Appena poche sere fa il primo canale RAI trasmetteva un suo concerto e una lunga intervista che sintetizzava i tanti aspetti salienti della sua musica.
Questa notte è mancato. Un infarto ce l’ha portato via. Le cronache dicono che proprio oggi avrebbe dovuto passare una visita di controllo per il suo cuore. Già il cuore che viene meno, una triste similitudine con un suo amico morto prematuramente, Massimo Troisi, altro rappresentante di una cultura partenopea che ormai fatica a rappresentarsi.
Senza Pino Napoli è senza voce, perché lui in questi decenni ha rappresentato una città che non si stanca mai di essere conflittuale, ingiusta, amara ed innamorata, contraddittoria e appassionata, che non cede ad un mondo che di anima ne ha sempre meno.
Con le sue canzoni ha forse più di tutti, contribuito a mantenere quella scuola napoletana di musica e canto che negli ultimi decenni sembrava incapace di abbandonare i suoi cliché classici e melodici. Traendo dalla musica etnica, dal blues velato di jazz e dall’enorme contributo che è un cantiere perennemente aperto come la sua città, aveva costruito un ritmo e parole in cui ciascuno di noi poteva ritrovarsi, specie i napoletani, che in quella passione, in quei testi, in quelle melodie ritrovavano pezzi della propria vita, delle proprie ironie, delle tristezze che ognuno di noi si porta nel cuore.
Perché Pino era ed è nelle cose di Napoli, dalla tazzulella di caffè, alle carte abbandonate nelle strade, in quel mare ricco di sogni che eternamente bagna le sponde partenopee, in quel silenzio dei vicoli nella controra estiva. In quella voglia e in quel dolore di vivere che ci rende speciali, in quel fatale senso della vita che ci rende pigri ed osservatori, teatrali e cosi pratici.
La sua musica pop nel vero senso del termine, perché capace di parlare a tutti, una musica che si rendeva viva semplicemente camminando tra la gente della città, cogliendone le linee ironiche dei volti, apprezzandone la semplicità dei gesti, le mute certezze di un’espressione. L’immagine della città aveva una sola colonna sonora, la sua. E i napoletani lo ricambiavano con amore e gratitudine, come nel mitico concerto a Piazza Plebiscito, quando sotto un sole feroce e tra mille svenimenti il suo concerto coinvolse tutta la città fino a notte. Un evento che resterà memorabile.
Il sindaco ha proclamato il lutto cittadino, non ce n’era bisogno per i napoletani era già lutto da quando questa notte è arrivata la notizia. Un lutto difficile da elaborare, perché pur con mille promesse, e qualche certezza, un cantore cosi non sarà facile ritrovarlo.
Forse è per questo che come tutti i grandi artisti non è stato alla “moda” il suo discorso, ha attraversato tante generazioni ed il suo esempio ha informato tanti musicisti giovani, portandoli ad ascoltare le sue musiche ad avvicinarli al suo sound, che certamente ha avuto grande influenza anche su quei gruppi ed autori che da qualche anno calcano la scena partenopea e non solo. Con lui era possibile ritrovare l’anima napoletana in quel villaggio globale di suoni e ritmi del mediterraneo, ma finanche nel blues americano, rendendoci davvero parte del mondo.
Sono certo che stamane tanti, nell’apprendere di questa perdita, preparandosi ad affrontare la molle quotidianità della vita avranno canticchiato qualcosa di lui, “Tu dimmi quando, quando…”, avranno accennato ad un “Napul’è mille culure”, qualcuno si sarà ricordato che “chi tene ‘o mare (‘o sai) porta ‘na croce”. Chissà in quanti lo hanno evocato. Ma Pino Daniele non è morto, non è vero, lui è vivo come Eduardo, Toto’, come Massimo Troisi. Non è morto, lui è qui con noi.
Nicola Guarino
VEDI ANCHE L’ULTIMO BLUES DI PINO DANIELE, di Armando Lostaglio su questo sito.