Narrata in prima persona, nelle pagine di “Memoriale di un Papa”, di recente pubblicazione per i tipi di Caramanica Editore, Pasquale Maffeo, narratore, poeta e drammaturgo, dipana l’epifanica originalità della vicenda umana e spirituale di un cercatore dell’Assoluto, un innamorato della luce che non conosce tramonto. Da quell’io narrante emerge l’identità di Mario Jorge Bergoglio, eletto dal 13 marzo 2013 al soglio di Pietro con il nome di Francesco.
In un contesto novecentesco ricco di precedenti dedicati a figure papali (Giovanni Papini, Giorgio Saviane, Ignazio Silone, Guido Morselli, Ferruccio Parazzoli, per citarne alcuni), Maffeo si colloca con il suo Memoriale, attraverso una scrittura che evoca, in forma diaristica, eventi che fanno riferimento al tempo antecedente l’investitura papale.
Se la figura del Vicario di Cristo che l’Autore ci affida è parto della sua fantasia, è pur vero che nell’opera molti dei tratti spirituali del pensiero di Francesco emergono con chiara evidenza, dal periodo formativo sui testi biblici e degli Esercizi spirituali del Loyola fino all’entrata nella Compagnia per vestire l’abito gesuita. Lungo l’arco di ventuno stazioni, in un viaggio immaginario, Maffeo colloca il futuro Pontefice, dopo gli studi teologici al Collegio Romano, a Salerno nella dimora di quella Casa ed alla Certosa di Padula, a Bologna poi tra le nebbie della pianura padana, a Palermo dove prende atto che a volte i preti sono presi da faccende che non riguardano l’altare ed infine nella foresta pluviale del Sudamerica, in una missione salesiana del Chaco, regione occidentale del Paraguay, nel territorio degli Ayoreo, destinazione ultima per tenerlo al sicuro da eventuali ritorsioni dopo la denuncia della triste realtà palermitana. Tutte destinazioni immaginarie, frutto della fantasia dell’A., ma non immaginarie le riflessioni, le meditazioni, la tristezza e la presa d’atto di Bergoglio di realtà che aveva pur conosciuto nella sua martoriata terra argentina.
Certo, annota Giuseppe Langella nella prefazione, il quadro della società moderna che gli si para dinnanzi è alquanto compromesso e Maffeo non fa nulla per annacquarlo. La scelta vocazionale del futuro capo della Chiesa nasce anche da un profondo disgusto nei confronti del “marcio” che alberga “nel cuore dell’uomo”, origine di tutte le idolatrie, i fanatismi, gli odi, la corruzione, che continuano a seminare la storia di immense piaghe purulente. Il protagonista del racconto, senza mai perdere la sua disarmata speranza, si fa carico con sempre maggiore consapevolezza del bisogno pressante che l’umanità si converta. Ma che altro può fare la Chiesa, se non testimoniare l’amore di Dio per tutti i figli di Eva, a cominciare dagli ultimi? Di qui la missione, ardua e scomoda, che il nuovo pontefice sente di dover intraprendere, anche a costo di suscitare malumori ed incomprensioni.
Incomprensioni che non fermeranno l’opera del Vicario di Cristo nella cui mente splende la visione di una Chiesa mossa da sollecita carità a sporcarsi le mani nelle piaghe della sofferenza, nelle tribolazioni degli indigenti, nelle amarezze degli emarginati. Una Chiesa capace di rendere giustizia ai defraudati, agli esclusi, ai misconosciuti. Una Chiesa povera di denari, pronta a ristabilire la giustizia per un’umanità diventata polveriera di esplosioni.
Ove occorra, declina il personaggio Francesco, sarò pietra d’inciampo, pilastro di scandalo che non teme la solitudine nei naufragi della Storia.
Il messaggio del reale Papa Francesco è tutto raccolto in quest’affermazione che Maffeo modella per la sua missione, e che sembra riecheggiare quella del poverello d’Assisi: Va Francesco e ripara la mia casa.
Opera straordinaria questa di Maffeo, un racconto di viaggio da trasporre sulla scena, per l’originalità del testo, ma soprattutto per la sua introspezione intimista degna dei grandi narratori russi dell’Ottocento.
Raffaele Bussi