questo lavoro, di quelli che a fine mese nemmeno percepiscono lo stipendio.

La nostra Ilaria Paluzzi

Infine il precario arriverà a sera, con il cervello stanco e lo stomaco che piange, ma la sua giornata non è ancora finita. Lui deve preparare la lezione per il giorno dopo. E tuttavia si sente felice, sconfigge la stanchezza sui libri di testo immaginandosi come un novello Batman con la sua maschera di carta dove ridisegnare versioni divertenti della Divina Commedia o attualizzazioni post moderne delle vicende sumeriche, mentre salta su reti forti come quelle di Spiderman a cercare nuovi orizzonti per rendere più forti le spalle giovani dei suoi studenti. È così che si immagina quando finalmente prende sonno, con il cuore pieno ma lo stomaco vuoto, ripetendosi che il suo è un lavoro serio, e i suoi studenti hanno stima di lui, quegli studenti che un giorno cambieranno questo stato, quegli studenti per i quali vale la pena sopportare l’attesa del dio stipendio.

Ilaria Paluzzi

Questo articolo è stato ugualmente pubblicato nel blog “Menta” di Ilaria

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Ilaria Paluzzi
Ilaria Paluzzi è nata in un piccolo paese vicino al mare, in Abruzzo. Verso i 18 anni si trasferisce a Roma dove consegue la laurea in studi umanistici. Attualmente vive tra l'Abruzzo e il Lazio, tra ilmare e la città. Per diverso tempo ha collaborato con varie testate giornalistiche. Attualmente ha deciso di dedicarsi unicamente alla narrativa. Recentemente è uscito il suo primo romanzo, 'Riva', edizioni Bookabook. Collabora come autrice per la collana Dafni&Cloe, mentre lavora ai prossimi progetti. Nel 2016 ha ideato e curato 'Gente di mare', progetto editoriale itinerante. Oggi il mare continua a scorrere in tutte le sue storie, in un modo o nell'altro, come l'estate che mantiene vivo col suo profumo il più lungo inverno.

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