Per “Missione poesia” un’analisi accurata di «Corpus homini» il nuovo libro in versi della poetessa trentina Maddalena Bertolini, un lavoro dove l’energia vitale si concentra tutta sulla forza della parola, forgiata a misura per contesti ai quali non appartiene, ma dai quali ne esce rinnovata di nuova potenza, grazie alla lingua della poesia e all’amore che vi si respira.
Maddalena Bertolini è nata a Trento e vive a Pergine Valsugana; dopo gli studi classici ha scelto la professione di ostetrica che affianca in tutto il suo percorso di scrittura. Ha pubblicato « Le mani nelle donne » (Guaraldi 1995), « Lividi dentro » (Guaraldi 1996) e « Storie comunque di madri » (Guaraldi 2006). Il primo libro di poesia « le mani delle parole » esce nella Collana Nera di Raffaelli Editore nel 2009. E’ la volta poi di » Comunque padri », una trilogia in prosa, pubblicata da Marietti nel 2011. Con la silloge intitolata “Una” vince il Premio inediTO di Torino nel 2013 che viene pubblicata da Ladolfi. L’ultimo libro “Corpus Homini” esce nel 2016 per Puntoacapo. Collabora con il giornale online ilsussidiario.net
Conosco Maddalena da diversi anni e, vuoi per incroci in eventi poetici che ci hanno visto insieme, vuoi per vicinanze tematiche, vuoi per quell’empatia innata che a volte si stabilisce con certe persone – anche senza un apparente perché – posso affermare, in tutta onestà, di esserle molto legata sia umanamente che poeticamente. La sua poesia, lo vedremo a breve, si caratterizza per la forza che contiene la parola che utilizza, forgiandola a misura in contesti ai quali non apparterebbe ma che accolgono benissimo queste incursioni, senza il minimo sforzo di adattamento. La ricerca di uno stile proprio, che può dirsi realmente compiuta; le tematiche assolutamente attuali e, anche se spesso circostanziate all’universo-mondo in cui vive, quello della montagna trentina, ascrivibili a quella realtà con tutta l’energia che ne deriva, proprio come la stessa emanata dall’ambiente; il porsi domande universali alle quali le risposte arrivano da una profondo senso religioso del suo sentire, fanno di questa autrice una voce riconoscibile e pienamente partecipe della poesia dei nostri tempi. Il libro di cui parleremo in quest’articolo Corpus Homini – e non si tratta di un errore grammaticale, come qualcuno ha fatto giustamente notare – è l’ultimo pubblicato dalla Bertolini, e uscito con la Casa Editrice Puntoacapo nel 2016.
Corpus Homini
Certe volte, leggendo un libro, si ha come l’impressione di essere catapultati in un universo parallelo, cosa abbastanza in sintonia con le recenti scoperte scientifiche in ambito di altri mondi, anche se qui non si tratta di pensare a pianeti dove incontrare altri esseri viventi, più o meno simili a noi, bensì di pensare a come le cose cambiano a seconda del punto di vista, tanto da far sembrare uno stesso accadimento, un qualcosa di completamente diverso da quello che ci si poteva immaginare, tanto da far ricredere su dimensioni anche sentimentali che improvvisamente appaiono come possibili, tanto da far pensare di trovarsi – appunto – in un altro universo, pur restando presenti a se stessi. Non so, credo che entrare nel nuovo lavoro poetico di Maddalena Bertolini, Corpus Homini, possa provocare quest’effetto. Il punto di vista dell’autrice – residente nelle montagne trentine – si espande intenzionalmente sul mondo sottostante come se la visione avvenisse dal volo di un deltaplano, nel quale si è lanciata dopo una lunga e ripida scalata a una vetta altissima. Da quella scalata, in un procedere faticoso ma accettato e desiderato, tra pause e possibili ripensamenti, in una scansione temporale a singulto come la stessa versificazione, frammentata in un verso dentro l’altro, in una completa fiducia sull’accoglienza che troverà una volta arrivata in cima, e con un coraggio donatole da certezza di fede, l’autrice si lancia dunque nel vuoto, fiera di far parte di una complessità così vasta e pronta a misurarsi con quanto di diverso incontrerà sul proprio cammino, pronta a accogliere sempre e comunque la vita grazie all’amore di cui ha piene le mani.
L’amore che le sta accanto, che lei cerca, chiama, accetta, promette, con cui si misura costantemente, l’amore che la sorveglia, la incita, che promette esso stesso, e mantiene è, in effetti, il grande protagonista di questo libro in versi, protagonista dal quale non si può prescindere per considerare tutte le sfaccettature delle due partiture che lo compongono: il mio e il tuo sono i risvolti, le facce, le dimensioni di quello stesso amore, e contengono al loro interno variabili infinite di declinazioni.
La prima è quella dell’essere madre: ho dato corpo / a un uomo e poi lo ho / liberato, creaturale: la grazia /materiale. […] Tu figlio / sei il mio stare, divino e maternale. La seconda è quella dell’essere moglie e compagna (di un uomo e di Dio… quasi le due figure si fondono) Tu sei lo specialista dell’abbraccio, quando stringi / forte il mare batte e sento affannarsi il vento:/ penso che ogni sconvolgimento è una domanda /di riempimento che pretendo e non ci riesco / non sola, non senza la tua benevolenza. La terza è quella di essere in consonanza con qualcosa di più grande a cui obbedire Fammi / saltare il cuore / nel petto con un innesco tuo, pietoso / perfetto. Poi ancora c’è l’amore declinato allo spirito di sacrificio L’amore diventa una radice spunta / fuori con le mani alzate e dice / sono un cane fedele, il pastore bastardo / pronto a tutto per difendere / l’ovile e le sue pecore di colline; l’amore declinato alla disperazione della madre (una madre che fa un mestiere antico come il mondo, fa nascere i figli delle altre madri) Di quanti figli muore una madre /di quanta madre abbiamo bisogno / per sentire male, chi è il padre /che ti ha messo in mare / quale padre nostro adesso/ ti può tenere addosso; l’amore declinato alla passione travolgente della natura si è alzata urlando stamattina / l’alba furibonda mi colpiva: mi piace / la rabbia dell’amore col muso in controluce […] non capisci che sono qui per te / solo per te riemergo dalla notte.
Potremmo continuare e troveremmo altre forme di amore. Potremmo continuare e troveremmo la passione e la forza con la quale si può arrendersi lottando alla vita che scorre, in un ossimorico gioco di rimandi – tra parole e metafore, rime e assonanze, costruzioni che dimostrano maestria nel maneggiare gli attrezzi del mestiere, non di meno necessari per ferrare i versi e farli correre veloci sul foglio – tra la potenza e la drammaticità degli avvenimenti e la voglia di resistere, di aggrapparsi ai respiri e alle presenze chi sentiamo vicini, agli sguardi di chi ci chiede misericordia, agli affanni del tempo che passa e ci trova sempre più stanchi, al mistero che scopriamo ogni giorno nel nostro vivere ancora. Potremmo continuare, avventurarci fino alla fine del libro, fino a scoprire dove il corpo dell’uomo diventa divino, si fonde con la materia che l’ha generato, si riuniscono il padre e il figlio, la madre e il figlio in un abbraccio che riempie e completa tutte le mancanze Abbraccia il mio corpo di creta riempi / la mia credenza senza fame la nostra / coscienza senza pane per questa / generazione di disperazione. / Il tuo sapore mi stia addosso possa / nell’erba della bocca mia restare la tua scia.
Ecco, quando chiudendo questo libro, si rientra nell’universo originario, ci si ritrova con qualcosa in più dentro, con qualcosa di cambiato come se l’immedesimazione fosse arrivata fino in fondo all’anima, a scavare un fondale di pietra e ne avesse estratto un magma avvolgente di cui gli occhi si sono avvalsi per vedere cose nuove, per vederle con occhi nuovi. Ed è così che, raramente ma fortunatamente, l’esperienza di vita e di poesia dell’autore, si fa esperienza di vita e di poesia anche per il lettore.
Alcuni testi da: Corpus Homini
il corpo della terra sono io: il cielo invece
no. Ti appoggi alla mia guancia, alla pancia
della pianura e la punta delle montagne
ti sfiora il petto nell’abbraccio.
Tu sei lo specialista dell’abbraccio, quando stringi
forte il mare batte e sento affannarsi il vento:
penso che ogni sconvolgimento è una domanda
di riempimento che pretendo e non ci riesco
non sola, non senza la tua benevolenza.
Tu mi rimetti a posto nel sistema solare e
nella quiete dell’aria, nel desiderio
gravitazionale dell’amore
****
i barbari non vengono da fuori
hanno accampato scuse e piantato
fiori nei nostri visceri e nelle involuzioni
cerebrali; salgono a galla come bolle
esplodono deluse per le strade.
Non sono frutti di contaminazioni
erano già dentro, portiamo piantagioni
di mali, imperfezioni, sbagli. Delusioni.
Abbiamo territori nell’interno
ormai disabitati, anche gli animali si disfano
inquinati, possiamo avvertire
il movimento che ci sbrana
e pensare: è naturale.
La deforestazione è inevitabile?
Se tutto comincia da un germoglio
occorre il figlio dell’inizio
*****
il mare gigante guarda
gli uomini: galleggiano le sillabe
dei corpi i naufragi gli accorsi ascolta
le nenie lasciate dai rimorsi
a placare le isole dei morti. Abbiamo bisogno
di canzoni sono i lasciapassare del dolore
dalla sponda dura della veglia a quella
liscia e scura della spalla; ti appoggio
teneramente il capo nell’incavo del
buio Africa fuggente Africa
travolgente madre nera ci resta sapere
che siamo fratelli nei giorni e nei mitocondri
e tutti ne abbiamo paura
*****
non sei mio
figlio. Sono stata
la tua porta una
fune che ha slegato il passeggero e teme
di aver sbagliato tutto. Folle
metterti nel mondo adesso
con le belve che graffiano gli stipiti
i marciapiedi affollati le pareti strette
degli appartamenti. Amore davvero non sei mio
neanche da immaginato
e tieni così forte la mia vita
*****
Corpus Domini
non devi andartene; non voglio
che parlino di te con benevolenza, resta
anche se ti feriscono so che ti danno
la caccia la traccia odorosa del tuo sangue
è perfetta per essere scoperta. Resta.
Abbraccia il mio corpo di creta riempi
la mia credenza senza fame la nostra
coscienza senza pane per questa
generazione di disperazione.
Il tuo sapore mi stia addosso possa
nell’erba della bocca mia restare la tua scia
Cinzia Demi
Bologna, marzo 2017